Ogni persona ha un valore inestimabile ed è dotata intrinsecamente di un potenziale infinito, che nel Buddismo viene chiamato “natura di Budda”.
La pratica buddista esiste affinché ogni persona possa rivelare tale potenziale e renderlo concreto nella propria vita. Lo shakubuku è l’azione di condividere il Buddismo con gli altri, per metterli in grado di sperimentare i benefici della Legge mistica, benefici che sono espressione tangibile del potere insito in ogni persona, per trasformare così le proprie sofferenze e realizzare una felicità più profonda.
Questa azione compassionevole è il cuore della pratica insegnata dal Daishonin, ed è la chiave per trasformare il nostro stesso karma.
Non sempre è facile vincere sulla nostra oscurità che ci porta a dubitare della natura di Budda nella nostra vita e in quella degli altri.
Per questo il punto di partenza per riuscire a fare shakubuku è sempre una preghiera sincera e determinata.
Per alcune persone accettare questa fede non è affatto naturale. Ma qualunque sia il risultato immediato dei nostri sforzi, non c’è dubbio che riceveremo comunque grandi benefici per esserci sfidati nel parlare a qualcuno della pratica buddista.
In questo articolo, attraverso le riflessioni di Jasmina e Mirko e gli incoraggiamenti del maestro Ikeda approfondiamo l’importanza dello shakubuku e lo spirito che ne sta alla base.
Risvegliamo la consapevolezza di essere Bodhisattva della Terra
Riflessione di Jasmina Cipriani, responsabile nazionale Giovani donne

Nella vita indaffarata di tutti i giorni spesso non c’è posto per l’altro e il concetto di compassione buddista ci sembra così lontano.
Il Buddismo di Nichiren, tuttavia, è una filosofia umanistica incentrata sull’essere umano e per tale ragione si parla di sostituire la compassione con il coraggio: il coraggio di aiutare gli altri, di fare la nostra rivoluzione umana e far avanzare il movimento di kosen-rufu.
Il Sutra del Loto racconta di una moltitudine di Bodhisattva che emerge dalla terra in risposta alla richiesta di Shakyamuni su chi diffonderà la Legge mistica e condurrà tutte le persone all’Illuminazione dopo la sua scomparsa nell’Ultimo giorno della Legge.
È un’immagine di grande effetto: quella di un gruppo di persone che emerge all’istante dalla terra, sicure della loro missione e pronte a rispondere alle aspettative del maestro.
“Emergono dalla terra” proprio lì dove sono, e grazie alla fede che hanno forgiato tramite la pratica buddista, usano pienamente ogni aspetto della loro vita per realizzare kosen-rufu.
I membri della Soka Gakkai, nonostante le vicissitudini quotidiane, si impegnano con coraggio a fare la propria rivoluzione umana e diffondere il messaggio di speranza del Buddismo partendo dall’ambiente a loro più prossimo. Queste semplici ma costanti azioni contraddistinguono la pratica del bodhisattva.
Riconoscere il valore di tali azioni non è scontato e può capitare che emerga un senso di frustrazione e inadeguatezza per non essere in grado di parlare agli altri di Buddismo o semplicemente di offrire loro parole di incoraggiamento.
Proprio in quei momenti è fondamentale partire dalla recitazione di Nam-myoho-renge-kyo per risvegliare in noi la consapevolezza di essere Bodhisattva della Terra. Tale consapevolezza ci permetterà di condividere il Buddismo in modo più profondo. Fare shakubuku, infatti, non è un dovere o una pratica formale, nasce piuttosto da una trasformazione della nostra stessa vita.
Per tale ragione ogni volta che ci poniamo l’obiettivo di dialogare di Buddismo con i nostri amici, è fondamentale partire dalla recitazione del Daimoku e dalla nostra rivoluzione umana.
Il maestro Ikeda spiega che kosen-rufu non rappresenta un punto di arrivo ma piuttosto è la presenza di un flusso continuo di persone che si impegna con coraggio in questo tipo di azione (cfr. Kosen-rufu e la pace mondiale, BS).
Le pagine conclusive del romanzo La nuova rivoluzione umana si chiudono esprimendo questo concetto:
«Se c’è un nucleo di giovani, anzi, se anche c’è solo un unico vero discepolo, kosen-rufu si realizzerà sicuramente» (NRU, 30, 834).
Non c’è gioia più grande
Riflessione di Mirko Lugli, vice responsabile nazionale Giovani uomini

Lo shakubuku è uno dei cardini della pratica buddista ed è importante approfondirne costantemente lo spirito che ne sta alla base. Il punto essenziale è il desiderio della felicità di tutte le persone, a partire da quella che abbiamo di fronte. Secondo il Buddismo questo desiderio è connaturato all’essere umano ed è il fondamento della pace.
Ognuno di noi è dotato di un potere infinito e parlare a una persona di Nam-myoho-renge-kyo equivale a offrire il mezzo per dischiudere tale potere, che permette di trasformare la vita al livello più profondo e sperimentare immensi benefici.
A volte, quando pensiamo allo shakubuku o quando parliamo di Buddismo a un’altra persona, una delle resistenze che possiamo percepire è legata al fastidio che istintivamente si prova in relazione al proselitismo, ossia il cercare di convertire o coinvolgere altre persone nella propria religione. Il fastidio potrebbe essere legato al fatto che in una certa ottica fare proselitismo ci porterebbe a relazionarci alle persone in modo strumentale, vedendole in funzione della religione, e cioè come potenziali nuovi fedeli, perdendo di vista la centralità della persona in sé.
Questa sarebbe però una totale distorsione dello spirito di shakubuku, che invece risiede nel desiderio che le persone con cui ci rapportiamo siano felici e realizzate. Trasmettere Nam-myoho-renge-kyo significa offrire la possibilità di realizzare la propria vita appieno e in modo libero.
Il maestro Ikeda pone continuamente l’attenzione su questo aspetto.
Nel volume 30 de La nuova rivoluzione umana scrive:
«Gli esseri umani non esistono in funzione della religione; al contrario, è la religione a essere al servizio degli esseri umani, per consentire loro di diventare felici. Confondere o invertire questa relazione essenziale è una distorsione della realtà» (NRU, 30, 730)
È importante quindi non perdere mai di vista questo punto. Allo stesso tempo, non dobbiamo farci intimidire dalla possibilità che le persone pensino allo shakubuku sulla base di quella visione distorta che ne inverte il presupposto essenziale, ed è importante condividere con tutti il fondamento della nostra pratica.
Ciò che veramente conta è continuare a impegnarci per la felicità di ogni persona, approfondendo la fede e la comprensione del Buddismo.
Come scrive Nichiren Daishonin, «è il cuore che è importante» (RSND, 1, 889).
Fare shakubuku tocca le corde profonde della vita, nostra e degli altri, e fa emergere quello che il Buddismo chiama “grande io”. Infatti, il maestro Ikeda, così come Toda, Makiguchi e Nichiren Daishonin, sottolineano sempre che i nostri dialoghi basati sul Buddismo per la felicità degli altri ci permettono di costruire la nostra stessa felicità, e sono il contributo più importante per la realizzazione di un ideale che abbraccia tutto il mondo.
I nostri maestri rappresentano l’esempio di una vita dedita a questo scopo e percorrere la strada da loro aperta significa avanzare lungo la via di maestro e discepolo. Non c’è gioia più grande di continuare ad aprire insieme, come protagonisti, questa grande strada della pace!



ALCUNE DOMANDE…
In cosa consiste, essenzialmente, lo shakubuku?
«Josei Toda diceva: “Fate shakubuku più che potete, con gentilezza e convinzione. […] Tutto ciò che dovete fare è parlare con le persone in modo sincero e gentile. La cosa importante è mantenere questo spirito nel trasmettere il Buddismo. […] È importante insegnare la nostra fede con affettuosa premura. È quasi come essere innamorati”.
Il presidente Toda aveva un modo originale di esprimersi. Quando ci innamoriamo siamo completamente presi dalla passione, usiamo fogli su fogli di fine carta da lettere per scrivere messaggi d’amore, stiamo svegli tutta la notte cercando le parole per invitare la persona amata a uscire con noi e, se tutto va bene, arriviamo al matrimonio. Ma possiamo anche pentircene, mentre non ci pentiremo mai di aver fatto shakubuku!»
(D. Ikeda, Saggezza, 1, 404).
A volte parlare del Buddismo agli altri non è facile: mentre alcuni credono e capiscono immediatamente, per altri accettare questo insegnamento non è affatto naturale…
«Il punto chiave è recitare Daimoku affinché l’interlocutore percepisca la nostra sincerità. Dalla preghiera sorgono la saggezza, la fiducia e la gioia. Fare shakubuku non è facile, ma se siamo consapevoli del fatto che ciò porterà un’incredibile felicità e grandi benefici sia a noi sia agli altri, niente può essere fonte di gioia maggiore. Toda era solito dire: “Shakubuku non deve essere fonte di angoscia. Al contrario, deve essere realizzato con gioia”.
Mentre alcuni credono e capiscono immediatamente, per altri accettare questa fede non è affatto naturale. Ma non dobbiamo essere impazienti. Qualunque sia il risultato immediato dei nostri sforzi, non c’è alcun dubbio che riceveremo grandi benefici per aver pregato sinceramente ed esserci sforzati di parlare della nostra fede buddista. E proprio perché shakubuku non è affatto facile, questa azione ci dà l’opportunità di far scaturire e sviluppare la nostra saggezza. Se piantiamo il seme, con il tempo sboccerà senz’altro il fiore. Il punto saliente, mi sembra, sta nel parlare alle persone con la gioia e l’entusiasmo di poter svolgere il ruolo di inviati del Budda»
(D. Ikeda, Saggezza, 1, 405)
Perché insegnare la pratica buddista agli altri porta beneficio anche a se stessi?
Il Daishonin scrive:
«Se si accende un fuoco per gli altri, si illuminerà anche la propria strada» (Sulle tre virtù del cibo, RSND, 2, 996)
Ciò significa che quando facciamo qualcosa per gli altri rechiamo beneficio anche a noi stessi, illuminando il nostro e il loro futuro.
Arrecare beneficio agli altri significa apportarlo anche a noi stessi.
Quando noi praticanti del Buddismo di Nichiren preghiamo e agiamo per la felicità altrui, espandiamo il nostro stato vitale e portiamo avanti la nostra rivoluzione umana insieme a loro.
Perciò impegnarsi nella pratica del bodhisattva è una fonte di gioia incomparabile che a sua volta genera una reazione a catena di gioia.
Come afferma il Daishonin: “Gioia significa che se stessi e gli altri insieme provano gioia. […] Sia se stessi che gli altri insieme troveranno gioia nel possesso della saggezza e della compassione”»
(D. Ikeda, BS, 214)
Con quale spirito Sensei faceva shakubuku quando era giovane?
«Da quando iniziai a praticare all’età di diciannove anni, ho condiviso il Buddismo di Nichiren con molte persone nella mia vita: familiari, amici, vicini di casa, conoscenti. Alcuni di loro hanno risposto positivamente, altri no. Una persona addirittura ha respinto tutte le lettere che le avevo scritto riguardo al Buddismo. A volte mi chiedevo come mai in così pochi ricercassero gli insegnamenti del Daishonin.
Ma nessuno può evitare le sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte. Nella profondità della vita ogni individuo anela alla Legge mistica, che è la chiave per superare queste vicissitudini dell’esistenza.
Ho pregato assiduamente e ho parlato a quante più persone ho potuto con il desiderio che stabilissero una relazione, anche piccola, con il Buddismo e che ognuna diventasse felice. Niente mi dava più gioia di vedere che, in virtù dei miei sforzi sinceri e costanti nel dialogo, qualcuno avesse deciso di iniziare a praticare il Buddismo di Nichiren.
Una volta Toda si unì a me mentre andavo a parlare del Buddismo a una persona. Mi sentivo così grato di avere un maestro meraviglioso che offriva il suo sostegno a un giovane inesperto come me.
“Quando parliamo del Buddismo creiamo fiducia” soleva dire Toda.
Noi preghiamo per la felicità degli altri e parliamo loro con franchezza. Che decidano o meno di iniziare a praticare, la nostra sincerità li toccherà comunque.
Sono rimasto in contatto con gli amici ai quali da giovane parlai del Buddismo e che non hanno iniziato a praticare. All’epoca scrissi in una poesia: “Possa tu, amico mio, trovare la felicità!”.
Questo desiderio verso di loro non è cambiato, anche se abbiamo preso strade diverse.
Tutti i miei sforzi per condividere il Buddismo con le altre persone sono aurei tesori nella mia vita. E quelle esperienze difficili hanno contribuito positivamente ai miei successivi dialoghi con leader e pensatori a livello mondiale»
(D. Ikeda, BS, 197, 43).
