In dodici anni di pratica buddista Massimiliano ha sviluppato la capacità di lottare fino in fondo attraverso le difficoltà per prendere in mano la sua vita e realizzarsi, negli studi e nel lavoro. Ogni volta rilanciando nella recitazione del Daimoku e nell’incoraggiare gli altri, ha vinto grazie alla volontà di tener fede alla promessa fatta al suo maestro
A trentanove anni, dopo dodici di pratica buddista, posso testimoniare quanto sia vero che “non avanzare significa retrocedere”, come afferma Nichiren Daishonin, e che occorre continuare a progredire, qualsiasi difficoltà sorga sulla nostra strada, coraggiosi come leoni.
Incontrare il Buddismo e recitare Nam-myoho-renge-kyo portò grandi benefici nella mia vita: da una situazione di blocco totale affrontai diciotto esami, fino alla laurea triennale in Sociologia a Napoli. Contemporaneamente iniziai ad affrontare ostacoli e sofferenze, in particolare nel rapporto con mia madre.
Ho vissuto in una famiglia complessa, mio padre era assente e mia madre se ne andò lasciando tre figli. Avevo difficoltà a perdonarla. Dopo qualche tempo mi ritrovai però ad abitare da lei. Furono anni turbolenti: spesso buttato fuori di casa quando lei era in preda al suo inferno di dipendenze. Non avevo un lavoro stabile e non sapevo come mantenermi. Il rapporto con la mia compagna ne fu distrutto e la laurea stava per andare in fumo.
La mia chiusura iniziava a manifestarsi anche durante gli zadankai, e così la responsabile del gruppo mi propose un appuntamento fisso per recitare Daimoku insieme. Decisi di sfidarmi. Ogni mattina andavo da lei e poi di corsa in facoltà a scrivere la tesi. Intensificai anche lo studio grazie alle riviste Il Nuovo Rinascimento e Buddismo e società, e pian piano acquisii consapevolezza. Presi la decisione di diventare membro della Soka Gakkai.
La mia vita iniziava a riaprirsi: riuscii a trovare un lavoro inerente ai miei studi appena conclusi. Intanto mia madre per la quarta volta mi buttava fuori di casa. In quella situazione, recitando Daimoku, presi la ferma decisione che non mi sarebbe mai più accaduto nulla di simile.
Poche ore dopo trovai una stanza. Iniziavo a prendermi la responsabilità della mia vita. I soldi erano pochi ma bastavano per l’affitto. Nichiren Daishonin scrive: «Anche se può accadere che uno miri alla terra e manchi il bersaglio, che qualcuno riesca a legare i cieli, che le maree cessino di fluire e rifluire o che il sole sorga a ovest, non accadrà mai che la preghiera di un praticante del Sutra del Loto rimanga senza risposta» (Sulle preghiere, RSND, 1, 306). Basai tutto sul Gohonzon e mi fu affidata la responsabilità dei giovani del mio settore.
Subito arrivò un grande beneficio: una borsa di studio e il pagamento di un lavoro fatto all’università.
Alcuni mesi dopo mi ritrovai punto e a capo, ma volevo tenere fede alla promessa fatta al mio maestro: volevo vincere!
Rilanciai nella recitazione del Daimoku e nell’incoraggiare quante più persone possibile, e il beneficio non tardò: mi arrivò una telefonata da Poste Italiane per un impiego ben retribuito per il quale avevo inviato il curriculum tanto tempo prima.
Nel frattempo, dopo un lungo distacco mia madre si rifece viva con un messaggio. La rividi e mentre le raccontavo di come la pratica buddista mi avesse permesso di trasformare il veleno in medicina, provai una profonda compassione e gratitudine per lei.
Un giorno, mentre consegnavo la posta, ebbi un incidente che mi tenne fermo per due mesi, perciò non mi venne rinnovato il contratto. Le mie giornate erano scandite da Daimoku, ricerca di lavoro, formazione e attività per gli altri.
A un certo punto il mio atteggiamento cambiò e iniziai a ringraziare per il periodo buio che stavo attraversando, perché sentii che sarebbe stata l’occasione di trasformare il mio karma.
Poi, durante l’ennesimo corso di formazione per affinare le mie capacità, ricevetti una telefonata da una scuola di Bologna che mi chiedeva di lavorare lì e trasferirmi entro tre giorni. Accettai, facendo fatica anche a trovare i soldi per il biglietto!
In tre giorni chiusi la mia vita in un mucchio di scatoloni e partii. Neanche il tempo di arrivare e si palesarono nuovi ostacoli: la segreteria aveva commesso un errore, il posto non mi spettava.
Dopo una settimana di tira e molla, uscì un altro posto, il mio, in quella stessa scuola: finalmente avevo un lavoro! Ripartii dalla pratica e dall’attività buddista creando legami con il mio nuovo gruppo di cui, dopo poco, mi fu affidata la responsabilità.
In un ritorno a Napoli rividi mia madre: in quell’occasione mi strinse forte e mi chiese scusa per tutto il dolore che mi aveva causato. In quell’istante sentii sciogliersi profondamente qualcosa, dentro la sua e la mia vita. Fu l’ultima volta che la vidi: infatti, ci lasciò quattro mesi dopo. Oggi, al momento, lavoro come tecnico di laboratorio informatico in una scuola a Bologna, condivido la casa con una persona con cui mi trovo benissimo, sono diventato responsabile di settore uomini e metto a punto progetti per progredire sempre.
Ho sperimentato quello che scrive Sensei: «Solo quando lottiamo contro le avversità l’enorme potere che risiede nelle profondità della nostra vita inizia rivelarsi. Le persone che raccolgono tutta la propria forza al momento della sfida sono quelle che vincono. Questa è una regola immutabile della storia» (Che cos’è la rivoluzione umana, Esperia, pag. 173,).