8×1000 progetto COMETA in NR735
In queste pagine pubblichiamo un’intervista relativa al progetto COMETA, finanziato con i fondi 8×1000 relativi al 2020. Hanno risposto alle nostre domande il professor Gennaro Ciliberto, direttore scientifico dell’Istituto nazionale tumori regina Elena (IRCCS), e il dottor Salvatore Sciacchitano, ricercatore dirigente medico della facoltà di Medicina e Psicologia dell’Ospedale Sant’Andrea, Università La Sapienza di Roma. Con loro abbiamo approfondito alcuni aspetti di questo progetto realizzato da un soggetto capofila insieme ad altri cinque soggetti con sedi nelle regioni Lazio, Emilia Romagna e Puglia, con un impatto a livello nazionale
Tutte le info del progetto sono disponibili su:
https://ottopermille.sokagakkai.it/progetto/cometa/
Potete illustrarci le realtà che stanno collaborando all’attuazione del progetto?
Ciliberto: COMETA è un progetto di rete. È stato concepito nella fase iniziale della pandemia in cui esistevano grandi differenze nella diffusione del contagio tra le varie regioni di Italia. All’epoca ci proponevamo di andare a studiare queste differenze e l’impatto che la diffusione della pandemia potesse produrre su alcuni ospedali del sistema sanitario nazionale (SSN), in particolare degli istituti di ricovero che lavorano in ambito oncologico, studiando l’impatto sui soggetti fragili, oncologici ma anche con malattie autoimmuni o immunodepressi.
Abbiamo coinvolto nel nord Italia il centro IRCCS di Reggio Emilia, nel centro Italia gli Istituti IFO IRCCS e l’Ospedale Sant’Andrea di Roma, al sud il Centro Oncologico di Bari – IRCCS.
Abbiamo poi coinvolto la ASL Roma 1, in cui si trova il centro di epidemiologia della regione Lazio, che ha una grande esperienza e può interfacciarsi anche con le altre due regioni, Puglia ed Emilia Romagna, per ottenere dati epidemiologici.
Quali sono gli obiettivi principali del progetto COMETA?
Ciliberto: Il progetto ha lo scopo di studiare l’impatto del Covid-19 sia sul funzionamento dei nostri ospedali, sulla qualità, rapidità e continuità delle cure, ma anche trovare risposte per capire che cosa succede ai pazienti a livello individuale.
Noi non eravamo preparati alla pandemia, ne siamo stati travolti e se fossimo stati più preparati avremmo sicuramente fatto meglio. Questa pandemia ci deve servire per capire che investire nella ricerca – e per questo ringraziamo per i fondi che avete stanziato per questo progetto – che contribuisce a mettere insieme tasselli che ci permetteranno di essere più preparati nel futuro.
In particolare, l’idea è analizzare tre diversi aspetti.
Il primo obiettivo è epidemiologico: andare a sviluppare degli indicatori di performance dei tre servizi sanitari regionali di riferimento confrontandoli tra di loro in diverse fasi della pandemia. Il progetto era stato ideato nel 2020, voleva andare a misurare cosa fosse successo in termini di impatto negativo sulla prestazione dei servizi ai pazienti oncologici. La domanda iniziale era di andare a vedere se il numero di prestazioni fosse diminuito, in quale arco di tempo e come le prestazioni fossero poi riprese a ritmo più normale; l’accesso alle terapie, chirurgie, ai farmaci… Poi il progetto si è prolungato e comprenderà anche 2021 e 2022.
Il secondo obiettivo studia la situazione a livello dei singoli ospedali. È un problema di politica ospedaliera sempre in riferimento ai pazienti fragili. Ospedali “No Covid” come quelli strettamente oncologici vengono confrontati con ospedali misti (il Sant’Andrea e l’IRCCS di Reggio Emilia) per vedere il livello di prestazioni e le tempistiche eventualmente rallentate o accelerate.
Qui vengono confrontati i parametri, non anno per anno, ma trimestre per trimestre, da metà 2019 fino a metà 2022.
Un altro obiettivo è capire meglio l’impatto del Covid sui pazienti oncologici/fragili raccogliendo materiali soprattutto tramite i prelievi di sangue. Si sa che il Covid ha un effetto negativo sulla risposta immunitaria, quindi ci sono strumenti sofisticati che permettono di andare a vedere cosa succede alle cellule del sangue, ai leucociti e linfociti. Abbiamo raccolto molto materiale che stiamo analizzando con ottimi risultati, confrontando alcuni parametri nelle cellule del sangue dei pazienti fragili rispetto a quelli di pazienti Covid senza patologie oncologiche. L’obiettivo è di “biobancare” il materiale e siamo anche riusciti a fare qualche studio a partire dai dati raccolti.
Il progetto è iniziato il 1 aprile scorso, quali esiti e/o risultati si sono avuti in questi primi cinque mesi di attività?
Ciliberto: Ci troviamo di fronte a un progetto con varie unità sul territorio italiano ed è quindi opportuno lavorare con un coordinamento che tenga le fila di tutto. Abbiamo iniziato con anticipo con delle videoconferenze mensili plenarie dall’inizio dell’anno e abbiamo creato sottogruppi di lavoro per ognuno dei tre obiettivi.
Per poter raccogliere i dati e analizzarli ci vuole del tempo. Il progetto nella parte epidemiologico coordinato dall’ASL Roma 1 (obiettivo 1) ha già prodotto risultati interessanti soprattutto riguardanti la flessione dell’accesso alle cure – molto drammatica – che si è avuta in alcuni ambiti e settori. Ad esempio, monitorando la quantità di farmaci erogati per malattie reumatologiche, oncologiche, o la quantità di interventi chirurgici, è emersa una flessione molto forte nella regione Lazio. Non abbiamo ancora i dati dell’Emilia Romagna e della Puglia per poter fare un confronto.
Per quanto riguarda la parte ospedaliera (obiettivo 2), abbiamo valutato i parametri e avremo a breve una visione di quello che è successo e sta succedendo negli ospedali.
Sul “biobancaggio” (obiettivo 3), siamo riusciti a ottenere una notevole quantità di campioni dai pazienti e abbiamo iniziato a fare indagini che hanno prodotto articoli scientifici che in un paio di casi sono stati accettati per le pubblicazioni. Uno in corso di pubblicazione è stato il frutto della collaborazione tra l’IFO, l’Ospedale Sant’Andrea e La Sapienza di Roma (vedi il comunicato stampa a questo link https://bit.ly/3E8mJlf).
Quali sono le ricadute attese del progetto per il sistema socio-sanitario a livello locale e nazionale?
Sciacchitano: La pandemia da Covid-19 nella sua gravità, ma soprattutto nella sua impressionante velocità di propagazione, ha reso disponibile per un breve tempo un elevato numero di pazienti affetti tutti con la stessa patologia. Ci ha fornito un approfondimento clinico e epidemiologico unico per chiarire i meccanismi fisiopatologici di questa nuova malattia.
Il Ministero della Salute ha chiesto a tutti i centri che gestivano pazienti Covid di fornire dati di tipo clinico e sperimentale atti a comprendere meglio come affrontare e combattere questo virus.
Da parte dell’Ospedale Sant’Andrea, gli studi effettuati sia dal punto di vista epidemiologico che sperimentale e clinico sono stati depositati nella letteratura, messi a disposizione delle unità strategiche dell’ospedale e comunicati alla regione Lazio, allo scopo di stabilire i migliori metodi per affrontare sia la situazione attuale che per il futuro.
Un particolare effetto atteso dalla realizzazione del progetto è quella di effettuare una migliore caratterizzazione della fragilità dei pazienti.
Una caratterizzazione migliore della fragilità può infatti concentrare in maniera più precisa le misure di prevenzione e cura dei pazienti che hanno subìto le conseguenze peggiori della malattia.
Quali sono, in sintesi, gli approcci e le strategie per il monitoraggio e la cura dei pazienti fragili in era COVID-19 che stanno emergendo nell’ambito del progetto?
Sciacchitano: Non possiamo parlare di approcci e di strategie di monitoraggio di pazienti fragili senza avere chiaro cosa intendiamo per “pazienti fragili”. Una delle problematiche riscontrate nel corso dei nostri confronti mensili è stato concordare una definizione di fragilità. C’è una definizione diffusa in ambito medico della fragilità molto complicata da riportare nella realtà.
L’età può essere un criterio, ma molti soggetti giovani erano da considerarsi fragili in virtù di patologie che presentavano, in virtù di abitudini di vita non salutari, o problematiche genetiche. Alcuni anziani hanno mostrato una notevole resistenza alla patologia.
Inizialmente ci si è basati sul criterio dell’età anche per la programmazione della vaccinazione. È un criterio corretto? Nel primo periodo i pazienti erano molto anziani e con pluripatologie ma poi nelle altre ondate no, erano molto più giovani senza grandi patologie. Quindi il criterio dell’età usato comunemente ci è sembrato assai insoddisfacente. Il nostro convincimento è che la risposta per chiarire la valutazione vada ricercata nelle cellule che abbiamo raccolto e che sono depositate nella “biobanca”.
Il nostro impegno è di ottenere una definizione più specifica per meglio programmare gli interventi di prevenzione e calcolare la fragilità personalizzata diretta sui pazienti, per effettuare interventi mirati alle specifiche fragilità presentate, senza più basarsi sul criterio semplicistico dell’età ma con valutazioni di vulnerabilità.
Bisogna investire sempre di più nella ricerca, il nostro paese lo fa meno degli altri. Ci sono paesi che investono molto a livello nazionale in studi di epidemiologia molto avanzati anche con l’elaborazione di dati.
Grazie al sostegno come quello che voi state offrendo con i fondi 8×1000 possiamo portare avanti questo progetto che porterà a un’efficienza enorme per la gestione e per la spesa: poter fare vaccini e tamponi molto più mirati. Un investimento che genera risparmio.