Contesto storico
Siamo tra il 1990 e il 1991. Continua il dettagliato racconto degli attacchi alla Soka Gakkai da parte del clero della Nichiren Shoshu, basati su gravi distorsioni degli insegnamenti di Nichiren Daishonin.
Potete leggere le puntate del volume 30 pubblicate su www.sgi-italia.org/riviste/nr/
Nella narrazione l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto
[56] I membri della Soka Gakkai appresero dai giornali e dagli altri mezzi di comunicazione che Shin’ichi Yamamoto e gli altri massimi responsabili della Soka Gakkai erano stati rimossi dalle loro posizioni in seno alle organizzazioni laiche della Nichiren Shoshu, in seguito a una revisione dei regolamenti.
Reagirono con sorpresa a questa svolta inaspettata degli eventi, manifestando rabbia verso il clero.
«Perché mai i preti agiscono in modo tanto irragionevole?». «Non è stato forse il presidente Yamamoto a permettere alla Nichiren Shoshu di arrivare a questo grado di sviluppo? Come possono arbitrariamente revocare la sua posizione di rappresentante principale dei laici senza nemmeno discuterne?».
L’avviso ufficiale che rimuoveva Shin’ichi e gli altri responsabili dai loro ruoli nell’associazione delle organizzazioni laiche della Nichiren Shoshu arrivò il 29 dicembre. Nonostante i numerosi impegni di fine anno, la Soka Gakkai agì rapidamente, organizzando in tutto il Giappone, presso ogni prefettura e circoscrizione, riunioni di emergenza per i responsabili, in cui venne spiegata la situazione con il clero.
«Dobbiamo agire subito, prima che sia troppo tardi», dichiarava Martin Luther King Jr. (1929-68), leader del movimento americano per i diritti civili.
Iniziava il 1991, che la Soka Gakkai aveva intitolato “Anno della pace e dello sviluppo”.
Per il nuovo anno Shin’ichi aveva composto delle poesie, che furono pubblicate sul Seikyo Shimbun e su altre pubblicazioni della Soka Gakkai. Una di esse, che apparve sul Seikyo Shimbun, recitava:
Insieme, celebriamo allegri
il nuovo anno,
con i cuori impavidi
e luminosi.
Una delle tre poesie pubblicate nel Daibyakurenge, il mensile dedicato allo studio, recitava invece:
Liberi e indipendenti, senza paura,
abbiamo gioiosamente superato
le tempeste e i venti gelidi della gelosia.
Nei centri culturali di tutto il Giappone e in settantacinque paesi e territori in tutto il mondo, i membri della Soka Gakkai festeggiarono un nuovo anno pieni di speranza, organizzando cerimonie di Gongyo di Capodanno e riunioni gioiose.
Nella sede centrale della Soka Gakkai, Shin’ichi augurò il buon anno e incoraggiò i rappresentanti dei vari Gruppi presenti alle cerimonie di Gongyo: «Apriamo la porta a una nuova era di kosen-rufu in tutto il mondo! Lanciamoci coraggiosamente verso la tempesta che si sta dirigendo verso di noi», disse.
[57] Il 2 gennaio 1991 il presidente della Soka Gakkai Eisuke Akizuki e il direttore generale Kazumasa Morikawa si recarono al tempio principale chiedendo di poter conferire con Nikken, ma la loro richiesta fu respinta. Da allora, la Nichiren Shoshu rifiutò qualsiasi dialogo con l’organizzazione laica, dichiarando che i responsabili della Soka Gakkai erano «indegni di ottenere udienza presso il patriarca».
Dal clero giunse poi un’altra lettera, datata 12 gennaio.
Molte delle citazioni attribuite a Shin’ichi Yamamoto nel questionario contenevano gravi inesattezze. Alcune delle domande dimostravano che il clero aveva frainteso il significato delle affermazioni del presidente Yamamoto e altre erano basate su informazioni inconsistenti.
La lettera del 12 gennaio era una risposta alle precisazioni della Gakkai che evidenziavano quegli errori. Il clero riconosceva alcuni degli errori di interpretazione e ritirava la richiesta di spiegazioni della maggior parte delle domande originali: la base delle loro argomentazioni era crollata.
Ciò nonostante, i preti si rifiutarono di modificare le misure irragionevoli prese contro la Soka Gakkai e, riguardo alle relazioni tra clero e laici, si spinsero ad affermare che «sostenere un concetto di armonia tra preti e laici basato sull’affermazione che tutti siamo essenzialmente uguali è un segno di grossolana arroganza e uno dei cinque peccati capitali, quello di causare disarmonia all’interno dell’ordine buddista».
Tali affermazioni da parte dei preti non potevano essere ignorate, poiché avrebbero potuto provocare una distorsione dei princìpi fondamentali del Buddismo del Daishonin e ostacolare il movimento di kosen-rufu nel mondo.
La Soka Gakkai domandò che il clero si scusasse pubblicamente, sottolineò che vi erano altri gravi errori nel questionario originale e ne chiese conto.
La Nichiren Shoshu rifiutò qualsiasi richiesta di dialogo da parte della Soka Gakkai. Eppure Nichiren Daishonin era un convinto sostenitore del dialogo e nel suo trattato Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese esortava a «discutere a fondo questi problemi» (RSND, 1, 7). Il Daishonin aveva insegnato l’importanza di essere aperti al dialogo con chiunque per creare comprensione e accordo attraverso la ragione e la logica. La sua posizione andava esattamente all’opposto di imporre la propria volontà agli altri attraverso una pressione esterna, che fosse la forza delle armi o il potere e l’autorità.
Il dialogo è una peculiarità dell’umanesimo buddista, rifiutarsi di dialogare significa rigettare lo spirito del Daishonin. La Soka Gakkai è riuscita a espandere ampiamente kosen-rufu grazie ai continui sforzi incentrati sul dialogo, attraverso attività quali le visite a casa e le riunioni in piccoli gruppi di discussione.
[58] L’impegno della Soka Gakkai nel dialogo basato sul rispetto per tutte le persone e sulla fiducia nella natura umana, è sostenuto dai princìpi di eguaglianza del Buddismo del Daishonin. Essi insegnano che tutti gli individui, allo stesso modo, possiedono la natura di Budda e hanno una nobile missione da compiere.
Nikken e il clero della Nichiren Shoshu contravvenivano a quegli insegnamenti, aderendo all’atteggiamento che derivava dal tradizionale sistema dell’affiliazione ai templi in vigore in Giappone e che considerava i preti superiori ai laici. Essi stavano cercando di imporre questa supposta superiorità alla Soka Gakkai e di soggiogarne i membri.
Il Sutra del Loto, che costituisce la base dottrinale del Buddismo del Daishonin, è un insegnamento di eguaglianza, che si oppone alla discriminazione basata sulla condizione sociale o su qualsiasi altra differenza. Questo risulta evidente dalla rivelazione secondo cui sia le persone dei due veicoli (gli ascoltatori della voce e i risvegliati all’origine dipendente) sia le donne possono ottenere l’Illuminazione, mentre gli insegnamenti precedenti al Sutra del Loto sostenevano che questo fosse impossibile. Questo atteggiamento di totale eguaglianza è anche il motivo per cui persone di tutto il mondo apprezzano profondamente il Buddismo, che insegna il rispetto per la dignità della vita e promuove l’armonia e la pace tra tutti gli esseri umani.
Il Daishonin sostenne senza incertezze l’uguaglianza tra tutti gli esseri, senza badare a distinzioni tra clero e laici o tra uomini e donne, affermando: «Ciò significa che chiunque, prete o monaca, laico o laica, insegni agli altri anche una singola frase del Sutra del Loto è senza dubbio l’inviato del Tathagata» (RSND, 1, 29).
Il Buddismo del Daishonin esiste per la felicità delle persone comuni. Sottovalutare il tentativo del clero di distorcere il vero carattere del Buddismo avrebbe consentito al loro anacronistico autoritarismo di espandersi, alimentando ingiuste discriminazioni e portando scompiglio e infelicità tra le persone.
Alla fine, si sarebbe andati incontro al rischio di distruggere gli insegnamenti corretti. Citando le scritture buddiste, Nichiren Daishonin afferma: «Il Budda dice in una predizione che i nemici dei suoi insegnamenti non saranno uomini malvagi come quelli coinvolti in questi episodi, bensì afferma che a distruggere il suo corretto insegnamento saranno monaci simili ad arhat, dotati delle tre visioni e dei sei poteri sovrannaturali» (Risposta alla petizione di Gyobin, RSND, 2, 365).
Un’altra questione che preoccupava profondamente la Soka Gakkai erano le carenze culturali del clero. L’atteggiamento dogmatico dei preti non si limitava infatti a ostracizzare l’Inno alla gioia di Beethoven.
Il Daibyakurenge, il mensile di studio della Soka Gakkai, aveva qualche tempo prima pubblicato la foto di uno degli articoli che sarebbero stati esposti al Museo Fuji nella mostra L’eredità del principe – I mantelli del regno: trecento anni di vesti cerimoniali britanniche. L’immagine ritraeva il mantello e le insegne dell’Ordine della Giarrettiera, la più alta onorificenza conferita dai sovrani britannici. Quando un anziano prete della Nichiren Shoshu vide la foto, protestò perché essa conteneva l’immagine di una croce cristiana, il cui emblema era ricamato sul mantello.
Se non si apprezzano le specifiche tradizioni e la cultura delle altre nazioni, regioni e popoli, è impossibile acquisire una comprensione reciproca. Rispettare la cultura significa rispettare gli esseri umani.
[59] Qualsiasi attività umana – cultura, arti, costumi e tradizioni – è stata influenzata in qualche misura dalla religione.
Il conteggio del calendario occidentale inizia dal presunto anno di nascita di Gesù Cristo, e anche la convenzione di considerare la domenica un giorno festivo dipende dal Cristianesimo, che ne aveva fatto il proprio giorno di riposo e di culto. Il vetro colorato è stato sviluppato per amplificare l’imponenza delle vetrate delle chiese cristiane, dunque è anch’esso un prodotto della cultura cristiana. Molti edifici e stili architettonici occidentali hanno profondi legami con la fede cristiana. Ostracizzare tutto ciò a causa delle connessioni con il Cristianesimo avrebbe condotto a un’alienazione dalla società.
Il Buddismo insegna il principio di zuiho-bini, che prevede un adattamento alle abitudini locali e ai costumi dell’epoca e invita i praticanti a rispettare gli usi, le tradizioni e le norme presenti in ogni paese e regione, purché non vadano contro i principi fondamentali del Buddismo.
In altre parole, è il caso di mantenere un atteggiamento flessibile nei confronti degli usi e della cultura locali se questi non ci portano a violare gli insegnamenti fondamentali del Buddismo del Daishonin, ovvero se possiamo continuare a venerare il Gohonzon di Nam-myoho-renge-kyo, il cuore del Sutra del Loto, se ci sforziamo nella fede, nella pratica e nello studio e ci dedichiamo alla missione di kosen-rufu.
La nostra fede si manifesta nella società.
Kosen-rufu sarà realizzato in tutto il mondo solo quando ogni praticante della Legge mistica rispetterà la cultura come un prodotto della saggezza umana e conquisterà la fiducia degli altri attraverso la sua partecipazione attiva a ogni aspetto della società.
È evidente che menzionando “gli dèi” (Götter) nella poesia di Schiller che musicò nell’Inno alla gioia, Beethoven non voleva riferirsi a un dio o a una religione in particolare.
Nel dicembre del 1987, Shin’ichi ebbe occasione di ascoltare cinquecento studenti cantare la Nona Sinfonia di Beethoven durante uno speciale concerto per i festeggiamenti del trentesimo anniversario della fondazione del Gruppo studenti. Gli studenti cantarono anche l’Inno alla gioia e Shin’ichi non avrebbe mai dimenticato quella rappresentazione, tanto ne fu commosso.
In seguito, durante l’incontro dei responsabili di centro che celebrava il sessantesimo anniversario della fondazione della Soka Gakkai, nel novembre del 1990, egli propose che l’Inno alla Gioia venisse eseguito da cinquantamila membri in occasione del sessantacinquesimo anniversario dell’organizzazione, e da centomila membri per il settantesimo anniversario. Suggerì poi di cantare l’Inno alla Gioia non solo in giapponese, ma anche in tedesco.
La grande musica e l’arte trascendono le barriere nazionali ed etniche; uniscono i cuori delle persone, risuonando dentro di loro.
[60] L’Inno alla Gioia è sempre stato cantato in tutto il mondo come un inno all’umanità e alla libertà.
Nel 1989, in Cecoslovacchia, la “Rivoluzione di velluto” pose fine al dominio comunista, riuscendo a evitare ogni spargimento di sangue; il 14 dicembre si tenne un concerto a Praga, la capitale ceca per celebrare questa grande vittoria. Fu eseguita la Nona Sinfonia di Beethoven e un coro cantò l’Inno alla Gioia. Quando il concerto finì, l’auditorium esplose applaudendo entusiasticamente, e gli applausi continuarono senza sosta mentre Václav Havel, il nuovo presidente della Cecoslovacchia, saliva sul palco con il pubblico che lo acclamava: «Havel! Havel!». La Nona Sinfonia è in grado di esprimere la gioia che dimora nei cuori delle persone.
Il 23 e il 25 dicembre, dopo la caduta del muro a Berlino, due concerti celebrarono la fine della divisione tra Germania Est e Ovest e, ancora una volta, fu eseguita la Nona Sinfonia di Beethoven.
Oltre all’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese, c’erano musicisti provenienti dalla Germania dell’est e dell’ovest, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dall’Unione Sovietica, le quattro nazioni che avevano amministrato Berlino dopo la Seconda guerra mondiale, prima della costruzione del muro.
La Nona sinfonia di Beethoven e il suo Inno alla Gioia sono veri simboli del trionfo della libertà e dell’unità.
Molti studiosi e pensatori indipendenti obiettarono alla dichiarazione della Nichiren Shoshu secondo cui cantare l’Inno alla Gioia in tedesco significava onorare gli insegnamenti non buddisti, sottolineando che tale affermazione ignorava completamente l’universalità e il valore culturale di quella grande opera.
Il professor Haruo Kawabata dell’Istituto di tecnologia di Shibaura, noto filosofo e studioso di Nietzsche, osservò: «L’arte è una sublimazione universale dello spirito umano. Sottometterla alle categorie di un meschino dogmatismo religioso e condannare i suoi estimatori come eretici è un esempio della stessa ipocrisia e della mediocrità che hanno prodotto la caccia alle streghe nelle epoche passate».
Parlando di “dèi” al plurale, Schiller non voleva onorare il dio monoteistico cristiano ma si riferiva agli dèi della Grecia antica, che simboleggiano gli ideali e le più alte qualità dello spirito umano. Secondo Kawabata l’unico modo di articolare nuove forme di pensiero è utilizzare modalità espressive già esistenti, ed era ciò che era stato fatto nell’Inno alla Gioia.
[61] Hidehiko Ushijima, scrittore e professore dell’Università Tokai Gakuin, che era a contatto con molti membri della Soka Gakkai negli Stati Uniti, in riferimento alla natura essenziale della cultura, osservò: «Sebbene sia distinta, la relazione tra cultura e religione è molto stretta, ma in ogni caso cultura e religione non sono sinonimi. La cultura e l’arte sono profondamente radicate nella società e trascendono i confini delle religioni; esse assimilano altre culture e, nel corso della storia, ne selezionano delle parti e le incorporano al loro interno, dando forma al modo di vivere di un popolo. Condannare come eretico l’Inno alla Gioia della Nona sinfonia di Beethoven, un inno all’umanità che trascende le religioni, e bandirlo, significa ripudiare la cultura mondiale e la stessa esistenza umana.
«È facile chiudersi nel dogmatismo. Ma bisogna rendersi conto che così facendo la Nichiren Shoshu non solo non riuscirà ad adempiere al mandato di Nichiren Daishonin di propagare i suoi insegnamenti in tutto il mondo, ma sarà essa stessa a ostacolare tale compito».
Una religione che cade nel dogmatismo e giudica la cultura e l’arte in base a criteri arbitrari non è una religione al servizio delle persone.
I membri della Soka Gakkai sentivano il bisogno di un rinascimento culturale e spirituale che avrebbe dato forma a una nuova epoca in cui le persone comuni sarebbero state nuovamente al centro degli interessi e delle cure della religione.
Anche i responsabili ai vertici della Soka Gakkai erano profondamente turbati dal comportamento di molti preti della Nichiren Shoshu. Da tutto il paese arrivavano resoconti da membri che provavano sgomento e disagio per le parole e le azioni arroganti dei preti, per il loro comportamento licenzioso e per il tenore di vita appariscente. La Soka Gakkai aveva riportato tali resoconti alla Nichiren Shoshu, temendo che se questi preti fossero stati lasciati liberi di comportarsi in tal modo, il clero sarebbe col tempo caduto in un vortice di decadenza incontrollabile.
Nichiren Daishonin aveva dichiarato che un prete che non diffonde gli insegnamenti ma «spende vanamente le sue giornate nell’ozio e nelle chiacchiere, non è migliore di un animale che indossa l’abito del monaco» (Le quattordici offese, RSND, 1, 674).
Anche nei primi tempi della Soka Gakkai c’erano stati preti della Nichiren Shoshu che avevano perso lo spirito di operare per kosen-rufu e che ostentavano la loro autorità. Era il motivo per cui il secondo presidente Josei Toda, sinceramente preoccupato, aveva severamente ammonito il clero in numerose occasioni, dichiarando per esempio che «i preti ossessionati dagli onori e dallo status sociale, che adulano i ricchi cercando di ingraziarseli, non hanno diritto di credersi superiori ai fedeli».
[62] Per realizzare il desiderio di Nichiren Daishonin, ovvero far progredire kosen-rufu in tutto il mondo, la Soka Gakkai non poteva esimersi dal parlare apertamente e correggere gli errori della Nichiren Shoshu, indipendentemente dal contraccolpo che ne sarebbe derivato.
Il 3 gennaio 1991 fu convocata una conferenza nazionale dei responsabili di prefettura della Soka Gakkai dove furono riportati i problemi con la Nichiren Shoshu.
Il presidente Eisuke Akizuki illustrò le richieste che la Soka Gakkai aveva inoltrato alla Nichiren Shoshu al fine di assicurare solide fondamenta a kosen-rufu e permettere al Buddismo del Daishonin di entrare nel ventunesimo secolo come una religione mondiale, realizzando così il mandato del Daishonin. Erano state fatte solamente tre richieste alla Nichiren Shoshu: 1) che si adattasse ai valori egualitari e democratici dell’epoca attuale, aprendosi maggiormente al mondo; 2) che, fedele allo spirito fondamentale del Buddismo del Daishonin, rettificasse le tendenze autoritarie e l’atteggiamento dispregiativo nei confronti dei credenti laici; 3) che ammonisse i preti corrotti, ristabilendo l’integrità tra i preti, i quali si sarebbero dovuti conformare a un atteggiamento di moderazione e modestia.
Shin’ichi Yamamoto fece Gongyo con i partecipanti all’incontro e li spronò a impegnarsi con la consapevolezza di essere persone investite di una missione e dotate di grande convinzione, facendo del 1991 un anno di meravigliosi successi. Era deciso a proteggere la Soka Gakkai che stava portando avanti kosen-rufu in tutto il mondo, l’intento del Budda, qualsiasi cosa fosse accaduta. Profuse tutti i suoi sforzi nell’incoraggiare i compagni di fede sin dall’inizio di quell’anno, che la Soka Gakkai aveva designato come “Anno della pace e dello sviluppo”.
Il 26 gennaio pubblicò una proposta di pace per commemorare il sedicesimo anniversario della fondazione della SGI.
L’anno prima, nell’agosto del 1990, l’invasione irachena del Kuwait aveva innescato la Guerra del Golfo. A metà gennaio del 1991 una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti aveva attaccato le truppe irachene. Nella sua proposta di pace, Shin’ichi chiedeva che si mettesse rapidamente fine alla Guerra del Golfo e si organizzasse una conferenza di pace in Medio Oriente sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Il 27 gennaio Shin’ichi lasciò il Giappone per visitare Hong Kong e Macao, e il 31 partecipò alla riunione generale del Consiglio asiatico della SGI presso il Centro culturale di Hong Kong, con circa millecinquecento rappresentanti di quattordici paesi e territori dell’Asia e di altri parti del mondo.
In quella sede fu adottato un appello urgente che chiedeva una rapida soluzione alla Guerra del Golfo. L’appello, basato sul forte desiderio che la pace si realizzasse il più rapidamente possibile attraverso gli sforzi delle Nazioni Unite, chiedeva il ritiro dell’Iraq dal Kuwait, l’attuazione di misure per prevenire il ripetersi delle ostilità, una conferenza internazionale sulla pace in Medio Oriente e la convocazione di una sessione di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
La fiamma della fede dà origine a un appassionato impegno per la pace.
[63] Mentre visitava Hong Kong, Shin’ichi Yamamoto si recò per la prima volta nella vicina Macao per partecipare a una cerimonia all’Università dell’Asia Orientale (ora l’Università di Macao), dove gli fu conferita una cattedra onoraria. In quell’occasione tenne una lectio magistralis intitolata Una nuova consapevolezza globale.
Da lì, il 2 febbraio, prese un volo per Okinawa dove offrì i suoi incoraggiamenti ai membri; poi si recò nella prefettura di Miyazaki.
A marzo continuò le sue attività di incoraggiamento in tutto il Giappone, visitando le regioni del Kansai, del Chugoku e del Chubu.
Quello stesso mese, la Nichiren Shoshu, che aveva continuato a rifiutare le richieste di dialogo con la Soka Gakkai, annunciò improvvisamente un cambiamento nella sua politica nei confronti delle organizzazioni laiche all’estero.Fino a quel momento la SGI era stata l’unica organizzazione laica riconosciuta ufficialmente dalla Nichiren Shoshu all’estero, ma ora il clero avvisò la Soka Gakkai che quella politica stava per finire. I preti informarono altresì l’organizzazione che i pellegrinaggi mensili dei membri della Soka Gakkai al tempio principale sarebbero terminati; a partire da luglio, solo chi fosse stato in possesso di un permesso rilasciato dal tempio locale sarebbe stato ammesso ai pellegrinaggi. Si trattava chiaramente di un tentativo di indebolire la Soka Gakkai.
I membri della Soka Gakkai erano sconvolti dall’arroganza che trapelava da questi provvedimenti assunti unilateralmente dal clero. Negli anni erano stati organizzati pellegrinaggi regolari al tempio principale come espressione di fede genuina, così come le innumerevoli donazioni che erano state fatte, anche a costo di considerevoli sacrifici, per migliorare e abbellire il Taiseki-ji.
In seguito alla riforma agraria del dopoguerra il Taiseki-ji era stato privato della maggior parte dei terreni agricoli fino a quel momento di sua proprietà. Era stato un duro colpo, che aveva impoverito notevolmente le finanze del tempio. Per sostenersi finanziariamente, il clero progettò di trasformare il Taiseki-ji in un’attrazione turistica. Nel novembre del 1950, il sindaco, il capo del villaggio, i membri di un’associazione turistica e la stampa locale si radunarono nel tempio principale per promuovere il turismo nella zona settentrionale del monte Fuji; durante la riunione iniziarono a progettare di aprire il tempio ai turisti. Quando ne fu informato, Josei Toda rimase sbalordito e ne fu molto rattristato. La sua preoccupazione era che trasformando il tempio principale in un’attrazione per turisti che non avevano fede nel Buddismo del Daishonin, e solo per profitto, avrebbe dissacrato il nobile spirito del Daishonin. Pensando a come evitare quella situazione, ebbe l’idea di organizzare dei pellegrinaggi regolari per i membri della Soka Gakkai, un piano che fu attuato a partire dal 1952. Grazie a quell’idea la Nichiren Shoshu superò le sue difficoltà finanziarie e raggiunse un grande sviluppo. Nei quattro decenni in cui si svolsero quei pellegrinaggi, il tempio principale collezionò un totale di settanta milioni di visite da parte dei membri della Soka Gakkai.
La fede dei membri, i quali desideravano con tutto il cuore la realizzazione di kosen-rufu, aveva sostenuto la Nichiren Shoshu e reso fiorente il tempio principale.
(continua)