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Provo un senso di impotenza e paura rispetto alla situazione internazionale che si è creata con la guerra e la pandemia. Come posso affrontare tutto ciò con il Buddismo? (Aurora D.)
Risponde Roberto Francini, coordinatore del Comitato nazionale di studio
Il lungo periodo della pandemia e ora questa guerra, così improvvisa e incomprensibile per la maggior parte di noi, e che sentiamo terribilmente vicina con la sua minaccia del ricorso alle armi nucleari: tutto questo ci ha posto bruscamente di fronte al fatto che la nostra stessa esistenza è strettamente legata a quella di tutti gli altri esseri umani. Questo modo forzato di dover uscire dal nostro piccolo io, da un’esistenza dominata dal nostro interesse personale, in realtà, se visto con gli occhi della fede nella intrinseca natura di Budda di ogni singola persona, diventa un’occasione per vivere con ancora più forza e convinzione la nostra missione di Bodhisattva della Terra.
Un senso iniziale di impotenza e di paura è del tutto comprensibile, ma non dobbiamo mai dimenticare quanto siamo fortunati ad aver incontrato la pratica buddista, la Soka Gakkai, la persona che ci ha parlato del Buddismo e il maestro Ikeda.
Questo è un buon momento per ricordarci di ripagare il nostro debito di gratitudine.
Come possiamo affrontare queste grandi difficoltà con la pratica buddista?
La prima risposta che viene in mente è questa: tutto parte da una forte e sincera preghiera, dal trasformare ogni sofferenza in preghiera. E se ci troviamo in difficoltà su questo aspetto, ricordiamoci sempre che abbiamo due potenti risorse in grado di sostenerci: il maestro e il tesoro del samgha, ovvero la comunità dei compagni di fede.
Il maestro Ikeda spiega:
«Di fronte al verificarsi di guerre e conflitti, rappresaglie e massacri, è naturale considerare se stessi incapaci di aprire sentieri verso la pace attraverso il dialogo, è naturale rassegnarsi e perdere la speranza. Tale tendenza è in realtà il maggiore ostacolo al raggiungimento della pace. […]
Cambiando prospettiva nel nostro modo di vedere le cose, si può comprendere che la realizzazione di una pace durevole nel mondo avviene attraverso il confronto con questa oscurità dell’individuo, in definitiva un confronto nel profondo dell’esistenza tra il “credere” e il “non credere” nel potenziale umano» (NRU, 29, cap.3, p.ta 54).
La forza della comunità dei praticanti uniti nel voto di realizzare kosen-rufu va ben al di là della nostra immaginazione, come ci spiega ancora il maestro Ikeda ricordando gli inizi della propagazione nel Giappone del dopoguerra, quando tanti nuovi fedeli si risvegliarono alla loro missione incoraggiati dal presidente Toda. Scrive infatti il maestro Ikeda:
«Ogniqualvolta ci gettavamo a capofitto nelle nostre battaglie come discepoli di Toda, si sprigionavano da dentro la nostra vita, con incredibile forza, il potere della pratica, il potere intrinseco dei Bodhisattva della Terra, e il potere di combattere il male, mettendoci così in grado di spezzare le catene del nostro destino e di aiutare gli altri a fare lo stesso. Da persone che chiedevano aiuto siamo diventati persone che correvano in aiuto degli altri» (Lezione su L’eredità della Legge fondamentale della vita, Esperia, pag. 31).
Forti degli incoraggiamenti di Sensei e del sostegno dei nostri amici, possiamo ridare vigore alla nostra pratica buddista e “gettarci a capofitto” nella realizzazione della pace nel mondo.