Paolo vive a Firenze insieme alla sua famiglia e lavora come direttore del Dipartimento del personale di assistenza della ASL Toscana centro. Con il Covid sembra crollare ogni certezza ma grazie alla pratica buddista, ricercando sempre il cuore del maestro, riesce a creare valore anche in una situazione così difficile
La mia esperienza gira intorno al tema di questi ultimi pesanti mesi: il Covid-19.
Sono il direttore del Dipartimento del personale di assistenza della ASL Toscana, centro che comprende 8.500 operatori tra infermieri, ostetriche e operatori socio sanitari, con più di 1.600.000 cittadini come bacino di utenza, tredici ospedali e otto zone territoriali.
Un settore che questa pandemia ha travolto da tanti punti di vista: nuove procedure, nuove competenze, incertezze, preoccupazioni ed emozioni.
All’inizio non sapevamo bene cosa fosse questa pandemia. Le caratteristiche della malattia, le cure efficaci, le degenze sono cose che abbiamo scoperto con il tempo, con faticosi sforzi e tanto coraggio. Si è presentata, potente e prepotente, violenta, invisibile e mortale spazzando via priorità, progetti, aspettative, ritmi consueti. Ha distrutto la normalità di tutti in un soffio. Sono stati giorni duri durante i quali abbiamo lavorato senza mai staccare, che hanno causato in ognuno di noi un grande stress fisico e psicologico.
Durante il primo lockdown, andando al lavoro vedevo una Firenze vuota e attonita, silenziosamente deserta come forse soltanto durante le grandi epidemie di peste del passato era accaduto.
In ospedale ho impresso nella mia mente gli sguardi disperati, i volti stravolti dalla stanchezza, le lacrime di disperazione, gli occhi pieni di preoccupazione per i pazienti, per se stessi e per i propri cari. Ma anche e soprattutto la determinazione, la rabbia combattiva, la dedizione e il coraggio di tante e tanti colleghi e sanitari.
Ed è proprio da loro che ho voluto prendere ispirazione.
Ho deciso da subito di provare a essere un punto di riferimento: tenere la squadra unita era fondamentale. Ho girato anche più volte tutti gli ospedali, per portare, se possibile, un po’ di forza, ma anche semplicemente la mia presenza a fianco dei colleghi, condividendo decisioni, emozioni, difficoltà e paure.
Non solo perché il mio ruolo lo richiedeva, ma anche perché il fatto di essere buddista doveva fare la differenza, ora più che mai! Volevo tirare fuori forza, determinazione ed energia per me e anche per altri.
Proprio per questo ero consapevole che dal punto di vista della pratica personale avrei dovuto fare uno sforzo ulteriore, che mi sarei dovuto impegnare a fondo. Nonostante la difficoltà ho cercato di continuare a frequentare le riunioni online e a portare avanti l’attività, soprattutto grazie al sostegno dell’altra responsabile del gruppo, che ringrazio.
In tutto questo mi sono dato due punti fermi: non saltare mai Gongyo, mattina e sera, e approfittare di ogni occasione per fare Daimoku. Non è stato facile a causa della stanchezza ma ho mantenuto accesi determinazione, coraggio e gratitudine verso tutte le persone intorno a me.
Può sembrare strano parlare di benefici in una tragedia di queste dimensioni, ma in realtà sento di aver fatto un passo avanti nella mia rivoluzione umana. Come scrive il maestro Ikeda: «I benefici del Gohonzon sono essenzialmente di due tipi: visibili e invisibili. I benefici visibili sono quelli ben riconoscibili, come ad esempio essere protetti quando un problema si manifesta, oppure essere in grado di superarlo molto rapidamente, indipendentemente dalla sua natura. I benefici invisibili sono difficili da riconoscere, sono lenti ma continui e sono alla base di uno stato vitale estremamente ricco. Potrà essere anche difficile nel quotidiano accorgersi di tali cambiamenti, tuttavia con il passare degli anni ci renderemo conto di essere diventati felici e scopriremo di essere cresciuti come individui: ecco il risultato dei benefici invisibili. Recitando Daimoku, è sempre possibile raccogliere i migliori risultati, perfettamente adeguati alle circostanze in cui ci troviamo, al di là del fatto che siano di tipo visibile o invisibile» (cfr. Cos’è la felicità, Esperia, pag. 60).
Ho fatto e sto facendo esperienze profonde. Mi è capitato di piangere a dirotto, sia di preoccupazione che di gioia, insieme ai miei colleghi.
Ho parlato del Buddismo a una persona che lavora molto vicino a me e che oltre alla pandemia ha vissuto anche un momento di profonda difficoltà personale. Oggi sta praticando nel mio gruppo e questa è per me una gioia immensa.
Porto con me le emozioni, le esperienze, tutte le piccole e grandi vittorie. Ho toccato con mano che le persone nei momenti di difficoltà mobilitano le loro migliori risorse ed energie e ho capito che in tutti c’è questa energia profonda, la Buddità.
è proprio da qui che nasce la speranza. Oggi che siamo dentro la seconda ondata pandemica, grazie all’esperienza vissuta ho intensificato il Daimoku. Ora la mattina prestissimo prima di andare a lavoro recito Daimoku in contemporanea con i miei compagni di fede. Sto approfondendo lo studio e vivo con maggiore intensità la mia responsabilità nella Soka Gakkai.
Ho rafforzato la certezza che tutto si può trasformare, anche se a volte ci sembra impossibile, ma non si può prescindere dalla determinazione, dalla pratica assidua e sincera e, soprattutto, dalla fede. Ringrazio chi collabora con me nel lavoro e tutti i colleghi di cui sono veramente orgoglioso. E ringrazio la famiglia Soka, il mio maestro Ikeda e la signora Kaneko che ci sostengono costantemente, così come la mia famiglia che mi ha sempre supportato.
Determino di fare mio il motto italiano del 2021, “Anno della speranza e della vittoria – Facciamo tesoro di ogni singola persona”.
Anche in questo caso, ancora una volta e meravigliosamente, dipende tutto da noi.