Grazie alla pratica buddista e all’attività nel Gruppo giovani, Natasha ha potuto trasformare il rancore in compassione per i suoi genitori e gratitudine per la vita, fino a tirare fuori il coraggio di perseguire il suo grande sogno
Ho iniziato a praticare il Buddismo a ventidue anni.
All’epoca avevo un rapporto conflittuale con mio padre e non parlavo con mia madre da dieci anni. Mio padre entrava e usciva dal carcere e mia madre mi lasciò in affidamento a mia nonna paterna che viveva a Roma, allontanandomi definitivamente da sé all’età di sei anni. La distanza non ha aiutato il nostro rapporto e man mano non ci siamo più né viste né sentite. Ritenevo i miei genitori colpevoli di non aver anteposto il mio bene alla loro vendetta personale, facendomi passare la maggior parte dell’infanzia in tribunale e dietro a mio padre per tutte le carceri d’Italia. Quando ho iniziato a praticare ho capito che se non lo avessi risolto, il problema con i miei genitori avrebbe condizionato tutta la mia vita.
Nichiren Daishonin scrive: «L’inferno è nel cuore di chi interiormente disprezza suo padre e trascura sua madre» (Gosho di capodanno, RSND, 1, 1008). La sofferenza è stata tanta, le ore passate davanti al Gohonzon incalcolabili, ma a un certo punto il rancore si è trasformato in compassione e sono riuscita a sentire che anche loro erano degli esseri umani con i loro limiti e le loro paure. Da lì è iniziato un percorso in cui abbiamo costruito un nuovo rapporto e ora ci amiamo più che mai. Mio padre ci ha lasciati quattro anni fa lasciandomi in eredità una seconda famiglia e due meravigliose sorelle, con le quali ci sosteniamo nel costruire le nostre vite.
L’attività nel Gruppo giovani mi ha insegnato la gratitudine per la vita che ho avuto, perché ogni sofferenza mi ha fatto capire non solo che avevo la forza di affrontarla, ma anche che era esattamente ciò di cui avevo bisogno per sfidarmi e diventare una discepola del presidente Ikeda. Così dopo qualche anno di questo allenamento ho deciso di perseguire il mio grande sogno di fare l’infermiera.
Non mi era stato possibile frequentare l’università in quanto mia nonna non poteva mantenermi ed ero andata a lavorare dopo il diploma. Ma ora ero decisa a sfidarmi per coronare il mio sogno. Ho lavorato, ho messo i soldi da parte e a ventotto anni mi sono iscritta all’università. Sono stati tre anni difficili, dovevo mantenermi in tutto ma grazie agli incoraggiamenti di Sensei e al Gosho ho vinto anche questa sfida laureandomi nei tempi a pieni voti.
Il Daishonin scrive: «Per esempio, il viaggio da Kamakura a Kyoto dura dodici giorni: se viaggi per undici giorni e ti fermi quando ne manca uno solo, come puoi ammirare la luna sopra la capitale?» (Lettera a Niike, RSND, 1, 911). E io volevo proprio vederla risplendere quella luna, a ogni costo!
Così ho iniziato a lavorare e ho raggiunto tanti obiettivi fino al 2012, quando ho deciso di ritornare nella mia terra natale, l’Alto Adige, per riavvicinarmi a mia madre e avere maggiori possibilità lavorative.
Non tutto è andato subito per il verso giusto, le persone mi sembravano chiuse e questo mi creava sofferenza. Ma poiché il Buddismo insegna che tutto parte da noi, ho deciso di abbattere i muri della diffidenza nel mio cuore e di mostrare con l’esempio il valore di una vita dedicata a kosen-rufu. I risultati non si sono fatti attendere: più credevo in me stessa, più le persone si fidavano di me, e nel giro di qualche anno sono riuscita ad affermarmi diventando responsabile infermieristica in un’azienda che conta duecento persone.
Ho dedicato questi anni a incoraggiare gli altri e a sostenerli senza arrendermi, trasmettendo a tutti gli insegnamenti del Buddismo. Ho conosciuto Roberto, compagno di vita con il quale mi sono sposata nel 2017 e con cui ogni giorno portiamo avanti una relazione di valore.
Ma proprio quando tutto sembrava andare per il meglio è arrivato il Covid, una nuova battaglia sconosciuta e piena di insidie. Sono stati due anni molto difficili, la pandemia ha logorato dentro noi infermieri, e pian piano e senza che me ne accorgessi mi sono trovata ad affrontare gli attacchi di panico. Dopo il primo anno di pandemia non riuscivo più a indossare la tuta per entrare in reparto, scappavo fuori in preda a crisi d’ansia che mi bloccavano il respiro. Qualcosa che non potevo controllare mi impediva di fare il lavoro al quale ho dedicato la mia vita!
Per la prima volta avevo l’impressione di non potercela fare, neppure con il Daimoku. In più, l’attività online aveva allontanato tante persone e questo era motivo di ulteriore sofferenza. Ho continuato a praticare ogni giorno con forza e determinazione per uscire da questa situazione, per essere felice e sostenere i membri del mio settore.
Ho iniziato a cercare risposte nel Gosho e come spesso accade mi si è aperta la strada: «Svuota la nave della tua vita dall’acqua del dubbio e dell’offesa e consolida gli argini della tua fede» (Gli argini della fede, RSND, 1, 558).
Ho capito che dovevo eliminare il dubbio e affrontare i miei attacchi di panico con forza e decisione, e così, sostenuta dal Daimoku, dalle mie colleghe e dalle persone a me più care, ho ricominciato a sfidarmi per riuscire a fare tutte quelle cose che mi davano ansia, come prendere l’ascensore, stare in spazi chiusi e tornare nel reparto Covid a fare il mio lavoro. Gli attacchi di panico sono spariti, e addirittura sono diventata un esempio e un sostegno per molte mie colleghe che stavano affrontando lo stesso problema!
Sono così grata al Gohonzon e alla Soka Gakkai, perché so che potrò sempre trasformare qualsiasi veleno in medicina!
Ringrazio Sensei, sempre presente nella mia vita, che con l’esempio mi ispira ogni volta a rimettermi davanti al Gohonzon. Ora voglio impegnarmi al massimo perché il mio settore rifiorisca e le persone che si sono allontanate possano risvegliarsi alla loro missione di Bodhisattva della Terra. Ho promesso a Sensei che qualsiasi cosa accada non mi arrenderò mai e continuerò a lottare per kosen-rufu!