Ho abbracciato il Gohonzon 36 anni fa, a 18 anni. I miei genitori abusavano di alcol e litigavano violentemente. Spesso fuggivo di casa e avevo iniziato a usare sostanze, in cerca di tranquillità. Iniziai subito a recitare Daimoku, decidendo che sarei diventata il faro di speranza per la mia famiglia. In un anno ognuno di noi smise con le proprie dipendenze.
Frequentavo l’università e mi vennero affidate delle responsabilità nel Gruppo giovani, che accettai con gioia. Incontravo tutti i giorni le giovani donne, facevo shakubuku e l’offerta per kosen-rufu, per trasformare le mie tendenze distruttive.
Nel 1994 mi misi come obiettivo di ripagare il debito di gratitudine verso i miei genitori e verso il presidente Ikeda. Incontrai Sensei a Bologna, il primo giugno del ’94, insieme a mio papà. Ne uscimmo entrambi profondamente cambiati e anche mio papà abbracciò la visione di Sensei. Quell’anno quattro miei amici abbracciarono il Gohonzon.
Nel 1996 subii violenze fisiche dal mio fidanzato. Decisi di dare valore alla mia vita basando tutto sull’attività byakuren. Il risultato fu che nella zona di cui ero responsabile più di settecento giovani abbracciarono il Gohonzon e inoltre incontrai Sergio che diventò membro della Soka Gakkai, sokahan, e in seguito mio marito. Nel frattempo mia mamma iniziò a praticare, e mio papà la seguì poco dopo!
Dal 2003 al 2015 ho lavorato per sostenere le vittime di violenza in missioni umanitarie in Africa. Ho compreso così il significato della mia missione come Bodhisattva della Terra. L’allenamento nella SGI mi ha permesso di affrontare l’orrore della guerra. Con mio marito abbiamo recitato Daimoku per permeare quelle terre con la Legge mistica e alcuni giovani amici congolesi hanno abbracciato il Gohonzon.
Nacque nostro figlio Giovanni. Il periodo post-parto fu difficile e il sostegno di mio marito e delle compagne di fede fu fondamentale per tornare in pista.
Sensei afferma che il Gosho è l’insegnamento per trionfare sul karma negativo e per sconfiggere le funzioni demoniache. Mi sono quindi sforzata sempre di vivere il Gosho alla lettera, senza interpretazioni personali. Questo ha significato avere salva la vita.
Nel 2013 fu diagnosticato a mio marito un grave tumore maligno. Nel Gosho La buona medicina per tutti i maliNichiren incoraggia Myoshin scrivendo:
«Non è detto che la malattia porti necessariamente alla morte. E, inoltre, la malattia di tuo marito forse è dovuta al volere del Budda; infatti il Sutra di Vimalakirti e il Sutra del Nirvana parlano di persone malate che raggiungono la Buddità, poiché la malattia stimola lo spirito di ricerca della via» (RSND, 1, 833)
Ripartii dal Gongyo, dallo studio, dall’offerta, dall’attività di protezione, dallo shakubuku.
Mio marito fu operato il 18 novembre 2013, giorno dell’inaugurazione del Kosen-rufu Daiseido. Superò l’operazione, e dopo quattro anni fu dichiarato guarito. Nel frattempo due amiche abbracciarono il Gohonzon.
Nel 2018 un altro tumore, raro e devastante. Mio marito affrontò trenta sedute di chemioterapia, un intervento di quattordici ore, furono asportati sei organi e prospettati mesi di immunoterapia. Centinaia di amici recitarono Daimoku per vincere insieme.
Reagii con una fede instancabile, impavida e assidua per far emergere Buddità e forza vitale per due!
Non fui mai sola, Sensei era con me. Pensando a lui rimasi lucida: due volte feci trasferire mio marito, contro il volere dei medici, in altri ospedali, salvandogli la vita. Cercando costantemente la connessione con il cuore di Sensei, le funzioni negative scapparono come conigli impauriti dal ruggito del leone!
Ci siamo promessi di offrire le nostre vite a kosen-rufu. Da allora ho percepito che kosen-rufu non è altro che la mia vita. Non c’è differenza tra incoraggiare un membro, incontrare amici, lavorare, educare mio figlio. Condividevo la nostra lotta con chiunque incontrassi. Un tavolo del bar dell’ospedale era diventato un luogo di riunione e il barista me lo teneva libero!
Nel 2019 apparvero metastasi che invasero il corpo di Sergio. Entrò e uscì dalla rianimazione per emorragie gravi, per otto mesi è stato nutrito e idratato per via parenterale. Perse trentasei chili e venne deciso il trasferimento alle cure palliative per accompagnarlo alla morte, questione di ore. Non si può fare nulla, ci dissero.
Quella notte di fronte al Gohonzon pregai per la sua guarigione esattamente come è scritto nel Gosho Il prolungamento della vita (RSND, 1, 849).
Il giorno dopo Sergio era vivo e, ora dopo ora, rimaneva vivo. Abbiamo trascorso quelle ore mettendo cause positive così forti da contrastare le cause negative del karma immutabile. I medici non capivano e noi facevamo loro shakubuku.
Il giorno dopo ci contattarono per tentare una cura sperimentale, efficace nel 2% dei casi. Dopo la prima settimana le metastasi regredirono una dopo l’altra, fino a sparire dopo un anno.
Così la vita è ripresa. Dopo due anni Sergio è tornato a casa, qualche mese dopo ha vinto il concorso per insegnare e ha ottenuto il ruolo a cinquanta metri da casa. Si è comprato la moto dei suoi sogni con cui mi porta in giro sui colli!
Sergio è stato il primo paziente di questa cura sperimentale che ora è diventata di routine nel nostro ospedale, a beneficio di tutti.
Quando abbiamo scoperto il tumore avevo appena iniziato una scuola di specializzazione in psicoterapia. Il giorno che lui è stato dichiarato fuori pericolo di vita mi sono specializzata con il massimo dei voti. Quando ho avviato il mio studio professionale, la sua TAC recitava “nessuna evidenza di malattia”.
Mi sono dedicata a kosen-rufu senza riserve. Seguire il mio maestro mi ha emancipata dalla sofferenza e resa una donna libera.
Determino di realizzare kosen-rufu nel mondo, insieme a mio marito e a nostro figlio, fino a vedere l’inizio della terza serie di sette campane, quando «la filosofia della sacralità della vita si affermerà come spirito dell’epoca». Nel frattempo lotterò strenuamente per questo.
Grazie a tutte! Evviva Sensei!
