Ho cinquantotto anni, pratico il Buddismo da quando ne avevo ventiquattro e ho due figli di ventisei e diciannove anni. Nel 2015 ho avuto la gioia di partecipare a un corso in Giappone dove inaspettatamente ho incontrato per la seconda volta Sensei, che è venuto a salutarci davanti al Kosen-rufu Daiseido. L’esperienza del corso è stata potente, mi sembrava di stare nella sala macchine contenente il generatore della pace mondiale in cui è possibile realizzare ogni promessa.
Avevo appena accettato la vice responsabilità di regione, dunque ho scritto le mie determinazioni a Sensei e ho promesso che mi sarei impegnata con tutto il cuore per far sì che tutte le donne e le giovani donne della mia regione recidessero i legami di dipendenza.
La mia vita profondamente sapeva che quel desiderio riguardava in primo luogo me stessa.
Tornata a Roma è stato tutto un fronteggiare la tempesta che non sapevo di aver scatenato: non vi fu un ambito in cui non avvenne un repentino cambiamento, anche il mio matrimonio andò in frantumi, dopo quasi venticinque anni. Mio marito mi disse che non voleva più proseguire la nostra relazione e il dolore che provai fu così totalizzante che intuii che la voragine affettiva che mi aveva condotto al Buddismo era stata per anni coperta da una superficie che adesso non reggeva più, e che avrei dovuto riempire quel vuoto con me stessa. La sensazione che oggi mi porto dentro è di essermi partorita dopo un travaglio durato anni. Nel 2019 ci separammo.
Nel contesto di quel periodo, in cui cercavo nella preghiera, nello shakubuku, nello studio e nell’attività per gli altri di dare un senso al mio essere nel mondo – oscillando tra l’autocommiserazione e la rabbia, lottando per trasformare il veleno dell’attaccamento che mi faceva sentire che nulla di quanto facessi aveva importanza – mi capitò di leggere un Incoraggiamento delle quattro stagioni del maestro Ikeda in cui era scritto:
«Per i discepoli, il periodo che va dal 2 aprile al 3 maggio è il tempo di mostrare al maestro la prova concreta delle proprie vittorie» (NR, 645)
Decisi di realizzare una prova concreta da regalare al mio maestro, per sostenere le donne e che mi schiodasse da quella preghiera piagnucolante e spaventata. Mi bastò un attimo per capire che dovevo vincere nel lavoro e sulla condizione di precarietà che mi contraddistingueva da sempre.
Decisi che entro il 3 maggio avrei trovato un lavoro che coniugasse “guadagno, bene e bellezza” e che sarei riuscita a farmi assumere a tempo indeterminato.
Il mio era un curriculum da attrice, professione che avevo abbandonato già da molti anni ma che di fatto era stato per decenni il mio lavoro. Non avevo esperienze particolarmente importanti in altri ambiti.
Per cosa pregare? Non c’era un lavoro che desiderassi o sentissi di poter fare, mi sentivo al punto zero, senza visioni, senza speranza.
«Scava sotto i tuoi piedi, lì c’è la sorgente del beneficio», così dice un proverbio che spesso cita il nostro maestro.
Recitando Daimoku mi resi conto che negli svariati decenni da quando facevo parte della Soka Gakkai avevo acquisito, facendo attività buddista, un bel po’ di competenze e così decisi che avrei trovato un lavoro in cui le mie competenze come persona cresciuta nella ricerca del miglioramento di sé e del mondo, sarebbero state apprezzate. Siccome non avevo la minima idea di dove cercare determinai che il lavoro di valore avrebbe trovato me.
In un outlet in cui lavoravo saltuariamente incontrai una compagna di fede che – senza che io le chiedessi nulla – mi suggerì di inviare il mio curriculum alla Onlus in cui lavorava, perché secondo lei ero perfetta per quel tipo di lavoro, basato su progetti a tutela dei diritti umani, sociali e civili e per la creazione dell’empowerment individuale.
Ci provai mettendo alla base il desiderio di kosen-rufu, il progetto di un mondo di pace e giustizia.
Feci con loro tre colloqui… per due mesi non sentii nessuno ma continuai a pregare.
Dopo due mesi mi chiamarono: riuscii a entrare – poco prima del 3 maggio – dapprima come collaboratrice occasionale, poi mi venne affidato un progetto.
Con l’arrivo del lockdown tutto sembrava vanificato, invece la buona fortuna accumulata con la mia decisione di qualche mese prima di approfondire lo spirito dell’offerta per kosen-rufu, ha ribaltato tutto.
Alla ricerca di una stabilità interiore e tangibile, avevo deciso di partire dall’offerta stabilendo una quota mensile sotto la quale non sarei mai scesa.
Fu proprio la sfida di fare l’offerta per kosen-rufu ad aprile, dopo un mese senza stipendio, e di mantenere la quota stabilita, che mi consentì di ottenere un grande beneficio: dopo qualche giorno mi richiamarono affidandomi due progetti da realizzare lavorando da casa, che si sarebbero conclusi a ottobre 2021. Avevo a quel punto un contratto a tempo determinato e decisi che si sarebbe trasformato in contratto a tempo indeterminato entro ottobre 2021.
Nonostante la stima e la considerazione dei colleghi e le tante soddisfazioni dal punto di vista professionale, dovevo sempre lottare contro lo “sfasciacarrozze abusivo” annidato nella mia mente, che mi faceva notare che a cinquantasette anni non ti assume nessuno. Ma io avevo promesso a Sensei, ero io a dover decidere, io che dovevo immaginarmi non più in bilico, non più ai margini, ma perfettamente in diritto di avere un posto nel mondo.
I primi di ottobre 2021 ho ottenuto l’assunzione a tempo indeterminato.
Ringrazio Sensei, la Soka Gakkai, la mia famiglia Soka, la mia fortuna in questa vita, ringrazio il mio ex marito per i nostri figli e per la funzione che ha avuto in questa trasformazione, ringrazio questi anni in cui ho compreso profondamente con la vita che, come afferma il Daishonin:
«Riguardo alle preghiere, vi sono preghiere visibili con risposte visibili, preghiere visibili con risposte invisibili, preghiere invisibili con risposte invisibili e preghiere invisibili con risposte visibili. Tuttavia, la cosa essenziale è che, se hai fede in questo sutra, tutti i tuoi desideri si realizzeranno nell’esistenza presente e in quella futura» (Lettera al prete laico Domyo, RSND, 1, 665).
E prometto di impegnarmi nel far conoscere il Buddismo a tanti giovani e accompagnare almeno un giovane uomo e una giovane donna a ricevere il Gohonzon entro il 31 dicembre 2023.
