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I dieci mondi possibili - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:18

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I dieci mondi possibili

Il principio dei dieci mondi e del loro mutuo possesso, così com’è espresso nel Sutra del Loto, ci dà la certezza che qualsiasi sia lo stato vitale sperimentato, esso possiede potenzialmente un aspetto illuminato

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Secondo la teoria buddista, il nostro carattere, il nostro umore, la nostra tendenza vitale e in ultima sostanza la vita stessa, sia a livello personale che sociale, sono un’alternanza continua di dieci “mondi” o “condizioni vitali”: Inferno, Avidità, Animalità, Collera, Umanità, Estasi, Studio, Parziale Illuminazione, Bodhisattva e Buddità.
Quali sono le caratteristiche di questi mondi? Come funzionano nella nostra vita? A cosa serve concretamente conoscerli?
Secondo il Buddismo, le condizioni vitali di Inferno, Avidità, Animalità e Collera sono mondi bassi. Questa definizione non va presa in senso dispregiativo (per il Buddismo non esiste niente che sia in sé e per sé solo negativo o solo positivo) ma come incoraggiamento a elevare la propria condizione vitale, perché «la realtà che percepiamo, sia in termini spaziali che temporali, cambia radicalmente a seconda dello stato vitale in cui ci troviamo» (Saggezza, 3, 115).
Una persona afflitta da un dolore fisico che non le dà tregua, una persona così depressa che non ha energia vitale nemmeno per decidere di curarsi, una madre totalmente affranta dalla notizia della morte del figlio sono alcuni esempi dello stato vitale di Inferno. In giapponese Inferno si dice jigoku, dove i due caratteri che lo compongono indicano rispettivamente terra e prigione. È quando ci si sente incatenati al dolore, alla sofferenza, privi della forza per liberarsi e il mondo esterno è un ostacolo o una minaccia. E ogni azione si risolve in autodistruzione.
Chi vive nella condizione di non riuscire a dominare i desideri, ne è condizionato completamente. Quando si è tormentati da una fame che non trova mai soddisfazione, si vive nel mondo di Avidità. Non si sta parlando di una semplice “fame fisica” ma di un desiderio, qualsiasi desiderio che, portato al proprio eccesso, conduce a frustrazione in quanto non riesce mai ad appagarsi. In tal senso si potrebbe parlare di fame di amore, di denaro, di notorietà, di gloria, di potere…
Nichiren Daishonin scriveva che l’Animalità è uccidere o essere uccisi. Quando manca una base di giudizio per distinguere il bene dal male e una morale salda, si finisce per agire d’istinto, basandosi sull’istinto di sopravvivenza e sulla legge della giungla. Ciò capita nella vita dell’individuo, quando vive senza porre mente alle conseguenze delle proprie azioni e, lasciandosi trascinare dall’istinto del momento, finisce per distruggere le basi della propria vita. Come i pesci dello stagno che, osserva Nichiren Daishonin in Lettera da Sado (SND, 4, 74) pur nascondendosi, abboccano all’esca, o come gli uccelli che, pur rifugiandosi sulle cime degli alberi, abbagliati dall’esca cadono in trappola. Oggi si parla spesso di sviluppo sostenibile, di riuscire a bilanciare bisogni e interessi umani e necessità ambientali, esigenze delle società economicamente avanzate e di quelle in via di sviluppo. In un certo senso, la società moderna nel suo complesso vive la contraddizione del mondo di Animalità e la nostra sopravvivenza come razza e come ecosistema è legata al suo superamento.
Sempre in Lettera da Sado il Daishonin cita un demone chiamato ashura. La sua caratteristica è farsi grosso di fronte ai deboli, e rimpicciolirsi di fronte ai forti. Nascondere le proprie debolezze per farsi credere ciò che non è. Oppure, ostentare benevolenza e buon cuore e altre virtù, solo per mascherare i propri fini di controllo e dominio sugli altri. Questa condizione vitale si chiama Collera. «La collera fondamentalmente è arroganza […] essenzialmente consiste nell’illusoria convinzione di essere migliori degli altri» (Saggezza, 3, 131).
Questi primi quattro mondi, in cui o manca la forza vitale per reagire o è concentrata sull’autoconservazione sia in modo incoerente e casuale (Avidità e Animalità), sia con consapevolezza ma a danno degli altri (Collera), vengono definiti dal Buddismo i tre o i quattro cattivi sentieri.
Il mondo di Tranquillità o Uma-nità è «il primo passo verso la padronanza di sé che si ottiene pienamente nei mondi di Bodhisattva e Buddità» (Saggezza, 3, 142). In sanscrito essere umano si dice manusya, che significa “essere pensante”. Quindi ciò distingue il mondo di Umanità dai mondi bassi è l’autoriflessione, la capacità di comprendere la legge di causa ed effetto che governa il divenire delle cose. Da ciò discende la capacità di distingure il bene dal male, che manca nei mondi bassi. Ma non si è umani solo perché si è nati da un uomo e da una donna. È un po’ come la differenza fra l’aver ricevuto una grande eredità e usarla bene, oppure sperperarla o non utilizzarla. Ciò che rende l’uomo “umano” è l’educazione al bene, al profondo rispetto di sé e dell’altro da sé. È la lotta continua per trasformare le proprie tendenze negative e sviluppare quelle positive.
L’Estasi è la condizione vitale caratterizzata da un senso di gioiosa realizzazione e di appagamento. Realizzare un miglioramento professionale, guarire da una malattia, vincere un premio a un concorso letterario per il quale si è tanto sudato, unirsi alla persona amata, sono esempi di questo mondo.
Il pericolo è l’attaccamento che può nascere. La rosa in boccio si dischiude, è al suo massimo splendore e subito inizia a sfiorire e ad appassire. L’ala di una farfalla presa in mano si sfarina, e della bellezza dell’insetto non rimane niente. Con la stessa velocità l’Estasi svanisce, procurandoci dolore e sofferenza, tanto maggiore quanto più ci saremo attaccati alla condizione esterna che l’aveva suscitata.
E veniamo ai quattro nobili sentieri: il mondo di Studio, di Parziale Illuminazione di Bodhisattva e Buddità.
Nei sutra precedenti il Sutra del Loto, i due mondi di Studio e Parziale Illuminazione erano accomunati dal fatto che le persone in queste condizioni non potevano ottenere l’Illuminazione. Perché una persona che viva prevalentemente nel mondo di Studio corre il rischio di concentrarsi sull’apprendimento solo per se stesso – come facevano certi asceti che si ritiravano dal mondo, ritenuto impuro, per meditare e purificarsi – oppure può diventare arrogante e credere di aver compreso il Buddismo e/o la vita solo perché conosce tanti libri e quindi disprezza, magari senza rendersene conto, le altre persone, soprattutto se umili o prive di cultura.
Le persone nel mondo di Parziale Illuminazione vivono «un tipo di illuminazione che si verifica improvvisamente in un individuo che sia in rapporto con qualche fenomeno osservato o sperimentato» (D. Ikeda, La vita, mistero prezioso, Sonzogno 1996, pag. 132). Può essere l’intuizione di una grande legge fisica, la visione di un fiore che si schiude, come riuscire a fare la spesa spendendo qualche euro in meno, o un’idea nuova che consente di risparmiare tempo su un progetto di lavoro.
Ma anche una persona che viva nella condizione di Parziale Illuminazione non ha superato completamente il proprio ego.
La motivazione a migliorarsi, che distingue i due Veicoli dai sei mondi precedenti trova in ultima istanza un freno nel piccolo io individuale. Un altro rischio di queste condizioni vitali, di per sé nobili ed elevate, è di sentirsi appagati di sé, dimenticandosi del resto del mondo.
Nel mondo di Bodhisattva, invece, la caratteristica principale è aiutare e sostenere gli altri. Il Buddismo conosce numerosi tipi di Bodhisattva: da quelli che rappresentano caratteristiche di altruismo e solidarietà umana, come il bodhisattva Re della Medicina, il bodhisattva Suono Meraviglioso, il bodhisattva Percettore dei Suoni Universali, il bodhisattva Virtù Universale, ai fondamentali Bodhisattva della Terra, cioè la moltitudine di praticanti che dall’infinito passato ha promesso di sostenere e propagare la Legge mistica nell’epoca corrotta di mappo a cui appartiene il tempo in cui viviamo. Il mondo di Bodhisattva si manifesta ogni qualvolta il nostro cuore si preoccupa di una persona e preghiamo per lei, o anche quando facciamo un gesto gentile aiutando un’anziana signora ad attraversare la strada. Il mondo di Bodhisattva è, in una parola, la manifestazione concreta del mondo di Buddità.
La Buddità è una condizione vitale di piena realizzazione e armonia con tutto ciò che ci circonda, caratterizzata da una inesauribile saggezza, forza vitale e compassione per gli altri. Ma sono solo tentativi di descrivere verbalmente uno stato vitale che va ben oltre le parole e che si può solo sperimentare con la vita. Tant’è che anche il Sutra del Loto non si azzarda a definire la natura di Budda ma dice solo ciò che non è, descrivendola con ben trentaquattro negazioni. Ciò potrebbe farci pensare a una condizione sovrannaturale che, come nelle antiche scritture buddiste, richiedeva secoli e secoli di studio, ascetismo e preghiere per essere raggiunta.
Niente di tutto questo.
«Il Budda non è un individuo speciale che vive in un altro mondo, ma un essere umano che si sforza continuamente. Il Daishonin spiega che la persona comune è l’essere più nobile e degno di rispetto».

Il mutuo possesso dei dieci mondi
Quando preghiamo al Gohonzon, di solito teniamo le mani a palme unite, con le dita tese. Questo semplice gesto simboleggia il fatto che la Buddità è una sola cosa con gli altri nove mondi. Ogni mondo contiene contemporaneamente gli altri: soltanto che in ogni istante di vita è possibile esprimere solo un mondo. Gli altri rimangono latenti e pronti a manifestarsi nel momento in cui una causa esterna, e la determinazione individuale, li faranno sbocciare nella nostra vita di ogni giorno.
«Il Sutra del Loto espone il mutuo possesso dei dieci mondi principalmente per rivelare che il mondo di Umanità contiene i dieci mondi e in particolare quello di Buddità. E cioè per rivelare che le persone comuni possono manifestare la propria Buddità così come sono, senza dover rinascere in un’altra forma o in un’altra era» (Saggezza, 3, 183-184).
Il senso di queste parole è semplice: ciascuno ha la Buddità, ciascuno ha il potenziale per manifestarla, ciascuno merita perciò il massimo rispetto, qui e ora.
Questo messaggio di profonda eguaglianza è un aspetto rivoluzionario del Buddismo. Applicarlo ogni giorno, ogni istante, è la sfida che la pratica ci lancia ogni giorno. E lo ricordiamo a noi stessi anche quando ripetiamo la frase finale del sedicesimo capitolo del Sutra del Loto, nella cerimonia di Gongyo: «Questo è il mio pensiero costante: / come posso far sì che tutti gli esseri viventi / accedano alla via suprema / e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?» (SDL, 16, 305).
Come ogni altro aspetto del Buddismo, anche la comprensione dei dieci mondi è necessariamente qualcosa che può e deve partire dal proprio cuore, da una autoriforma.
Da un lato infatti la teoria dei dieci mondi ci dice che, oltre a viverli costantemente in modo mutevole, ciascuna persona è anche “immersa” in una corrente vitale più radicata, che il Buddismo definisce appunto tendenza vitale, indentificabile con il mondo o i mondi prevalenti nella propria vita. Questa condizione prevalente contribuisce a farci ricadere più spesso nelle solite situazioni, circostanze, errori.
Dall’altro ci dice che possiamo agire su quella tendenza ponendo nella nostra vita i semi di tendenze diverse. Possiamo riflettere cinque minuti invece di dare una risposta impulsiva. Possiamo informarci bene sulle condizioni di un nuovo lavoro anziché accettarlo o rifiutarlo sulla base dell’istinto. Possiamo parlare con una persona invece di tenerci dentro dubbi e rancori. Possiamo fare queste e tantissime altre cose.
Insomma cambiare si può, sempre e continuamente per quanto nera o senza speranza possa apparirci la situazione in cui siamo.
Il principio dei dieci mondi e del loro mutuo possesso, così com’è espresso nel Sutra del Loto, ci dà la certezza che qualsiasi sia lo stato vitale che proviamo, magari pieno di confusione, tristezza, orrore e disgusto, esso possiede potenzialmente un aspetto illuminato o in parole più semplici contiene un germe di felicità. E la pratica costante fatta di preghiera e di esperienze fa sì che questa consapevolezza sorga in maniera sempre più rapida e naturale nei momenti cruciali. Insomma si sviluppa un realistico ottimismo.
La soluzione di un problema dal punto di vista buddista, in realtà è già contentuta nel problema. Il punto cruciale è credere nel potere di trasformazione della vita che il Buddismo insegna. Quando ci crediamo e agiamo di conseguenza allora l’Inferno diventa felicità, l’Avidità diventa felicità e persino la Collera può diventarlo.
È questo che intendeva Nichiren Daishonin quando diceva che «avere fede è la base del Buddismo» (SND, 4, 204).

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