Apriti sesamo!
di Stefano Materassi, Firenze
Volentieri rispondo all’invito e vi scrivo il mio ricordo e la mia esperienza. Certo è che la mia vita è profondamente legata a questo luogo.
Quando vi entrammo la prima volta, la cosa più stupefacente per me furono le dimensioni, abituati all’ufficio di piazza Indipendenza, a qualche palestra della città o, massimo, al centro europeo di Trets. Tutto sembrava così enorme! Quando entrai nell’attuale butsuma grande facevo letteralmente i salti dalla contentezza. Partecipai subito ai lavori di una “squadra” che aveva il compito di rilevare le misure di tutta la villa; e così, via via, si scoprivano tutte le stanze, dalle cantine melmose, con delle vecchie botti, enormi, fino su in torretta. Tutto era in uno stato di abbandono totale, compreso il parco che sembrava letteralmente una giungla. A tutto ciò corrispose però un’ondata di entusiasmo fra tutti i membri di Firenze e quelli che venivano dal resto dell’Italia. Non ho mai più visto niente del genere: per me la prima fase dei lavori, prima che entrassero in azione le ditte specializzate al restauro, è stata la più “pura” e bella. Il grosso dei lavori di bonifica era fatto il sabato e domenica, ovviamente, e io non potevo partecipare perché sono i giorni che lavoro di più; sicché guardavo con invidia i progressi dei volontari e mi sentivo spesso tagliato fuori. A parte questo, ammetto però di essermi rifatto con l’attività di soka-han; ricordo con affetto una serie interminabile di turni dalle sette di mattina alle una al vecchio portone di legno; la stanzina modello “Nichiren a Sado”; il Daimoku recitato contro l’intonaco scalcinato; una vecchia copia del Gosho La vera entità della vita che stava sempre lì, e che ho letto e riletto (oggi è sempre il mio Gosho preferito). Chi faceva attività lì doveva aprire e chiudere le due enormi ante di legno un sacco di volte, sicché alla fine il movimento era così perfezionato che, con due tocchi, questa porta pesantissima sembrava quasi fare tutto da sé (io la chiamavo “fusione di oggetto e soggetto”; mah! per fortuna non l’ho mai detto a nessuno).
Tuttora provo un sentimento di gratitudine per questo edificio e la vita che si svolge al suo interno. Per questo, a distanza di quindici anni sono rientrato nel gruppo Prometeo e adesso i turni li faccio al cancello… automatico!
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Quello che ho imparato
di Roberta Poggi, Chiavari
L’attività per la ristrutturazione del Centro culturale di Firenze è stata fondamentale per la mia pratica buddista e la mia vita: ho capito cosa vuol dire lavorare insieme agli altri per un grande scopo comune, uno scopo che sembrava lontano e a volte impossibile per tutte le difficoltà che sorgevano.
La grande energia, l’ entusiasmo, il senso di appartenenza che si respirava mi hanno fatto vivere al 100% che cos’è l’organizzazione, un grande organismo fatto da tante parti che lavorano all’unisono e a ritmo serrato.
Avevo ventitré anni ed era una torrida estate fiorentina. Noi ragazze avevamo il compito di levare i sassi dal prato, in un’impresa che sembrava pazzesca. Ci avevano soprannominato le mondine per come eravamo combinate con i fazzoletti in testa. Tante piccole formiche che lavoravano incessanti e instancabili e che alla fine hanno vinto.
Nonostante capitasse a volte di fare le cose più strane e perfino senza senso, come pulire l’ enorme scalone interno mentre i muratori andavano su e giù infangandolo di nuovo, oppure trasportare in quattro in una Fiat 500 enormi pentoloni colmi di sugo fino all’orlo per il “rancio” dei volontari, ci siamo divertite un sacco, recitato tanto Daimoku e smussato gli angoli tra di noi, creando legami meravigliosi: decisamente un pezzo di vita speso bene.
Ma la cosa più importante che mi ha dato questa esperienza è che, considerata la mia giovane età, ho ricevuto un’educazione nel vero senso della parola.
A non arrendermi.
A non pensare mai che una cosa è impossibile anche se avrebbe tutti i requisiti per esserlo.
A sopportare la fatica con leggerezza.
A non lamentarmi più di tanto.
A essere disposta a cambiare punto di vista velocemente.
Ad ascoltare.
A fidarmi.
A dire “lo faccio” anche se subito non capivo (ma dopo sì… eccome!)
Sento che è stata una fortuna per me essere stata nel posto giusto al momento giusto e non aver perso questa grande occasione.