Carlo è un giornalista. Recentemente, dopo un’esperienza realizzata a partire dalla lettura de La nuova rivoluzione umana, ha deciso di lavorare come inviato nei luoghi di conflitto, e attualmente sta cercando di raccontare la situazione internazionale a seguito della guerra in Ucraina
Negli ultimi mesi ho partecipato a diverse trasferte giornalistiche, soprattutto all’estero.
Ricordo molto bene la prima volta che come inviato di Rai Tre ho seguito la tragedia dei profughi intrappolati al confine tra la Polonia e la Bielorussia.
Partimmo la mattina presto da Varsavia diretti verso la frontiera. Dopo cinque ore di macchina arrivammo in quella che le autorità polacche avevano chiamato “zona rossa“, un’area inaccessibile per chiunque, presidiata dalle forze dell’ordine e blindata da sirene e dai militari con il mitra.
In quello spazio chiuso, dove nessuno poteva mettere piede, c’erano i profughi, nascosti tra i boschi, affamati, prigionieri di un freddo glaciale, braccati dalle guardie di frontiera dei due paesi.
In testa mi frullava una frase di Sensei: «In una società dove manca il rispetto dei diritti umani, la reputazione e la posizione non valgono nulla» (NR, 645, 20).
Recitavo silenziosamente Daimoku con la determinazione di poter entrare anche io in quella foresta ricoperta di neve, vedere cosa stesse accadendo e poterlo raccontare.
Intanto continuavo a incoraggiare e a pregare anche per i miei compagni di viaggio e telefonavo per rintracciare un contatto utile, qualcuno che ci potesse aiutare ad entrare nella “zona rossa”. Così riuscii a entrare in contatto con una volontaria italiana che lì in Polonia portava il cibo ai rifugiati lasciando dei cartoni con i beni di prima necessità tra gli alberi. Incontrammo Francesca (nome di fantasia) e con lei entrammo in quell’area inaccessibile a pochi chilometri dalla Bielorussia.
Nella foresta, camminando, lei ci raccontava le varie storie di disperazione che aveva vissuto. Addentrandoci iniziammo a trovare gli indumenti ghiacciati lasciati dai migranti in fuga. Molti di questi appartenevano ai bambini, alcuni dei quali, ci raccontò Francesca, erano sicuramente deceduti. In quel momento decisi che dovevo dare un mezzo forte a quella ragazza per continuare la sua battaglia, il mezzo più forte di tutti, il Daimoku.
Così le parlai del Buddismo.
Sono stato altre tre volte in Polonia, al confine con la Bielorussia e poi alla frontiera con l’Ucraina per documentare la disperazione delle donne e dei bambini in fuga dalla guerra. Sono andato anche in Finlandia al confine con la Russia per alcuni servizi sui russi che scappano dal loro paese, e quindi anche in Israele e in Palestina.
Tutto questo mi ha definitivamente aperto gli occhi sul fatto che dentro a ogni guerra ci sono solo uomini, donne e bambini che soffrono.
Ogni volta che parto mi baso sempre e prima di tutto sulla recitazione del Daimoku, affinché il Gohonzon mi apra la strada e mi dia la forza di incoraggiare quante più persone possibile parlando loro del Buddismo di Nichiren Daishonin.
Porto sempre con me un volume de La nuova rivoluzione umana, e mi nutro degli insegnamenti del maestro Ikeda: «I semi della Legge mistica, una volta piantati nel cuore di una persona, germoglieranno quando sarà il momento giusto. Aiutare coloro che ci circondano a stabilire un legame con il Buddismo di Nichiren e piantare quei semi è la chiave per realizzare kosen-rufu» (NRU, 30, 428).
In realtà solo da pochi anni ho iniziato a studiare con attenzione e sistematicamente La nuova rivoluzione umana, che considero un’opera determinante per la mia vita.
Da allora tutto è diverso. Ho lasciato una vita tranquilla in redazione per ricominciare come inviato.
E non scrivo più per me stesso, interessato a una soddisfazione autoreferenziale o a un qualche vantaggio professionale. Adesso lotto perché il mio lavoro tuteli la vita delle persone comuni.
Spero con tutto il cuore di fare mio, sempre di più, lo spirito “dell’inviato del Tathagata” ovunque occorra. Questo è il mio desiderio e la mia responsabilità più profonda, ereditare e mettere in pratica, come giornalista, l’esempio e l’insegnamento del maestro Ikeda.