Ovunque, con kosen-rufu nel cuore
Roberta lavora come tecnica di laboratorio e ci racconta come grazie alla sua promessa al maestro la paura si sia trasformata nella decisione di aiutare ogni persona
di Roberta Mazzeo, Alessandria
Stamattina mi sono alzata e avevo tanta paura.
Desideravo, come desidero ogni mattina, andare in un tendone bianco e rosso per fare uno spettacolo, sono una giocoliera e il circo è il mio sogno più grande e puro. E invece sapevo che sarei dovuta entrare in un grande edificio di cemento, pieno di gente che lotta contro la morte.
Avrei voluto correre dai miei genitori, a Crema, abbracciarli e dirgli che dovevano stare tranquilli nonostante le notizie al telegiornale. E invece no. Lavoro come tecnico di laboratorio biomedico nell’ospedale di Alessandria. Ora più che mai non avrei potuto lasciare i miei colleghi.
Ero arrabbiata, dovevo andare a fare un lavoro che non sentivo neanche mio, e per il quale tutti i giorni rischio infezioni di qualunque tipo. Lavorare nell’ambito della microbiologia significa avere la paura sempre accanto, come una migliore amica, che ti aiuta a stare attenta, a lavarti bene le mani, a lavorare in sterilità.
Ebbene stamattina pensavo che non ci fosse nulla di giusto in tutto ciò. Ma ho fatto Daimoku. Col desiderio nel cuore di trasformare il mio karma in missione. E sono entrata in ospedale. Il mio collega aveva già preparato la zona in cui lavorare coi campioni Covid “pericolosi” il più possibile in sicurezza. Non mi sono lamentata, anzi. Ho raccolto tutto il mio coraggio, ed ho indossato tutti i dispositivi di sicurezza, molto scomodi da portare per lugo tempo, ma necessari, e mi sono messa a lavoro. Cercando di essere il più seria possibile, come mi insegna il mio maestro e come gli ho promesso quattro anni fa, quando ho ricevuto il Gohonzon. Come faccio da nove anni silenziosamente senza che nessuno se ne accorga. Io per prima non mi accorgevo del mio valore, fino ad oggi. Fino a quando ho capito che in prima linea ci sono da sempre. A prendermi cura delle persone. Dovunque sarò, avrò kosen-rufu nel cuore. «Coltivare la saggezza del Budda e vivere con vera compassione sono le chiavi per la felicità. Per le persone comuni dell‘ultimo giorno è molto difficile vivere con compassione. Tuttavia, se il Buddismo non stabilisse una via che permetta loro di farlo, il suo scopo originario non potrebbe essere raggiunto» (Lezione di D. Ikeda su L’ apertura degli occhi, Esperia, pag. 274).
In questo periodo le persone stanno aprendo gli occhi sulla sacralità della vita… e io sento che kosen-rufu sta avanzando!
Sensei sento che stiamo vincendo!
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Grande senso di missione
Alessandro lavora come infermiere e si sta impegnando per aiutare pazienti e famigliari guardando verso il futuro, facendo sì che questa esperienza sia un’occasione per realizzare una società basata sul rispetto della vita
di Alessandro Della Paolera, Alessandria
L’esperienza che state leggendo è in continuo divenire.
Il turno di oggi ad esempio è durato dieci ore, due ore e mezza di meno di quello di ieri. Ormai incontro amici e parenti solo tramite videochiamate e con grande gioia vedo come alcuni membri della mia famiglia hanno iniziato a recitare Daimoku e a parlare del Buddismo e anche mia sorella adesso condivide con gli altri gli incoraggimenti del maestro Ikeda.
Personalmente vivo queste giornate come un’occasione per rendermi utile ancora più di prima. Noi infermieri siamo abituati a lavorare sapendo che il paziente può essere veicolo di qualche infezione e, con le dovute precauzioni, nulla ci ferma. Recentemente queste precauzioni sono l’elemento che purtroppo scarseggia e per tale motivo sono diversi i colleghi (sanitari in generale) ad essersi infettati e quindi il clima di tensione dilaga.
Tutti sono preoccupati più per le famiglie e gli altri pazienti che per loro stessi.
Ovviamente per il sospetto di paziente affetto da Covid-19 si adottano tutte le precauzioni e per tutelare i parenti si proibiscono gli incontri tra loro.
Così ho preso la decisione di creare le condizioni per un incontro in videochiamata tra un uomo in isolamento e sua moglie che ormai da quattro giorni non vedeva né sentiva, consultandomi con lo psicologo dell’equipe multidisciplinare.
Il risultato è stato sorprendente. Questa volta il fastidio del camice, il prurito al naso sotto la mascherina e il sudore sotto la cuffia non contavano più. Attraverso il visor di protezione vedevo le lacrime del mio paziente che rispondeva con un bacio a sua moglie e che, parole sue, non si emozionava così dal giorno delle loro nozze.
Certamente la situazione è difficile, stressante e attualmente ci sono condizioni di lavoro impegnative, ma sento un grande senso di missione in reparto e questo mi spinge a creare condizioni sempre più basate sul rispetto della dignità della vita.
E mi sto proiettando già a quando questa emergenza sarà terminata.
L’esperienza che viviamo ora, gli sforzi che facciamo per restare “distanti ma uniti”, devono darci la forza per affrontare le prossime difficoltà che potranno emergere successiva difficoltà che potrà emergere nella nostra vita.
Ultima cosa: sì, ho paura di ammalarmi, ho paura di non essere stato adeguatamente attento, ho paura di non poter più fare la mia parte. Però sono determinato a continuare, giorno dopo giorno, a impegnarmi nel mio lavoro tanto quanto mi sto impegnando nella recitazione del Daimoku, che mai come ora mi dà forza per affrontare la giornata e le tempeste che si abbattono nel luogo di lavoro.
Senza il Daimoku non credo avrei visto il beneficio che sta dietro questa situazione di emergenza.
Senza il continuo incoraggiamento del maestro Ikeda e dei compagni di fede, non avrei potuto sentire questa certezza nel cuore che “l’inverno si trasforma sempre in primavera”. Non ho dubbi.