Nella prospettiva buddista, genitori e figli, fratelli e sorelle e i membri di una famiglia sono uniti da una profonda relazione karmica. Proprio per questo, le relazioni familiari possono essere causa di grande gioia ma anche di conflitti e sofferenza.
Nel romanzo La nuova rivoluzione umana, il maestro Ikeda scrive:
«I nostri genitori, partner, fratelli e figli sono tutti parte del nostro ambiente e noi siamo legati a loro attraverso i nostri legami karmici. Non possiamo fuggire dalla nostra realtà» (NRU, 26, 195)
Inevitabilmente, i legami familiari sono quelli più intimi; sono infatti le prime relazioni che instauriamo, che impariamo a vivere e che coltiviamo nel corso della vita. In particolare, il legame tra genitori e figli è indissolubile ed eterno.
A riguardo Nichiren Daishonin afferma:
«Persino tra coloro che sono stati padre e figlio, i genitori, una volta rinati, non sanno di essere stati genitori o i figli di essere stati figli; e marito e moglie si incontrano nuovamente, ma non sanno di essersi già incontrati. Ci smarriamo come se avessimo gli occhi di una pecora, siamo ignoranti come se avessimo gli occhi di un lupo. Ignoriamo la nostra relazione passata con la madre che ci ha dato la vita e non sappiamo quando noi stessi dovremo soccombere alla morte» (Conversazione fra un santo e un uomo non illuminato, RSDN, 1, 87)
Alla luce del Gosho i legami karmici con i nostri familiari sono davvero profondi.
Non è certo un caso se il secondo presidente della Soka Gakkai, Josei Toda, enunciò come prima tra le cinque guide eterne della Soka Gakkai, “Fede per una famiglia armoniosa”.
La famiglia è il nostro punto di origine, una palestra per forgiare un io solido in grado di creare relazioni di valore. Sfidarci nell’ambiente familiare è la chiave per crescere e sviluppare la nostra vera identità.
Ripagare i debiti di gratitudine verso i genitori
Nichiren Daishonin formulò a dodici anni il voto di diventare la persona più saggia di tutto il Giappone per ripagare il debito di gratitudine nei confronti dei genitori e di condurre tutte le persone all’Illuminazione.
Ne Il mondo del Gosho, il presidente Ikeda spiega che il Daishonin nomina i genitori come «rappresentanti di tutti gli esseri umani» (MDG, 24).
Com’è incoraggiante per noi sapere che il desiderio di rendere felici tutte le persone ha origine dalla gratitudine verso i genitori!
Sono molti i Gosho in cui Nichiren parla di ripagare questo debito di gratitudine. Innanzitutto per averci dato la vita, preziosa e unica. Ma la gratitudine non è sempre facile da sentire e non si limita solo a un sentimento. Per ripagarla è necessario agire. Ciò significa concretamente fare la propria rivoluzione umana e non smettere mai di migliorare. In particolare, scrive Nichiren Daishonin, abbracciare la Legge mistica ci permette di ripagare un tale debito:
«Perciò una persona che sostiene il Sutra del Loto sta ripagando il debito di gratitudine verso suo padre e sua madre» (Le quattro virtù e i quattro debiti di gratitudine, RSND, 2, 602)
Possono essere tante le situazioni di conflitto e divisione familiare che causano sofferenze alle persone. Talvolta è difficile accettare la visione del Buddismo sottolineata dal Daishonin in un famoso passo del Gosho di Capodanno:
«L’inferno si trova nel cuore di chi interiormente disprezza suo padre e non si cura di sua madre» (RSND, 1, 1008)
Abbracciare questa visione non significa dover fingere né tantomeno aderire passivamente e malvolentieri a un qualche schema di comportamento, piuttosto significa essere consapevoli dell’importanza di guardare dentro noi stessi e ricercare un nuovo modo di porci di fronte alle difficoltà che incontriamo, senza quell’emotività che spesso ci impedisce di andare oltre i problemi. La chiave è partire dal fatto che grazie alla pratica buddista possiamo trasformare il nostro cuore, così ciò che proviamo verso i nostri genitori o i nostri figli ci consente di vivere più liberamente e pienamente la vita.
L’importante è comprendere che possiamo trasformare qualsiasi aspetto della nostra vita e creare valore a partire dalla situazione che stiamo vivendo.
Non si tratta di cambiare gli altri, bensì il nostro cuore, che inevitabilmente incide sulle nostre relazioni.
Il maestro Toda era severo con i giovani che non mostravano apprezzamento verso i genitori, infatti nelle Linee guida per i giovani scrive:
«La nostra lotta ci richiede di sviluppare compassione per tutti gli esseri viventi. Ci sono ancora tanti giovani che non sono capaci di amare i loro stessi genitori. Come possono pensare di prendersi cura degli altri? Lo sforzo di superare la freddezza e l’indifferenza presenti nella nostra vita e di sviluppare la stessa compassione del Budda è l’essenza della rivoluzione umana» (NR, 487, 5)
Un amore più vasto del cielo e più profondo dell’oceano
Questo vale anche per i genitori: come spiega il presidente Ikeda, kosen-rufu diventa un obiettivo astratto se i praticanti non riescono a instaurare legami con i loro figli o a costruire famiglie felici.
Afferma, inoltre, che crescere un figlio o una figlia è il compito più nobile che un essere umano possa svolgere. Per questo può non essere sempre facile.
Ci sono volte in cui sembra che tutti gli sforzi in questa direzione non producano alcun effetto, ma continuando a manifestare fiducia e ad alimentare speranza, è certo che ogni cosa fiorirà, come ci assicurano i nostri maestri:
«L’amore di un genitore è più vasto del cielo e più profondo dell’oceano. I sentimenti dei genitori si trasmetteranno sicuramente ai figli, anche se può volerci del tempo. Il Daishonin afferma: “Per esempio, quando è il momento che un pulcino esca dall’uovo, il pulcino becca il guscio dall’interno e la madre becca sullo stesso punto dall’esterno. Questo perché i pensieri e i sentimenti sono interattivi» (I tesori del futuro, Esperia, pag. 5)
L’unico modo per realizzare questo nobile compito è perseverare nella fede senza farsi sviare dagli ostacoli e dalle difficoltà. Rafforzando la fede ogni giorno di più, tutte le sfide diventeranno preziose opportunità per creare con i figli legami sempre più forti.
Da questo punto di vista è come se i figli offrissero ai genitori l’opportunità di migliorare la propria vita:
«Ogni cosa differisce in base alla nostra prospettiva: vediamo ogni aspetto della vita dei nostri figli come causa di difficoltà, o li apprezziamo per le esperienze che ci permettono di fare? Se interagiamo con i nostri figli con amarezza e contrarietà, loro nutriranno lo stesso tipo di sentimenti. Ciò sarebbe penoso e voi subireste una perdita. Sentire la missione di far diventare nostro figlio un individuo di valore e nutrire un senso di apprezzamento nei suoi confronti ci permetterà di stabilire una relazione ricca e gioiosa» (Ibidem, pag. 18)
In definitiva, tutto parte da noi.
IN PRIMA PERSONA
La fiducia parte da me
di Michela Ielapi, Roma

Quando ho incontrato il Buddismo, sette anni fa, avevo sedici anni e subito ho cominciato a sperimentare i benefici del Daimoku. Dopo due mesi decisi di ricevere il Gohonzon: essendo minorenne avevo bisogno del consenso dei miei genitori che però non volevano saperne, anzi si opposero fermamente alla mia decisione.
Sostenuta dal Daimoku e dai compagni di fede, recitai Daimoku con costanza, parlai del Buddismo a tutte le mie compagne di classe e studiavo ogni giorno le guide del maestro Ikeda.
Avevo determinato di ricevere il Gohonzon e trasformare il rapporto conflittuale con i miei genitori. Con uno stato vitale molto elevato grazie all’attività buddista che portavo avanti, un giorno dialogai apertamente con i miei genitori spiegando loro cosa fosse la Soka Gakkai, un’organizzazione dedita al bene delle persone.
Fino a quel momento si erano opposti senza conoscere nulla della pratica buddista e io non gliene avevo mai parlato, convinta che “tanto non mi avrebbero capito”. Ma se volevo instaurare un legame di fiducia dovevo essere io la prima a sentirla verso di loro. Quel giorno infatti mi ascoltarono pazientemente e una settimana dopo ricevetti il Gohonzon!
Subito iniziai a recitare Daimoku per la felicità di mia madre, con la quale avevo continuamente litigi perché non mi sentivo compresa.
Studiando il Gosho e gli incoraggiamenti di Ikeda, capii che incolpare lei non portava ad alcun miglioramento nella mia vita, anzi dovevo io stessa prendermi la responsabilità della felicità di tutta la mia famiglia. Mia madre, che da sempre si era opposta alla pratica, spinta dal mio stato vitale sempre gioioso, iniziò poco dopo a frequentare le riunioni e a recitare Daimoku con me.
Esattamente un anno dopo, divenne membro della Soka Gakkai. Ora è responsabile di un gruppo e insieme ci impegniamo per costruire ogni giorno una famiglia armoniosa, come ci incoraggia a fare il nostro maestro. Per me è una gioia profonda, difficile da esprimere a parole…
IN PRIMA PERSONA
Essere un padre
di Dino Bucalo, Torino

La storia della mia famiglia era già stata scritta da generazioni di relazioni disgregate, interrotte. Ognuno di noi si muoveva con la consapevolezza e la profonda convinzione di essere nel giusto, di avere ragione. Ma il risultato erano continui allontanamenti, separazioni e divisioni. E anche mio padre con noi figli ha sempre alimentato questa dinamica.
Una volta andai a trovarlo a casa e al citofono, quando dissi il mio nome, mi rispose che non aveva un figlio che si chiamava Dino. Che dolore che provai! Questo non era giusto. Tutti intorno a noi riconoscevano e biasimavano il comportamento distruttivo e rabbioso di mio papà. Eppure questo non mi rendeva più felice.
Il mio maestro Daisaku Ikeda mi incoraggiava di continuo a superare quel “senso di avere ragione” che però mi immobilizzava. Così compresi che la strada indicata dal Buddismo parte sempre dal cambiamento del proprio cuore, dalle proprie azioni e comportamento.
In una società abituata a guardare fuori e ad attribuire colpe e giudizi agli altri, quanto è stato difficile disarmarmi e considerare le cose da un altro punto di vista! Noi figli avremmo vinto mantenendo nel cuore la decisione di prenderci cura di nostro padre. Così è stato. Tra alti e bassi la nostra relazione con papà è rimasta solida, piena di affetto e di valore fino al giorno della sua morte. Non è possibile descrivere la gioia di essere riusciti a spezzare quella catena che nella mia famiglia ha sempre allontanato e diviso i cuori. Solo grazie a questa profonda trasformazione nel mio cuore ho potuto costruire una famiglia, insieme a mia moglie Elena.
Da padre sento la responsabilità di dare il buon esempio come essere umano, fare incessantemente del mio meglio, lottando con tutto me stesso per essere di ispirazione per i miei figli, desiderando più di ogni altra cosa che crescano in salute, onesti, retti e dediti alla pace e alla felicità di tutti. Ecco, questo è ciò che per me vuol dire essere papà.
Ogni giorno mi sfido nel costruire valore partendo dalle più semplici azioni quotidiane: come sveglio i miei figli, come mi rivolgo a mia moglie, come mi comporto nel lavoro. Aver incontrato il Buddismo è stata la mia più grande fortuna. Aver scelto Daisaku Ikeda come maestro significa per me dirigere ogni giorno la mia vita nella direzione del “grande cuore” (NR, 685, 6).
