Grazie alla pratica buddista, Diana riesce a riconoscere nelle difficoltà che incontra nel lavoro una preziosa esperienza di crescita, riuscendo a provare gratitudine e senso di libertà. Dopo aver vinto nel posto in cui si trovava, cambia ambiente lavorativo realizzando così la prova concreta per incoraggiare amici e familiari
Ho incontrato la pratica buddista nel 2010 quando, terminata l’università, mi ritrovavo senza un progetto per il futuro e senza soldi. Mi dissero che recitando Nam-myoho-renge-kyo avrei realizzato qualsiasi cosa. Ero scettica, ma anche disperata, per cui decisi di cominciare.
Recitando Daimoku realizzai presto l’obiettivo di andare a New York per studiare moda, supportata anche economicamente dalla mia famiglia. Una volta arrivata, però, smisi di praticare: non studiavo, non facevo shakubuku, non avevo basi solide nella fede. Fui costretta a tornare in Italia con un grande senso di fallimento addosso, ma decisa a dare ancora una chance al mio sogno.
Mi trasferii a Milano e nel 2014, a seguito della chiusura di una relazione, mi ritrovai al punto di partenza: disperata e senza prospettive. Cercai di nuovo la pratica buddista, compresi la necessità di sviluppare ogni aspetto della fede e decisi di ricevere il Gohonzon quello stesso anno.
Sostenuta dal Daimoku, partecipavo alle attività, studiavo il Gosho e mi sforzavo di approfondire la relazione maestro–discepolo.
Il maestro Toda diceva: «Nella fede fai gli sforzi di una persona, nel lavoro di tre». Senza risparmiarmi in entrambi questi ambiti, nel giro di pochi mesi ottenni un’importante promozione nella grande azienda di moda in cui avevo iniziato a lavorare da un anno.
Con il passare del tempo, però, continuarono a crescere le responsabilità e non i riconoscimenti. Dopo otto anni e varie crisi da stress emotivo, tra gli obiettivi di inizio anno determinai di trovare un lavoro che non fosse più un compromesso, che mi piacesse, con uno stipendio per me allora impossibile e che fosse utile alla società, secondo i tre criteri indicati da Makiguchi nella “Teoria del valore” (bellezza, guadagno e bene).
Promisi di vincere per dare una prova concreta della validità degli insegnamenti buddisti e per incoraggiare la mia famiglia, gli amici e le giovani donne di cui ero responsabile.
Portavo avanti da qualche mese anche la responsabilità di territorio per l’attività del Gruppo futuro, perseverando con entusiasmo benché alle riunioni a volte non si presentasse nessuno, motivata dalla consapevolezza che sostenere i Futuro fosse una causa nobile e giusta.
Sul lavoro, invece, non riuscivo ad avere lo stesso atteggiamento e tutto mi sembrava pesante.
All’ennesima ricaduta da stress finii in ospedale. Mi resi conto di aver toccato il fondo. Ero stanca, arrabbiata e non volevo più sentirmi così.
«Una situazione senza via d’uscita è un punto di svolta determinante. Cosa fai? Ti arrendi e getti la spugna oppure ti alzi con una decisione coraggiosa e continui a combattere? È questa differenza di atteggiamento che determina la vittoria o la sconfitta» (BS, 179, 37). Dopo aver letto questo incoraggiamento, tornai davanti al Gohonzon con la decisione di guardare in faccia la sofferenza per trasformarla, a qualsiasi costo.
Mi vidi, come in uno specchio, intossicata dall’amarezza e dal risentimento di non vedere soddisfatte le mie aspettative nei confronti di un lavoro che mi aveva comunque sostenuto durante la pandemia e in piena recessione.
Avevo smesso di provare gratitudine, lasciando spazio all’arroganza.
Studiando il Gosho Ripagare i debiti di gratitudine ho imparato che la gratitudine è il trampolino che aiuta a superare il piccolo io e i confini ristretti del proprio interesse personale: ma non lo stavo mettendo in pratica, ero partita da un sogno e mi stavo rovinando la salute.
Promisi di cambiare lavoro solo dopo aver trasformato quel sentimento di rancore e sconfitta. Arrivò una proposta e mi diedi tempo fino al rientro dalle ferie per decidere.
A settembre, finalmente, cominciai a riconoscere nelle difficoltà di cui mi lamentavo una preziosa esperienza di crescita. Provai una sincera gratitudine. Ora ero finalmente libera di andare. Diedi le dimissioni e in risposta arrivarono parole di riconoscimento e stima anche dai vertici dell’azienda.
Oggi lavoro nella moda e per una Fondazione che ha finalità umanitarie e culturali.
Mi sto occupando dell’emergenza profughi dall’Ucraina con iniziative di ospitalità su Milano e il sostegno alle missioni in loco. Collaboro con le più importanti istituzioni cittadine nell’ambito dell’arte e della cultura.
Ho uno stipendio più alto di quanto avessi determinato e sento di aver concretizzato ciò che dice Toda ne La rivoluzione umana: «Per quanto sia sgradevole il vostro impiego, lavorate sodo, indirizzate le vostre preghiere al Gohonzon e sforzatevi al meglio. Verrà certamente il momento in cui troverete un lavoro che vi piace, che vi reca beneficio e che contribuisce al bene della società nel suo complesso. Ogni aspetto dei lavori che avrete svolto fino a quel momento diventerà una preziosa esperienza. La fede si manifesta nella vita quotidiana e nella società» (RU, 8, 161).
Anche se sembra irraggiungibile, ogni sogno che determiniamo di realizzare è una promessa che facciamo a Sensei, e quella stessa promessa è la chiave per la vittoria.
In questo momento così difficile per l’umanità, sento senz’ombra di dubbio che la rivoluzione umana di ciascuno di noi, unita al voto di realizzare kosen-rufu, può veramente trasformare il nostro ambiente, su scala globale, in una terra di pace.