Tutti li conoscono perché vengono nominati più volte al giorno durante la recitazione del sutra. Ma i dieci fattori sono un principio concretamente pratico che aiuta a comprendere il funzionamento degli aspetti visibili e invisibili della vita
Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? Insomma cos’è la vita? Sono le domande che da tempo immemorabile l’uomo si pone. Che giustificano l’esistenza delle filosofie e delle religioni, costruzioni teoriche per spiegare quello a cui l’esperienza da sola non può rispondere. Agli albori della storia umana l’esperienza della nostra specie era primitiva e limitata, così filosofia, scienza e magia erano indistinguibili. Ora la scienza consente di prevedere un’esorbitante quantità di fatti che riguardano la nostra vita, ne spiega tanti meccanismi, eppure la filosofia e la religione esistono ancora. Dunque rimangono ancora domande a cui la scienza nella sua estrema sofisticatezza non è in grado di dare una risposta generale. E non lo pretende nemmeno visto che si occupa più di “come” le cose accadono che del “perché”.
Una di queste domande è cos’è la vita e come diavolo funziona?
«Che me ne importa» potrebbe forse rispondere la maggioranza dei praticanti buddisti: io ho inziato perché soffrivo o perché questo e quell’altro aspetto del mio vivere, concretamente, tutti i giorni, non funzionava e io non sapevo più a che santo attaccarmi…
Però di fatto il Buddismo una risposta a questa domanda la dà; anzi proprio perché è una filosofia della vita d’immensa profondità e generalità ci permette poi di realizzare trasformazioni nel particolare della nostra esistenza individuale.
«La vera entità della vita può essere compresa e condivisa solo fra Budda» leggiamo e ripetiamo mattina e sera nella cerimonia di Gongyo. E un motivo ci sarà.
Di per sé parrebbe un’affermazione scoraggiante se non sapessimo, per esperienza o grazie alla guida e alle esperienze concrete di chi questo Buddismo lo pratica già da un po’, che noi siamo i Budda, noi possediamo lo stato vitale di Buddità e dunque, come funziona la vita, abbiamo la possibilità di capirlo.
Prosegue il sutra: «Essa consiste di: Nyo ze so, nyo ze sho, nyo ze tai, nyo ze riki, nyo ze sa, nyo ze in, nyo ze en, nyo ze ka, nyo ze ho, nyo ze honmak kukyo to».
Quest’elenco che non certo a caso viene ripetuto tre volte nel corso della nostra preghiera del mattino e della sera con cui cerchiamo di metterci a ritmo con l’universo suona di primo acchito piuttosto arcano. Eppure è ciò di cui consiste la vera essenza della nostra vita, è lo schema generale che segue ogni fenomeno vivente, noi compresi, in ogni momento della nostra giornata, quindi forse vale la pena di fare uno sforzo per capire ciò che Shakyamuni intendeva dire.
Intanto tutto ciò che esiste ha un aspetto, una forma fisica, vale a dire che può essere percepito e distinto da qualsiasi altra cosa con i nostri cinque sensi, anche se magari per fenomeni particolarmente piccoli, come i virus o particolarmente lontani come certe stelle occorre il sussidio di un microscopio o di un telescopio.
Ogni fenomeno della vita ha pure una natura, che non è altro che il suo “dentro” ciò che non possiamo percepire dall’esterno, nel caso di una persona sono il suo modo di sentire, i suoi sentimenti, i suoi pensieri, ciò che nessuno strumento scientifico potrà mai misurare. È vero che esistono parole per comunicare il nostro sentire e che ci sono sofisticate tecniche per produrre determinate emozioni, sensazioni o immagini, stimolando meccanicamente certe aree del cervello ma capire davvero tutto ciò che sta provando un’altra persona, anche semplicemente quando afferma «questa cosa è verde», è per definizione impossibile anche alla scienza. Potremmo dire in due parole che la natura è l’aspetto spirituale, non visibile delle cose.
Poi, proseguendo nell’elenco troviamo l’entità. Tutto ciò che vive ha un aspetto materiale, uno spirituale e un’entità di cui entrambe sono una manifestazione. Sempre nell’esempio di un essere umano e cercando con un giro di parole di dire l’indicibile, l’entità è “ciò che una persona è”, la sua unicità e peculiarità che si manifesta sia nel suo aspetto fisico, visibile, che nei suoi pensieri o emozioni, invisibili.
Fin qui abbiamo fotografato una forma di vita, o un fenomeno, in maniera statica, isolandola e separandola da tutto ciò che la circonda.
Ma il Buddismo ci insegna che ciò non è possibile. Noi, e tutto ciò che esiste, siamo un’infinita rete, collegata in maniera inscindibile ed è solo un’illusione, o come nel nostro caso è più comodo per spiegare, immaginare un fenomeno o una persona che esistano isolati da tutto ciò che li circonda. E allora cosa accade quando, quest’entità, con la sua forma e la sua natura entra in relazione con tutto il resto?
Anzitutto avrà un potenziale di esercitare un influsso su ciò che la circonda, avrà un potere più o meno forte. Le zanzare sono molto piccole ma hanno il grande potere di turbare il sonno estivo della maggior parte delle persone. Noi, a volte siamo tanto grossi eppure quando siamo tristi o scoraggiati non abbiamo nemmeno il potere di farci ascoltare dal cameriere per ottenere un caffé al bar. Tutti sanno bene cos’è il potere, specialmente quando non ce l’hanno, la volontà, l’energia vitale, la buona salute, il coraggio, ma anche il potere politico o la capacità di schiacciare gli altri. E poichè il potere è tale in quanto influenza la realtà circostante va da sé che prima o poi lo farà e produrrà un’azione. E questo è nyo ze sa. Il potere della vita, nostra o degli altri messo in atto, una modificazione concreta del nostro ambiente. Il potere agisce e nyo ze sa è l’azione.
E fin qui la vita, quel complesso inscindibile di mente e corpo si è mossa nello spazio. Ma esiste un’altra categoria del pensiero con la quale noi umani inquadriamo la realtà: il tempo. E con i seguenti quattro fattori si spiega la vita proprio nel suo dipanarsi in questa dimensione. Nyo ze in, la causa interna è la tendenza accumulata dalla nostra vita fino a un determinato momento, quello presente. È quella tendenza che determina come reagiamo ai fatti esterni, quelli dell’ambiente materiale, le cosiddette cause esterne (nyo ze en).
È quell’aspetto giustappunto – infatti i dieci i fattori vengono chiamati anche dieci aspetti – per cui, ad esempio, davanti alla notizia di essere affetti da una malattia incurabile qualcuno usa quella “disgrazia” per trasformare completamente la sua vita mentre un altro si rassegna supinamente, affrettando la sua stessa morte. Non è una differenza da poco, per quanto può riguardare la nostra felicità individuale.
Ma non precorriamo i tempi. C’è un elemento che va preso in considerazione prima, ed è l’effetto latente. Questa parte del principio dei dieci fattori è una idea che solo il Buddismo spiega: quella che contemporaneamente alla causa dentro di noi, prima che qualsiasi cosa succeda fuori, già esiste il suo bravo effetto latente. Cerchiamo di spiegarci meglio con un esempio. Se siamo persone colleriche è vero che se ci accade di venire provocati in pubblico reagiamo con un comportamento violento. Un’altra persona magari si sentirebbe ferita ma rimarrebbe in silenzio. Un’altra ancora si farebbe scivolare addosso gli insulti. Ma prima ancora che il fatto, la causa esterna, accada ci vuol poco a capire che se siamo degli attaccabrighe prima o poi finiremo nei guai. E di conseguenza ci sarà anche un effetto manifesto, magari con visita al Pronto soccorso, della nostra causa interna con il suo inseparabile effetto latente.
Eppure nell’unità di questi due apparenti opposti che il Buddismo chiama “simultaneità di causa ed effetto”, non c’è mera identità, altrimenti non si tratterebbe di due fattori distinti (vedi Daisaku Ikeda, La vita mistero prezioso, pag.167). Mentre la causa interna è la tendenza della nostra vita fino a ora, l’effetto latente è la direzione che prenderà d’ora in poi. In questa sfasatura che non è sul piano del tempo ma dell’ichinen si insinua la possibilità di cambiare la nostra vita di istante in istante, quello che la filosofia tradizionale occidentale chiama: libero arbitrio.
«Col tempo maturano le nespole» mi pare dica un vecchio adagio. E così col tempo anche l’effetto latente incontra la sua occasione e diviene “effetto manifesto”, un fatto materiale della nostra realtà, della nostra vita.
Finora abbiamo visto aspetti materiali della vita, come il primo fattore, la forma, l’aspetto o come il quinto, l’azione, e il settimo, la causa esterna e il nono, l’effetto manifesto. E questi interagiscono con fattori spirituali, come la natura, la causa interna, l’effetto latente. Un discorso a parte merita il terzo fattore, l’entità, l’essenza della nostra vita che in ultima analisi è Myoho-renge-kyo e in quanto tale manifesta sia aspetti materiali che spirituali.
Ma l’ultimo fattore parla su un piano ancora diverso da quello dell’essere o dell’agire, dello spazio o del tempo, propri degli altri nove. È l’affermazione della coerenza dall’inizio alla fine di questi multiformi aspetti della vita con lo stato vitale del momento presente. Così chi è nel mondo d’Inferno, di Avidità, di Collera oppure di Bodhisattva o di Budda si vede nel volto, esiste nei pensieri e nei sentimenti, nelle azioni, nelle cause che pone e negli effetti che riceve.
I dieci fattori, alla luce dell’ultimo, spiegano come la vita muta da un istante all’altro, un altro dei punti fermi della spiegazione buddista del mondo. Ma poiché al Buddismo interessa più la felicità della verità, ciò che più conta è che sapere come funziona possa aiutarci a vivere meglio. Per esempio spiega com’è che quando recitiamo Daimoku inevitabilmente la nostra vita entra nel mondo di Buddità, e come fare a entrarci al più presto per osservare da una prospettiva più alta. Se partiamo abbattutti e preoccupati possiamo agire sul primo dei dieci fattori e raddrizzare la schiena, unire le palme delle mani, tirar fuori una voce sonora e vibrante. Oppure agiamo sul secondo e magari leggendo un Gosho, un altro incoraggiamento o semplicemente facendo mente locale a ciò che diciamo di credere, cerchiamo di rendere più positiva la qualità dei nostri pensieri di ricercare non il lamento ma la fiducia della Buddità. E ponendo una simile causa; simultaneamente dentro di noi, per il principio suddetto, già esiste il mondo di Buddità, è presente e, anche se può volerci del tempo perché un effetto eclatante si manifesti nella nostra vita, il cambiamento è già avvenuto dentro di noi. Col senno di poi, spesso “molto poi”, tanti “vecchi” praticanti lo possono affermare. Quando cambiamo uno qualsiasi dei dieci fattori anche gli altri – si può dire in maniera un po’ forzata – lo seguono e l’effetto manifesto nella nostra vita non fa eccezione.