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Felicità per sé e per gli altri / parte 1 - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:11

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    Felicità per sé e per gli altri / parte 1

    Quest’anno le riunioni dei Gruppi uomini, donne e giovani della terza settimana del mese si ispirano al libro Cos’è la felicità. Nel mese di luglio approfondiamo la prima parte del quinto capitolo: “Felicità per sé e per gli altri”. In questa tavola rotonda alcuni responsabili di regione della Toscana Nord riflettono sui temi di questo capitolo

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    Quest’anno le riunioni dei Gruppi uomini, donne e giovani della terza settimana del mese si ispirano al libro Cos’è la felicità. Nel mese di luglio approfondiamo la prima parte del quinto capitolo: “Felicità per sé e per gli altri”. In questa tavola rotonda alcuni responsabili di regione della Toscana Nord riflettono sui temi di questo capitolo

    Linda Starita, responsabile giovani donne
    Marco Gensini, responsabile uomini
    Gabriele Mariani, responsabile giovani uomini
    Deanna Cavicchi, responsabile donne

    «Se si accende un fuoco per gli altri, si illuminerà anche la propria strada»: Il Daishonin afferma che se ci impegniamo per la felicità degli altri anche la nostra vita risplenderà di felicità.
    Cosa significa per te?

    Linda: In questi anni, nei momenti cruciali in cui talvolta ho avuto difficoltà a credere in me stessa, ho avuto la fortuna di poter rivolgere il mio cuore alle giovani donne che ho l’onore di sostenere. Ciò mi ha sempre incoraggiata per tornare davanti al Gohonzon a recitare Daimoku ancora più vigorosamente.
    Qualche anno fa, insieme a mia madre, ho fatto shakubuku a mia sorella, che successivamente è diventata membro della Soka Gakkai. Tuttavia, nonostante il costante dialogo e i continui incoraggiamenti, non riusciva a sentirsi felice e soddisfatta delle sue scelte. In tutto questo tempo mi sono allenata a trasformare il mio giudizio e le mie aspettative nei suoi confronti, cercando di accoglierla e di trasmetterle fiducia, ma soprattutto di condividere con lei i miei desideri, i miei dubbi e le mie paure.
    Desiderare sinceramente di essere un punto di riferimento per lei ha rafforzato il nostro rapporto e la nostra crescita come giovani donne. Recentemente lei ha trovato il coraggio di porre fine a una relazione “tossica”, e mi ha rivelato che finalmente sente la gioia nella sua vita, ha ripreso in mano le sue amicizie e le sue passioni. Questa è per me un’importante prova concreta che dimostra la grandezza del nostro insegnamento!

    Sensei sottolinea che non possiamo costruire la nostra felicità sull’infelicità altrui, e chiarisce che nemmeno pensare solo agli altri disinteressandosi del proprio benessere è vera felicità. Qual è dunque il sentiero che conduce alla felicità “propria e degli altri”?

    Marco: Il Buddismo affronta questo aspetto fondamentale affermando che la nostra vita è inseparabile da quella degli altri.
    Prima di incontrare la pratica buddista vivevo molto questa contraddizione: avrei voluto “dare” tutto agli altri, ma pensavo che per poterlo fare dovevo lasciare da parte la mia vita. Ma in questo modo, anziché sentirmi arricchito mi sentivo svuotato.
    D’altra parte avevo tanti sogni e desideri che volevo realizzare, ma li percepivo in contrasto con l’aspirazione di dare agli altri. Pensavo tra l’altro di non avere niente di valido da dare.
    Incontrando il Buddismo ho rapidamente risolto questa sofferenza che mi tormentava da sempre: potevo offrire un mezzo efficace a ogni persona per diventare felice, e questa per me era la più grande gioia e un’enorme responsabilità.
    Il presidente Ikeda afferma che nel Buddismo e nella Soka Gakkai, quando aiutiamo un altro a ritrovare la forza di vivere, anche la nostra forza vitale aumenta; quando lo aiutiamo a espandere il suo stato vitale, anche la nostra vita si espande. Dal punto di vista dei Bodhisattva della Terra fare del bene agli altri significa far del bene a se stessi.
    Tuttavia Sensei ci mette in guardia dicendo che sarebbe arroganza dire che “noi facciamo del bene agli altri”, sarebbe ipocrisia dire che “noi salviamo le persone”.
    Solo quando capiamo che ciò che facciamo per gli altri lo facciamo anche per il nostro bene, stiamo praticando con vera umiltà.

    In questo capitolo il presidente Ikeda cita le parole di Shakyamuni: «Non c’è al mondo una persona che ricerchi la felicità più di me», dicendo che questa frase ha un importante significato. Qual è questo significato alla luce della tua esperienza?

    Gabriele: Si potrebbe pensare che la ricerca della felicità finisca automaticamente quando si raggiunge una condizione di totale benessere. Eppure, come ci insegna il Buddismo, la felicità va sperimentata continuamente.
    Mi colpisce molto un incoraggiamento del presidente Ikeda: «[I veri praticanti buddisti] non pensano con arroganza: “Così è sufficiente”, ma continuano a sforzarsi guidati dal desiderio di ottenere una fortuna ancora maggiore e sviluppare uno stato di eterna felicità» (pag. 96).
    I primi anni dopo aver ricevuto il Gohonzon sentivo di avere un grande alleato con il quale potevo realizzare tutto. Questo mi permetteva di fare esperienze di fede, ma ero molto concentrato su me stesso. Andando avanti mi sono reso conto della bellezza di vivere ogni esperienza a partire dalla preghiera per chi mi stava intorno: la famiglia, gli amici e i compagni di fede. Senza il desiderio di vedere tutti loro felici, la mia realizzazione era fine a se stessa.
    Ho scoperto che ogni relazione è potenzialmente il punto zero della mia rivoluzione umana e della mia felicità. Sensei scrive: «Il cuore del Buddismo pulsa nella determinazione di migliorarsi e sfidarsi all’infinito» (Ibidem).
    Perseguire la felicità non ha limiti se crediamo profondamente che tutti gli esseri umani possono godere appieno della vita e rivelare la loro natura di Budda.

    In questo capitolo Sensei afferma: «Non dimentichiamo che la fortuna, i benefici e la saggezza cresceranno nella misura delle azioni che compiamo per la causa di kosen-rufu». Come possiamo mettere in pratica questo incoraggiamento senza cadere nel senso del dovere?

    Deanna: Comprendere il significato di kosen-rufu non è stato per me facile né immediato, nemmeno aver chiaro quali fossero le azioni da compiere per la causa di kosen-rufu.
    Come quando da piccoli prima si impara a parlare e poi a leggere e a scrivere, così nel mio percorso di fede è stato importante prima “fare” e poi capire.
    Così ho creduto, piano piano, nelle cose che leggevo, che studiavo, che ascoltavo, mentre cercavo non tanto di capirle quanto di metterle in pratica.
    Ad esempio: parlavo del Buddismo agli altri e provavo una gioia sconosciuta e indescrivibile. Una volta, due volte, tre volte: non era una coincidenza. Trasmettere la Legge a qualcuno alimentava davvero la mia convinzione, elevava la mia condizione vitale.
    Così accadeva nello sforzo di incoraggiare qualcuno nella fede, di condividere la sua lotta, di vedere trasformata la sua condizione vitale.
    Se mi guardo indietro, la svolta è stata la mia decisione consapevole di dedicare la vita a kosen-rufu senza riserve, convinta che in questo voto solenne c’è la possibilità di incontrare il cuore di Sensei ogni giorno, oltre i miei limiti personali, i condizionamenti dei miei pensieri e quelli dettati dalle circostanze.
    Fare di questo voto il pilastro della mia esistenza è stato indispensabile per non cadere nella formalità, per tenere viva la mia passione, per non vivere nessuna circostanza con senso del dovere e fare la mia rivoluzione umana.
    Anche del voto a oggi non ho una comprensione razionale, però lo rinnovo ogni giorno e sono felice.

    Riferimenti:

    Cos’è la felicità, cap. 4, pagg. 76-89, pubblicato anche su BS, 169, 30-36

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