«Guardando al passato, la storia dell’umanità è anche una storia di lotte con la malattia. Nel corso degli anni, infatti, l’essere umano ha intrapreso e continua a intraprendere numerose battaglie per mantenersi in buona salute e allungare la propria vita, riuscendo ad esempio a curare malattie che un tempo erano considerate incurabili. […]
Tuttavia, poiché nessun individuo può sfuggire alle sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte, non si finirà mai di lottare contro la malattia. I membri della Soka Gakkai hanno continuato a lottare con il demone della malattia, senza mai arrendersi, e ad accumulare innumerevoli e preziose esperienze di vittoria rivelando la sacralità della vita. Senza alcun dubbio il loro modo di vivere rappresenta una luce di speranza per la nostra epoca».
Queste parole del maestro Ikeda sono contenute in un suo recente scritto dalla serie Verso il “secolo della salute” – La saggezza per realizzare buona fortuna e lunga vita, di cui pubblichiamo un estratto a pagina 22, insieme ad alcune esperienze che testimoniano come la malattia può essere l’occasione per approfondire la nostra fede, espandere il nostro stato vitale e trasformare il karma in missione.
• • • • • • • • •
La gioia di essere viva
Per mantenere la promessa fatta al maestro, Anjia ha superato la bulimia e ora si prende cura delle persone che soffrono della sua stessa malattia
di Anjia Torino, Santhià (VC)
Da quando avevo diciassette anni, nel 1990, iniziai a manifestare i primi sintomi di un disturbo alimentare che mi portava a vomitare tutto ciò che mangiavo, e di cui solo dieci anni più tardi scoprii il nome clinico: bulimia. Quando nel 1995 mi parlarono per la prima volta di Nam-Myoho-Renge-Kyo ero ormai ridotta a un vegetale, nel corpo e nella mente. In quella settimana che recitai Daimoku mi sentii di nuovo viva. Non continuai, ma da quel momento tutto sembrò muoversi in direzione positiva.
Dopo essere stata ospitata in un centro per ragazzi disabili, nel 1996 mi trasferii in una comunità sperimentale per disturbi del comportamento alimentare (DCA). Mi presero in carico senza molte speranze. Invece migliorai, seguita da uno psicoanalista che mi incoraggiava spesso citando la frase di Nichiren Daishonin: «Se viaggi per undici giorni e ti fermi quando ne manca uno solo, come puoi ammirare la luna sopra la capitale?» (Lettera a Niiike, RSND, 1, 911).
Migliorai al punto da ottenere la qualifica di assistente domiciliare e persino un lavoro, nel 1999. Nel mio primo giorno di lavoro incontrai nuovamente il Buddismo: la mia nuova collega mi invitò a una riunione. Iniziai subito a fare Gongyo mattina e sera, tanto Daimoku, e a dedicarmi all’attività byakuren.
Mi incoraggiavano a sorridere e io, anche se non lo sentivo, sorridevo. Partecipai a un corso buddista dove scrissi al maestro Ikeda per promettergli che avrei dedicato la mia vita alla propagazione delle Legge mistica e mi sarei presa cura delle persone che soffrivano della mia stessa malattia. Per poterlo fare dovevo essere io per prima un esempio. Parlavo del Buddismo a più persone possibili, per la felicità mia e degli altri e in modo del tutto naturale, nel 2006 smisi di vomitare e iniziai una ulteriore fase di recupero.
Una frase del Gosho Risposta a Kyo’o mi incoraggiava in modo particolare: «Questo sutra può […] esaudirne i desideri, proprio come una fresca e limpida fonte può soddisfare tutti coloro che sono assetati» (RSND, 1, 365).
Grazie all’attività, al continuo approfondimento della mia preghiera davanti al Gohonzon e del legame con il maestro Ikeda, infine arrivai a sorridere per davvero e a provare, dopo tanto tempo, la gioia di essere viva.
Nel 2017 ho raggiunto l’obiettivo di potermi prendere cura delle persone che soffrono della mia stessa malattia, entrando a far parte di un’associazione che si dedica ai disturbi del comportamento alimentare.
Il 30 settembre 2019 è stato inaugurato a Biella il primo centro di mutuo aiuto per disturbi alimentari. Inoltre mi è stata fatta una video-intervista da portare come esempio di lotta nei disturbi del comportamento alimentare in una mostra che si terrà a Torino nel 2020. Nello stesso periodo mi è stata affidata la responsabilità di un gruppo nella Gakkai.
A novembre, durante un corso buddista ho raccontato la mia esperienza davanti a quattrocento persone e quattro mesi dopo io stessa ho sostenuto una ragazza che raccontava la sua esperienza a un convegno dell’associazione. Non avrei mai potuto affrontare tutto ciò senza il percorso di fede che mi ha condotto alla comprensione profonda del grande valore della mia vita e a compiere la mia rivoluzione umana.
• • • • • • • • •
“Un’infermiera della vita”
Affetta fin dall’infanzia dall’epilessia, Irene sfida con coraggio discriminazioni e pregiudizi fino a fare della sua malattia un’occasione per creare valore nella società, trasformando così il suo karma in missione
di Irene Baggiani, Rignano sull’Arno (FI)
Sono nata in una famiglia buddista e ho l’epilessia da quando avevo tre anni. La mia malattia ha comportato non pochi problemi di relazione con i miei coetanei. Nonostante tutto, in quelle giornate trascorse tra un ospedale e l’altro sentivo di essere una bambina coraggiosa.
A novembre 2013 i medici mi suggerirono di tentare un intervento neurochirurgico nella zona cerebrale interessata, perché ero resistente ai farmaci e quella sembrava l’unica strada. Dissi a mia madre che ero disposta a operarmi, se quella era la soluzione, ma lei andò davanti al Gohonzon e disse: «Irene, possiamo trasformare questo pesante karma familiare, recitiamo Nam-myoho-renge-kyo!».
Seduta accanto a lei iniziai a recitare Daimoku e a trasformare così i miei giorni bui in giorni splendenti. Sono molto grata a mia madre per avermi fatto conoscere il Buddismo e per avermi sempre sostenuta.
Gli anni del liceo sono stati difficili, avevo crisi frequenti. I miei compagni di classe mi respingevano emarginandomi e perfino la preside cercava di scoraggiarmi dal partecipare alle gite scolastiche. Ma io decisi di trasformare tutto questo. Con l’aiuto delle psicologhe e di una professoressa realizzammo un video in cui parlavo dell’epilessia cercando di trasmettere ai miei compagni cosa si prova.
Da quel momento cambiarono atteggiamento e io iniziai un percorso di inclusione che mi portò a partecipare a tutte le attività scolastiche, comprese le gite all’estero.
Dopo la maturità decisi di sostenere il test di ingresso per i corsi di laurea in Infermieristica, perché gli infermieri hanno saputo prendermi per mano fin da piccola con umanità e amore, e anche io nella mia vita volevo prendermi cura delle persone.
Riuscii a entrare tra i primi centocinquanta studenti del corso di laurea dell’Università di Firenze. Ma dopo tre mesi giunse il momento di comunicare ai docenti che si occupavano dei tirocini che avevo l’epilessia: la cosa non fu presa molto bene dai tutor che cercarono di dissuadermi dal proseguire quel corso di laurea, secondo loro per me troppo impegnativo.
Recitai Daimoku con forza per vincere questi pregiudizi, incoraggiata dalle parole del maestro Ikeda: «Quando la determinazione cambia, tutto inizia a muoversi nella direzione che desiderate. Nell’istante in cui decidete di vincere, ogni nervo e fibra del vostro essere si orienteranno verso quella realizzazione. D’altra parte, se pensate “Non funzionerà mai”, proprio in quel momento ogni cellula del vostro essere si indebolirà, smettendo di lottare, e tutto volgerà verso il fallimento» (Giorno per giorno, 20 settembre, Esperia).
Consegnai ai docenti le certificazioni rilasciate dai neurologi in cui dichiaravano che senza dubbio ero in grado di studiare Infermieristica, era un mio diritto. Pian piano i docenti mi accettarono e partecipai a tutti i tirocini previsti dal corso di laurea, in tutti i reparti.
Nel maggio del 2016 ebbi una crisi molto grave di cui non ho ricordi. Venni ritrovata incosciente in un bosco e mi risvegliai in rianimazione dopo alcune ore senza aver subìto alcuna conseguenza, né fisica né neurologica. Sentii tutta la protezione del Daimoku dei compagni di fede.
Dopo una settimana riuscii a riprendere gli studi e i tirocini, e ottenni anche una borsa di studio. Nel frattempo individuai il docente disponibile a farmi da relatore per la tesi, che ero determinata a discutere entro il novembre 2018. Il mio progetto di tesi era motivato dal desiderio che altri ragazzi che soffrivano di epilessia non dovessero vivere l’emarginazione e i pregiudizi che avevo subìto io.
Il presidente Ikeda scrive: «Il superamento del pensiero discriminatorio dell’attaccamento alle differenze è la condizione necessaria per un dialogo aperto, che a sua volta è essenziale per stabilire la pace e il rispetto universale dei diritti umani» (Per il bene della pace, Esperia, 2003, pag. 30).
Un giorno di maggio del 2018, mentre svolgevo il tirocinio in sala operatoria, venni ritrovata incosciente per terra.
Ebbi una serie di crisi che non si fermavano con i farmaci e così venni sedata, intubata e ricoverata in rianimazione. Nei giorni successivi vennero a trovarmi i docenti del corso di laurea per comunicarmi che a loro avviso avrei dovuto sospendere i tirocini almeno fino a settembre.
Iniziai a recitare Daimoku affinché questa “proroga” della laurea si trasformasse in qualcosa di positivo.
Alla fine dell’estate mi venne un’idea e chiesi al mio neurologo se fosse disposto a farmi da correlatore: fu felicissimo di aiutarmi.
Sapevamo entrambi che si trattava di un progetto molto impegnativo, che avrebbe fatto riemergere in me tanto dolore e ricordi di brutte esperienze, ma io ero animata da un obiettivo più grande.
Il 27 marzo 2019 ho superato l’esame di Stato e sono stata abilitata alla professione di infermiera e il 10 aprile mi sono laureata in Infermieristica con una tesi dal titolo La conoscenza dell’epilessia nelle scuole superiori: elaborazione di un progetto formativo.
Sono determinata a implementare questo progetto all’interno delle scuole, affinché nessuno venga più emarginato o escluso a causa di questa malattia.
Sono immensamente grata al Gohonzon per tutto questo susseguirsi di esperienze che nel bene e nel male mi hanno arricchita, e grazie alle quali ho veramente compreso il valore della vita.
Lo scorso settembre mi sono iscritta al master di infermieristica di area critica ed emergenza territoriale 118, l’ennesima cosa che mi avevano detto che non avrei mai potuto fare. A ottobre mi sono associata a uno studio di infermieri liberi professionisti che ha in appalto diverse attività sanitarie e a gennaio ho iniziato il percorso di tirocinio del master nei reparti di Rianimazione, Pronto Soccorso e 118.
Credo profondamente in queste parole di Sensei: «Nella vostra dedizione alla Legge mistica e negli sforzi per condividerla diffusamente siete le “dottoresse della vita”, siete “le infermiere della vita”» (NR, 281, 15).
Nel futuro desidero incoraggiare tutte le persone di cui mi prenderò cura creando relazioni di valore e dialogando con ognuna, cuore a cuore. Come scrive Sensei, voglio diventare davvero “un’infermiera della vita”!
• • • • • • • • •
Il Daimoku del ruggito del leone non si lascia sconfiggere dal demone della malattia
A settembre 2019 il maestro Ikeda ha pubblicato sul Daibyakurenge la prima puntata della serie Verso un secolo della salute. La saggezza per realizzare buona fortuna e lunga vita in cui ci incoraggia a non farci mai sconfiggere dal demone della malattia e ci trasmette la convinzione che anche nella malattia possiamo trovare una grande occasione per realizzare la nostra e altrui felicità. Di seguito ne pubblichiamo un ampio estratto
La salute è un pilastro dei diritti fondamentali
[…] Tutti desiderano vivere felicemente e in buona salute in una società pacifica, vivere con dignità a prescindere dalle malattie o disabilità che si possono avere, liberi dalle preoccupazioni, dall’angoscia e dalle sofferenze provocate dalla malattia. Tutti desiderano riuscire a evitare i pericoli e i rischi derivanti da cattive condizioni di vita, fame e carestia o epidemie. Nel mondo attuale la salute costituisce, insieme alla pace, uno dei pilastri dei diritti fondamentali della persona e sta acquisendo un’importanza sempre maggiore in relazione al rispetto della dignità dell’individuo.
Ad esempio, uno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) stabiliti dalle Nazioni Unite mira ad assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età.
Non posso fare a meno di determinare con forza di trasformare il ventunesimo secolo nel secolo della vita, il secolo della salute, ovvero un’epoca in cui ogni singola persona possa risplendere maestosa come torre preziosa della vita, degna del massimo rispetto. […]
Infondere coraggio e forza nelle persone
Per quanto riguarda la malattia, il problema non è costituito semplicemente dai suoi sintomi, ma dal fatto che priva le persone della speranza di vivere, distrugge la loro quotidianità e la loro felicità, e arriva persino a sbarrare le porte del futuro.
Sono convinto che una religione sia un’autentica religione per l’essere umano solo se affronta in modo risoluto ciò che può essere definito come il “demone della malattia” (ovvero “l’energia che porta l’individuo a soccombere” ) e riesce a infondere nelle persone il coraggio e la forza di vivere.
Noi membri della Soka Gakkai, sempre pronti a impegnarci per aiutare le persone e a tuffarci tra coloro che soffrono ai margini della società, ci siamo costantemente incoraggiati a vicenda e, superando insieme le varie difficoltà che sorgevano, abbiamo fatto risuonare il canto di vittoria della vita.
Questa è la nobile storia dei compagni di fede Soka che sono sempre andati avanti con la promessa di schierarsi eternamente dalla parte delle persone comuni.
Superare le sofferenze di invecchiamento, malattia e morte
Il Buddismo vede chiaramente la malattia, l’invecchiamento e la morte come qualcosa di inevitabile nella vita di un essere umano, e mira a trovare le soluzioni per superare le sofferenze che ne derivano.
Chiunque desidera essere in buona salute, vivere a lungo e trascorrere una vita felice. Non vi è dubbio che, proprio per questo, la saggezza del Buddismo diffonde sempre più una luce di speranza. […]
Nichiren Daishonin scrive: «La malattia di tuo marito forse è dovuta al volere del Budda; infatti il Sutra di Vimalakirti e il Sutra del Nirvana parlano di persone malate che raggiungono la Buddità, poiché la malattia stimola lo spirito di ricerca della via» (La buona medicina per tutti i mali, RSND, 1, 833).
Con questa lettera il Daishonin incoraggiò con tutto se stesso la monaca laica Myoshin che si stava prendendo cura del marito malato: «I cinque caratteri di Myoho-renge-kyo […] sono la buona medicina per le malattie della gente di Jambudvipa» (Ibidem), e ancora: «La malattia di tuo marito forse è dovuta al volere del Budda». In questo modo riesce a trasmettere un profondo senso di sicurezza, pervaso dalla sua grande compassione.
Per noi membri della Soka Gakkai le sofferenze derivanti dalla malattia che spesso ci troviamo ad affrontare in modo inaspettato, non sono qualcosa da rifiutare. Al contrario, nel momento in cui comprendiamo che sono una parte preziosa e insostituibile della vita che stimola un processo indispensabile per il conseguimento della Buddità nell’esistenza presente, ovvero per realizzare la felicità eterna, saremo in grado di sviluppare la profonda convinzione che la malattia è un’occasione, e che proprio questo è il «momento cruciale» per far ardere una fede forte e coraggiosa (cfr. L’apertura degli occhi, RSND, 1, 257).
Così riusciremo non solo a superare senza dubbio questa prova, ma anche ad assaporare ancor di più la nostra vita e a realizzare una grande crescita come esseri umani.
Il punto cruciale è come affrontiamo la malattia
[…] Tutti i Budda, bodhisattva e le persone comuni possiedono allo stesso modo i dieci mondi e non possono sfuggire alle sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte. Si tratta del principio per cui «nascita e morte sono originariamente intrinseche alla vita» (cfr. Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 117, 45).
Anche il fatto di ammalarsi, quindi, è una cosa del tutto naturale.
Di conseguenza, non è qualcosa di cui vergognarsi; a maggior ragione, non deve assolutamente essere considerato come una sconfitta nella vita. Tuttavia, a volte possono sorgere dubbi che portano ad angustiarsi e a chiedersi: “Eppure sto praticando, perché mi sono ammalato?”.
Proprio in momenti del genere, è essenziale una fede che ci permetta di reagire e comprendere che «la malattia […] forse è dovuta al volere del Budda». È impossibile che una persona che abbraccia e sostiene la Legge mistica non riesca ad aprire una breccia nel proprio karma. Non ha nulla di cui lamentarsi. Non ha nulla da temere. Il punto fondamentale è come affrontiamo il fatto di esserci ammalati, con quale ichinen ci alziamo e reagiamo.
Un cuore che ricerca la Legge buddista
Nichiren Daishonin afferma: «La malattia stimola lo spirito di ricerca della via» (La buona medicina per tutti i mali, RSND, 1, 833).
Lo spirito di ricerca è il cuore che ricerca la via del Budda. Significa intraprendere il cammino che conduce al conseguimento della Buddità. Recitando Daimoku e affrontando la malattia senza lasciarci sconfiggere, possiamo espandere ancora di più la nostra condizione vitale di Buddità. Siamo in grado di vivere la vita in modo più profondo, più forte e nobile. Inoltre, possiamo ottenere il beneficio di vedere chiaramente il reale aspetto di “malattia, invecchiamento e morte” senza provare alcuna paura.
Una forte fede e una preghiera tenace
Il grande scrittore russo Lev Tolstoj (1828-1910) ci ha lasciato questa profonda visione: «Dobbiamo pensare alla malattia come a una condizione della vita inseparabile dall’essere umano». Lui stesso ha lottato incessantemente con la malattia. Tolstoj afferma inoltre: «Non esiste malattia che possa impedire a un individuo di fare ciò che deve fare», e poi: «L’essere umano è sempre in grado di compiere la propria missione, sia quando è malato che quando è in salute, senza alcuna differenza».
Credo che solo riuscendo a considerare la malattia come una sofferenza connaturata all’essere umano si può comprendere la vera ricchezza della vita.
Nel Buddismo la malattia viene vista come «una parte innata della vita» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 121).
Affrontando la malattia, arriviamo a percepire profondamente quanto sia importante la salute e quanto sia preziosa la vita. Riusciamo così a riconsiderare in modo più profondo la nostra esistenza e la nostra missione.
Il nostro ichinen di lottare contro il demone della malattia, la nostra forte fede e la nostra preghiera tenace e incrollabile infondono coraggio e speranza in tutti coloro che ci circondano. In questo modo, manifestiamo la grandezza della condizione vitale che può essere raggiunta da un individuo.
La buona salute e la malattia non sono due cose distinte e separate: la malattia equivale alla propria missione.
Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito di un leone
Nichiren Daishonin scrive: «Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito di un leone. Quale malattia può quindi essere un ostacolo?» (Risposta a Kyo’o, RSND, 1, 365).
Quanti membri della Soka Gakkai hanno lottato e vinto coraggiosamente contro il demone della malattia grazie a queste parole che avevano inciso nel cuore!
Il Daishonin scrive inoltre che sta pregando «ogni momento del giorno» per la guarigione di Kyo’o Gozen. Per una persona che emette il ruggito del leone di Nam-myoho-renge-kyo, nessuna malattia potrà mai costituire un ostacolo: questo è l’incoraggiamento di Nichiren Daishonin. Volendo fare una similitudine, quando il re leone ruggisce, tutti gli altri animali si sottomettono a lui, tremando di paura.
Facendo proprie queste auree parole del Daishonin, i miei cari amici Bodhisattva della Terra del mondo intero hanno risvegliato e fatto emergere il coraggio di non lasciarsi sconfiggere assolutamente dal demone della malattia. Per quanto gli ostacoli e i demoni possano “fare a gara per interferire”, non riusciranno mai a ostacolare il nostro cammino che conduce direttamente al conseguimento della Buddità, né tantomeno il sentiero verso la vittoria e la felicità, nella nostra vita così come nel movimento di kosen-rufu. Non ci lasceremo fermare da nulla!
Finché faremo risuonare questa preghiera del ruggito del leone, proprio come afferma il Daishonin: «Le sfortune […] si trasformeranno in fortuna» (Ibidem, 366); non vi è alcun dubbio che riusciremo a realizzare la vittoria di “trasformare il veleno in medicina” e di “trasformare il karma in missione”. Il Daimoku del ruggito del leone che il maestro e i discepoli Soka recitano uniti non ha rivali.
Non lasciarsi sconfiggere dalla malattia
Vorrei ora confermare che “malattia” e “demone della malattia” sono due cose ben diverse. La malattia in sé è una delle quattro sofferenze universali di nascita, invecchiamento, malattia e morte, che fanno parte della vita di tutti gli individui, nessuno escluso. Tuttavia, a causa della malattia le persone tendono a sprofondare nella disperazione, a rinunciare alla vita o a perdere la forza di vivere. Guardando le cose con gli occhi del Budda, poiché agisce come «ladro di vita» (RSND, 1, 77) che priva le persone della forza vitale, la malattia diventa un “demone”, o una funzione demoniaca.
Il punto fondamentale è riconoscere questo “demone della malattia”, affrontarlo e attaccarlo con fede e coraggio.
È essenziale decidere di non lasciarsi mai sconfiggere, nel modo più assoluto.
Essendo una lotta contro il demone della malattia, se lo si attacca e si vince, si può diventare Budda.
Maestro e discepoli che recitano all’unisono
Da giovane ho sofferto di tubercolosi ed ero di costituzione molto debole, al punto che il medico mi disse che non avrei vissuto fino ai trent’anni.
Sebbene mi schierassi sempre nelle prime file del movimento di kosen-rufu e mi lanciassi con tutto me stesso nelle battaglie per aprire la breccia della vittoria, soffrivo di una febbriciattola costante e forti dolori in tutto il corpo. Un giorno ero talmente esausto che Toda, non potendo fare a meno di notare il colorito del mio volto, mi rimproverò con severità: «Daisaku, mi sembra che manchi completamente di forza vitale! Non si può vincere una battaglia senza forza vitale». Poi mi portò con sé di fronte al Gohonzon, dove recitò Daimoku affinché potessi recuperare forza ed energie per sconfiggere le funzioni demoniache: il suo era davvero il ruggito del leone. Ispirato e incoraggiato dall’affetto severo del mio maestro, riuscii a far emergere la grande e impetuosa forza vitale di un leone. In questo modo, fui in grado di “mettere al tappeto” il demone della malattia e di fortificarmi sempre più nel corso della mia esistenza, fino a riacquistare la salute e beneficiare di una lunga vita per poter compiere la mia missione. Tutto ciò mi riempie di una gratitudine infinita.
Nella Raccolta degli insegnamenti orali viene spiegato chiaramente il significato del “ruggito del leone”, che è «il suono del maestro e dei discepoli che recitano all’unisono» (BS, 116, 55). Grazie a questo Daimoku del “ruggito del leone” basato sulla non dualità di maestro e discepolo, la Soka Gakkai è riuscita a trionfare sulle avversità. […]
Pregare con un forte ichinen
Quando Toda incontrava i membri, gli venivano poste molte domande sulla malattia.
Ciò su cui Toda si concentrava attentamente, più di ogni cosa, era se chi aveva posto la domanda avesse o meno il forte ichinen di lottare con fede contro il demone della malattia. A coloro che in qualche modo tendevano a delegare all’esterno la responsabilità della guarigione, a rassegnarsi o a nutrire dubbi nel cuore, Toda dava guida con fermezza e passione, proprio come un padre severo.
La maggior parte delle persone, nel momento in cui si trovano ad affrontare una malattia si lasciano sconfiggere nello spirito. Il mezzo per vincere le funzioni demoniache che indeboliscono lo spirito è il ruggito del leone di Nam-myoho-renge-kyo.
Una persona che fa risuonare nella sua vita il più potente ruggito del leone, non ha nulla da temere. Anche Nichiren Daishonin afferma nel Gosho Risposta a Kyo’o: «Ovunque tua figlia possa saltare e giocare, non le accadrà niente di male; potrà andare in giro senza paura come il re leone» (RSND, 1, 365).
Anche se ci dovessimo ammalare, anche se dovessimo affrontare varie avversità, se non dimentichiamo di recitare il Daimoku del ruggito del leone saremo in grado di vivere come il re leone, con serenità e senza paura. Questa è la prova concreta del passo del Sutra del Loto che afferma: «Là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio» (SDL, 318).
Ci sono casi in cui i bambini sono troppo piccoli per poter recitare da soli, proprio come Kyo’o Gozen. Anzi, molto spesso anche gli adulti, nel momento in cui sono ricoverati in ospedale o stanno lottando duramente con la malattia, trovano difficile fare Daimoku e Gongyo. Oppure a volte recitano Daimoku nel proprio cuore, non potendo utilizzare la voce. Tuttavia, il Daimoku del ruggito del leone recitato dai loro familiari e dai compagni di fede, li raggiunge immancabilmente.
Il Daishonin afferma: «Quale malattia può quindi essere un ostacolo?» (Risposta a Kyo’o RSND, 1, 365).
È fondamentale credere profondamente in queste parole, con tutte le forze.
In diversi scritti Nichiren Daishonin incoraggia calorosamente i suoi discepoli che stanno affrontando la malattia, giovani o anziani, uomini o donne. Ad esempio, incoraggia con tutte le forze la monaca laica Toki, incline a perdersi d’animo poiché malata da molto tempo, scrivendole: «Poiché sei una devota del Sutra del Loto, non andrai incontro a una morte prematura», e anche: «Puoi contare sul potere del Sutra del Loto» (L’arco e la freccia, RSND, 1, 585).
La esorta ad andare avanti con la profonda convinzione che sicuramente andrà tutto bene e senza dubbio sconfiggerà il demone della malattia: «Sii profondamente convinta che la tua malattia non può durare e che non è possibile che la tua vita non venga prolungata! Prenditi cura di te e non affliggere la tua mente» (Ibidem).
Una forte condizione vitale
Quando Nanjo Tokimitsu si ammalò gravemente, Nichiren Daishonin, nonostante lui stesso non fosse in buone condizioni di salute, ammonì al posto del suo amato discepolo i demoni malvagi che lo stavano facendo soffrire: «E voi, demoni, facendo soffrire quest’uomo, state cercando di ingoiare una spada dalla punta, o di abbracciare un gran fuoco, o di diventare acerrimi nemici dei Budda delle dieci direzioni e delle tre esistenze?» (La conferma del Sutra del Loto, RSND, 1, 984).
Grazie all’appassionato e impetuoso ruggito di leone del Daishonin, Nanjo Tokimitsu riuscì a sconfiggere il demone della malattia e a prolungare la sua vita per realizzare la missione di propagare la Legge mistica.
Per quante prove legate alla malattia possiamo trovarci ad affrontare, la cosa fondamentale è credere nelle potenzialità della nostra vita e continuare a vivere a pieno, fino in fondo.
La prova concreta della vittoria sulla malattia risiede in una simile condizione vitale, flessibile ma forte.
Desidero che tutti noi percorriamo fino in fondo la nostra esistenza creando felicità, per noi e per gli altri, avanzando costantemente da oggi verso il domani, un passo dopo l’altro, continuando a richiamare e risvegliare in noi stessi la saggezza per vivere fino in fondo, lo sforzo di vivere al massimo, nonché la compassione, il coraggio e la creatività.
• • •
Dalla serie di Daisaku Ikeda “Incidiamo il Gosho nel nostro cuore”
La malattia è l’occasione decisiva per realizzare la felicità eterna
«Io, Nichiren, sono convinto che, sradicando questi ostacoli karmici, in futuro giungerò alla pura terra del Picco dell’Aquila. Perciò, sebbene varie e gravi persecuzioni cadano su di me come pioggia o si addensino su di me come nubi ribollenti, dato che le incontro per amore del Sutra del Loto, non percepisco affatto queste sofferenze come tali».
(Dal Gosho L’origine del servizio funebre per gli antenati defunti, RSND, 1, 167)
Nichiren Daishonin, il Budda dell’Ultimo giorno della Legge, descrive come sia riuscito a trionfare con coraggio e fermezza sulle grandi difficoltà che si trovò ad affrontare, una dopo l’altra.
Grazie al grande potere benefico della Legge mistica possiamo ricevere in forma alleggerita e sradicare in questa esistenza gli effetti negativi del karma pesante accumulato fin dal passato.
Anche la malattia può costituire un’occasione decisiva per realizzare la felicità eterna, per noi e per i nostri familiari. È proprio nei momenti più difficili che possiamo rivoluzionare completamente la nostra condizione vitale.
Con il ruggito del leone del Daimoku pervaso dal voto di kosen-rufu, facciamo sì che ogni difficoltà diventi uno “spettacolo di vittoria” della nostra grande missione, trasformando con determinazione il veleno in medicina.
(Seikyo Shimbun, 12 febbraio 2020)