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La speranza del bodhisattva - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

7 dicembre 2025 Ore 00:04

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La speranza del bodhisattva

Mirca Leccese, Torino

Pregando per poter contribuire a kosen-rufu e approfondire la sua missione di Bodhisattva della Terra, Mirca riesce a portare speranza in una situazione difficilissima come quella del campo profughi di Moria

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Pregando per poter contribuire a kosen-rufu e approfondire la sua missione di Bodhisattva della Terra, Mirca riesce a portare speranza in una situazione difficilissima come quella del campo profughi di Moria

Davanti a me si apre la fase più felice della mia vita, per me e per gli altri! Questa è stata la mia solenne promessa l’anno scorso quando, dopo quarantadue anni dedicati all’insegnamento, sono andata in pensione. Insieme a questo obiettivo, davanti al Gohonzon ne decisi un altro: approfondire la mia missione di Bodhisattva della Terra.
Non sapevo come mettere in pratica quei propositi e ancora una volta mi affidai all’unica strategia vincente che conosco da ventisei anni: quella del Sutra del Loto.
Collaboro da sempre come volontaria con associazioni a sostegno dei migranti, in particolare donne e bambini, occupandomi di accoglienza, insegnamento dell’italiano, sostegno alle famiglie. Da tempo volevo raggiungere il campo profughi di Moria, sull’isola di Lesbo, da cui mi giungevano notizie terribili, ma non essendo in contatto con associazioni attive in quella zona, non sapevo come fare.
Quindi iniziai a recitare Nam-myoho-renge-kyo per trovare la strada.
L’incontro con una donna originaria dell’isola non fu risolutivo perché il lockdown bloccò ogni sviluppo. Fu a settembre che, vedendo al telegiornale le immagini del terribile incendio di Moria che stava mietendo vittime proprio tra i profughi – migliaia di persone in fuga tra cui molte donne incinte e neonati che si accampavano per strada – trovai la determinazione che fino a quel momento mi era mancata: sarei andata io stessa a portare aiuto. Come afferma Nichiren Daishonin: «Se vi preoccupate anche solo un po’ della vostra sicurezza personale, dovreste prima di tutto pregare per l’ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quadranti del paese» (Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, RSND, 1, 25). Ispirata da una “fede senza alcun dubbio”, concretizzai il mio progetto in poche ore.
La mia amica greca mi offrì ospitalità, un’altra decise di accompagnarmi e un’attivista di Moria mi confermò che il nostro aiuto era più che necessario. Lanciai una raccolta fondi che ebbe un ottimo esito e a dieci giorni dalla mia decisione mi ritrovi sull’aereo recitando Daimoku.
La sera stessa iniziai la mia attività di sostegno alle famiglie che erano state trasferite dai bordi della strada al “New Camp”, in un’immensa tendopoli.
Non posso descrivere le condizioni del campo. Trenta bagni chimici per diecimila persone e, dal momento che non c’erano docce, ci si doveva lavare in mare o con le bottiglie d’acqua. In passato avevo visitato altri campi profughi, in Palestina e in Libano, ma le condizioni che trovai a Moria il primo giorno mi sconvolsero.
Dal secondo reagii e ci mettemmo con la mia amica a disposizione della coordinatrice dei volontari italiani. Per tutta la permanenza, sempre sostenuta dal Daimoku che riuscivo a fare solo la notte, abbiamo caricato sull’auto a noleggio lettini e abiti per bimbi, comprato bollitori e pentole elettriche, pagato tasse per passaporti e persino un avvocato per scarcerare un profugo innocente.
Ma l’attività più bella è stata con i bambini e con le donne: pur sentendomi una goccia nel mare, raccoglievo le loro storie per riferirle alla coordinatrice e inserire le famiglie nel circuito degli aiuti.
Ciò che porterò per sempre nel cuore è la forza d’animo che ho percepito in quelle donne scappate da Paesi in guerra (Congo, Afghanistan e soprattutto Siria) e approdate con famiglie numerose in una squallida tendopoli in cui non ci si poteva neppure lavare. Pur in quelle condizioni estreme non si lamentavano perché erano sorrette dall’amore per i loro bimbi, tanti, che giocavano nelle pozzanghere o tra i cassonetti sì, ma finalmente lontano dalla guerra, allegri come tutti i bambini del mondo.
Sentivo che tutte quelle persone, sostenute dalla speranza, riuscivano a proiettarsi nel futuro e così a sopravvivere.
Come dice il nostro maestro Ikeda: «La speranza è la forza che ci consente di metterci in azione per realizzare i nostri sogni. Essa ha il potere di trasformare l’inverno in primavera, la sterilità in creatività, l’agonia in gioia» (NR Selezione, Gennaio 2021, pag. 10).
Sono rientrata con il dispiacere di lasciare tante famiglie nel mezzo dell’inverno e con il pensiero a tutti quei bambini che continuano a non andare a scuola perché non ne hanno la possibilità, e ogni mattina dopo aver recitato Gongyo e Daimoku, contatto qualche famiglia che ho conosciuto, mi informo sull’andamento dei contagi – il Covid impazza anche là – cerco di trasmettere speranza a chi si abbatte perché in quel mese non ha ricevuto la spesa solidale.
Non sono sola, insieme alla rete cittadina che si è creata continuo a raccogliere materiale e, con interventi pubblici e articoli, faccio in modo che non si spengano i riflettori su di loro visto che per i mass media la tragedia di Moria è già superata da altre di maggiore “attualità”.
Inoltre, appena rientrata mi è stato offerto un incarico di insegnante volontaria in carcere, uno degli obiettivi per cui recitavo Daimoku.
Si è aperto così un nuovo capitolo della mia vita.
Sto venendo a contatto con una sofferenza e un disagio sociale molto vicini a me, un “new camp” nascosto nella periferia della mia stessa città.
Alla luce di questi sviluppi credo proprio che la via del Bodhisattva della Terra che ho davanti sia ancora lunga, e grande la felicità che mi aspetta!

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