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Come contribuire alla pace lavorando insieme a persone e organizzazioni che hanno lo stesso obiettivo? - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 08:06

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Come contribuire alla pace lavorando insieme a persone e organizzazioni che hanno lo stesso obiettivo?

Risposta a cura di Alessja Trama, responsabile nazionale del Gruppo futuro

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Sensei spiega che l’essenza di “adottare l’insegnamento correttore la pace nel paese” consiste nel proteggere la dignità della vita e realizzare la pace mondiale e che per far questo dovremmo unirci alle persone e alle organizzazioni che condividono questo obiettivo e lavorare insieme. Poi aggiunge: «La causa per cui ci battiamo non è una nostra prerogativa esclusiva» (BS, 218, 37).
Come possiamo mettere in pratica questa visione di Sensei?

Nella lezione citata, il maestro Ikeda sottolinea il punto cruciale senza il quale non possiamo realizzare il principio di “adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese” e cioè la nostra rivoluzione umana:

«Dovremmo chiederci se a guidare le nostre azioni sono l’egoismo e la ricerca della nostra felicità personale, a esclusione e a scapito di altri, oppure un atteggiamento compassionevole che si preoccupa allo stesso modo del nostro benessere e di quello degli altri, e si rifiuta di costruire la propria felicità sulle disgrazie altrui» (BS, 218, 36)

È una riflessione che dovremmo fare continuamente chiedendoci: “Per quale scopo mi sto impegnando?”.
Come praticanti del Buddismo di Nichiren Daishonin il nostro scopo è chiaro ed è sempre la felicità di tutte le persone. Si tratta di un sincero desiderio che scaturisce dal realizzare ogni giorno la nostra rivoluzione umana. 
Vivendo così riusciamo a unire le forze con altre organizzazioni. In fin dei conti, ogni organizzazione è formata da persone. Perciò è essenziale costruire dei legami di amicizia in modo da essere in sintonia con tutte le persone che incontriamo. Questo ci permette di non sentirci schiacciati dalle difficoltà e dai problemi della società.
Il presidente Ikeda ci incoraggia dicendo che creare la speranza e alimentarla ogni giorno è la chiave di tutto, e che lo si fa andando contro la nostra oscurità fondamentale che ci porta a dubitare della natura di Budda intrinseca a tutti gli esseri viventi, inclusi noi stessi:

«La speranza cambia tutto. Trasforma l’inverno in estate, il buio in alba, la discesa in ascesa, la sterilità in creatività, la disperazione in gioia. La speranza è il sole, è la luce. È la forza fondamentale per la fioritura della vita»
(Verso un secolo di pace, Esperia, pag. 178)

Incoraggiare anche una sola persona ad alimentare la speranza è alla base del nostro movimento per la pace:

«Ascoltare sinceramente i problemi di una singola persona, lì dove ci troviamo adesso, incoraggiarla e alimentare la speranza nel suo cuore è uno sforzo umile e tenace; forse non sarà una notizia che farà il giro del mondo, forse non entrerà negli annali della storia, ma ogni persona che sentirà ardere nel suo cuore una speranza nuova ritroverà la forza di vivere, e la vostra azione sarà stata preziosa per la sua vita. Questa è la base di un solido movimento per la pace ben radicato nel cuore delle persone» (Ibidem, pag. 255)

La decisione profonda di una sola persona può portare enormi risultati. 
Un esempio è offerto da Elise Boulding, sociologa americana, che decise di riprendere gli studi accademici e diventare un’esperta di pace all’età di quarantotto anni, perché preoccupata che le voci delle donne non fossero sufficientemente rappresentate quando si parlava di guerra, di pace e di organizzazione sociale. Fu proprio lei a portare una visione totalmente nuova per la costruzione della pace. 
La Boulding sottolinea quanto in questo processo siano essenziali la famiglia e in particolare le donne, perché promuovono e alimentano relazioni creative e collaborative sia nella famiglia che nella società.

Nell’ambito dell’impegno per la pace dei membri della Soka Gakkai, c’è una data molto importante: l’8 settembre 1957, nel pieno dell’escalation nucleare della Guerra Fredda. 
Quel giorno il secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda si rivolse a 50.000 giovani per una dichiarazione contro le armi nucleari. A partire da quella dichiarazione il maestro Ikeda ha dato avvio a un movimento che ha coinvolto negli anni centinaia di migliaia di persone e oggi sono sempre di più i giovani che anche in Italia si stanno dedicando alla totale eliminazione delle armi atomiche dal nostro mondo.
Ikeda racconta: 

«Il giorno in cui udii la Dichiarazione del presidente Toda per l’abolizione delle armi nucleari rimasi elettrizzato. Decisi, come discepolo, di trascorrere il resto della mia vita a diffondere il suo messaggio nel mondo. Da allora ho viaggiato per il mondo impegnandomi nel dialogo per fare avvicinare gli esseri umani. […] Ero determinato a trascorrere la mia vita adempiendo con risolutezza il voto che avevo fatto al mio maestro» (Il mondo vi attende, pag. 108)

Questa causa per cui ci battiamo, ovviamente, non è nostra prerogativa esclusiva e come discepoli di Sensei mettiamo in pratica ciò che ci sta dimostrando da tutta la vita: unire gli esseri umani per creare un mondo di pace. 
Nella lezione sul Gosho citata nella domanda, Sensei sottolinea:

«Il punto cruciale è far crescere individui che si dedicano all’“adozione dell’insegnamento corretto”. Quando un singolo individuo comincia ad applicare questo principio nella vita reale, può riorientare le persone intorno a sé in direzione del bene e della pace. “Adottare l’insegnamento corretto” alla fine non è altro che creare un flusso costante di persone coraggiose che si dedicano a questa missione» (BS, 218, 37)

Tutto parte da questo: una trasformazione dei “princìpi su cui si basa il proprio cuore”, una rivoluzione radicale della propria condizione interiore più profonda, per «andare oltre il nostro piccolo io dominato dall’egoismo e lavorare per costruire la pace e la sicurezza della società, in altre parole per la “tranquillità in tutti e quattro i quadranti del paese”» (Ibidem, 34).

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