Quest’anno ricorre il 40° anniversario della visita del presidente Ikeda in Italia e in Europa, nel 1981. Era il 6 giugno quando Sensei, dopo aver visitato l’Italia, si recò in Francia presso il Centro culturale europeo di Trets e definì il 6 giugno come il “Giorno d’Europa”, poi rinominato “Giorno di maestro e discepolo per l’Europa”. I giovani italiani che hanno incontrato Sensei nell’81 hanno dato vita a un’ondata di shakubuku che si è propagata in tutto il nostro paese
Siamo tutti re e regine
Patrizia Ponzali, Firenze
Praticavo già da tre anni, ma il 1981 è stato il mio anno d’oro per quanto riguarda l’attività buddista: ho partecipato al garden party a Firenze, poi sono stata al corso con Sensei a Trets e in autunno ho partecipato a un corso in Giappone.
La primissima volta che ho incontrato il presidente Ikeda è stato a Villa Cora, nel foyer dell’hotel.
Non ricordo assolutamente cosa stessi facendo quando Sensei notandomi da lontano esclamò: «Una byakuren!». Poi si avvicinò a me come se fossi sua figlia, mi prese la mano e me la tenne sulla sua guancia dicendomi due cose di cui ho impiegato anni a capire il significato. Quelle due cose sono state per me la spina dorsale che mi ha permesso di restare sempre all’interno della Soka Gakkai italiana.
Lì per lì non avevo capito il senso profondo di quelle parole, mi erano addirittura sembrate scontate ma poi, col tempo, si sono rivelate fondamentali per non vacillare davanti alle difficoltà che ho incontrato.
In seguito ho avuto molte altre occasioni di incontrare il maestro, e mi reputo molto fortunata per questo, ma il rapporto stretto con Sensei è racchiuso tutto in quel primissimo contatto.
In occasioni come quelle, che fossero garden party o corsi estivi, mi sentivo sempre fuori posto, inadeguata e mai all’altezza della situazione, e lui con un semplice gesto era riuscito in un istante a farmi sentire importante.
Solo con la sua presenza era riuscito a toccare le corde della fiducia, dell’autostima e dell’amore per la mia persona, fino a farmi sentire una regina.
Non ho più perso queste sensazioni e tutte le altre volte che l’ho incontrato, anche se ero dietro le quinte, tornavo a sentirmi così, una vera regina. Il comportamento di Sensei è la manifestazione tangibile dell’umanesimo buddista, ci ha insegnato a prenderci cura di ogni individuo. Questo secondo me è il fondamento della Soka Gakkai.
Il fatto di riscoprire accanto a lui il mio valore di persona, la mia dignità, la fiducia che poi mi ha accompagnato tutta la vita è stato il regalo più grande che potesse farmi e credo che noi tutti dovremmo fare altrettanto con coloro che si avvicinano alla Soka Gakkai, risvegliando in ogni persona la bellezza che le appartiene da sempre, senza giudizio.
Come discepoli del maestro Ikeda abbiamo la missione di agire per far sentire gli altri come dei re e delle regine. Se facciamo sentire ogni individuo come un tesoro prezioso, possiamo davvero creare un futuro migliore. Credo fermamente che questa sia l’unica via per mettere in pratica l’insegnamento del nostro maestro.
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Io e il mio maestro
Andrea Bottai, Firenze
Incontrare il maestro a ventidue anni è stato per me come risvegliarmi a una nuova vita. Come se qualcosa, a lungo sopito dentro di me, si fosse destato e tornasse in vita per prendere il suo posto, riconoscendo un familiare richiamo.
Era fine maggio del 1981 quando accogliemmo Sensei per la prima volta a Firenze. Come autista della delegazione ebbi la fortuna di spostarmi continuamente con lui nei giorni della sua permanenza. Così ebbi molte opportunità di stargli vicino, non solo nelle riunioni che tenne con noi, ma soprattutto nelle molte occasioni che ci offrì di dialogare insieme a lui. Il presidente Ikeda si rivolgeva a noi con immensa fiducia, con grande serietà e un’energica allegria. Non ti capita spesso, anzi mai, a quell’età, di sentire tutta quella calda considerazione, come se volesse riversare su di noi tutto ciò che aveva, senza risparmiarsi. Era attento, lucido, spiritoso, accorato, curioso e anche semplice, ma soprattutto infinitamente profondo. Come se nella sua mente avesse un piano di dimensioni planetarie. Tutto era collegato, ogni cosa faceva parte di una sublime visione.
Ci faceva sentire protagonisti di quella visione, e a ogni parola o frase, ne rivelava un pezzo.
Come quando parlò del Rinascimento italiano. Collegò la storia di Firenze, come culla del Rinascimento, con la necessità di dare vita a un “Nuovo Rinascimento”, dove gli ideali già emersi a Firenze nel tredicesimo secolo finalmente potessero – grazie alla Legge mistica – liberare l’essere umano dalle catene che poi avevano finito per renderlo schiavo.
Da quelle parole prendemmo spunto l’anno successivo per dare nome al nostro giornale che lui stesso battezzò con il suo editoriale nella prima pagina del numero uno: Il Nuovo Rinascimento.
Alla riunione del 30 maggio 1981 ci riempì di consigli saggi e concreti. Mentre ci faceva sentire Bodhisattva della Terra, si occupò di tracciare quelle che sarebbero state le tappe importanti della nostra vita. Il rapporto con i genitori, lo studio, il lavoro, il matrimonio, la pratica e l’attività buddista si fondevano in una musica meravigliosa che ci veniva voglia di vivere proprio come ci indicava lui.
Era un esempio di umanità.
Ricordo bene il giorno dopo, mentre lo aspettavamo fuori dalla casa di Dante, il poeta che così tanto amava. Arrivò il custode della casa, con gli occhi luminosi e una calcolatrice elettronica in mano… voleva sapere chi fosse quel giapponese gentile che aveva parlato con lui e gli aveva regalato quella “macchinetta” allora abbastanza innovativa.
Quando accompagnammo Sensei in stazione, rimasi a osservarlo mentre tranquillo sorseggiava un caffè in attesa dell’arrivo del treno. Era un uomo, un grande maestro, aveva toccato la mia vita a una profondità dove nessuno era mai arrivato: decisi che mi sarei dedicato a seguirlo, avevo trovato la mia strada.