Io c’ero, certo che c’ero, praticavo da poco avevo diecimila problemi – separazione, figlie, concorsi, pochi soldi – ma volevo dare il mio contributo alla nascita del Centro culturale di Firenze, il primo kaikan in Italia, nella villa di Bellagio del Cinquecento con un grande parco intorno. La mia prima attività, non amando cucinare, fu quella di “sfidarmi” a farlo per tutti quei volontari che il sabato e la domenica, da tutta Italia, venivano a dare il loro contributo ai lavori del centro: centinaia di panini al salame, tanti polpettoni, chili di patate da sbucciare, freddo boia nell’inverno tra il 1987 e il 1988 in quella “cucina all’aperto” lì dove oggi ci sono gli uffici. A un certo punto è proprio il caso di dire, l’illuminazione: devo offrire ciò che so fare meglio, io sono un architetto, devo offrire la mia professionalità. Sono entrata così nel gruppo di progettazione.
Al di là dei risultati, quello di cui ho un ricordo bellissimo è l’atmosfera che ogni giorno si respirava al Centro, nonostante le interminabili discussioni e gli scontri, più dettati dalla voglia di dare il meglio che non di affermare il proprio punto di vista. Ho passato la primavera e l’estate del 1989 fino all’autunno, buona parte dei miei pomeriggi o sere al Centro. Il clima era fantastico, creativo, coinvolgente. E ogni sera fino a tardi a disegnare. Tanti Gongyo dei volontari insieme, l’opportunità di ascoltare tante spiegazioni di Gosho, la possibilità di conoscere tanta gente, di lavorare insieme, gomito a gomito con il grande obiettivo di avere un luogo degno di accogliere il presidente Ikeda e di lanciare l’attività di kosen-rufu in Italia, hanno trasformato quello che doveva essere un periodo difficile della mia vita in un periodo che ricordo ancora con tenerezza, con una certa malinconia per le attese, le speranze… direi proprio che quel periodo ha coinciso con l’inizio del cambiamento della mia vita. Direi che da lì è partito tutto: quella piccola esperienza lavorativa è stata una grande occasione per la mia vita professionale. Non ho seguito la realizzazione dei lavori perché gli impegni familiari e lavorativi non mi hanno più permesso quella assiduità nella presenza al Centro, ma come ho avuto modo poi di vedere, il mio progetto, a parte qualche cosa, è stato seguito fedelmente. Quando Ikeda nel ’92 e nel ’94 è venuto in Italia mi faceva un certo effetto pensare che si muoveva in quegli spazi e in quegli arredi che avevo pensato per lui e per sua moglie. Una sensazione quasi di complicità e di affetto che ho riprovato quando, nell’aprile del 2000, sono stata in Giappone e ho potuto godere dell’ospitalità calda che sensei offre a tutti i membri del mondo.
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