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Il male che oscura la voglia di vivere - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:12

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Il male che oscura la voglia di vivere

Depressione e tristezza decisamente non sono la stessa cosa. Per affrontare e curare la depressione è necessario conoscere le sue caratteristiche e sapere come e quanto la pratica buddista possa aiutare in questo cammino

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Depressione e tristezza decisamente non sono la stessa cosa. Per affrontare e curare la depressione è necessario conoscere le sue caratteristiche e sapere come e quanto la pratica buddista possa aiutare in questo cammino

– Come stai?
– Ah, sono terribilmente depressa!
Quante volte abbiamo sentito dire queste frasi, o le abbiamo pronunciate noi stessi? Eppure la depressione è una patologia vera e propria, uno stato che causa una disfunzione dell’organismo e provoca alterazioni delle funzioni psicologiche e somatiche, da non confondersi con il senso di abbattimento morale che ogni tanto sperimentiamo tutti, perché in quel momento siamo più stanchi e stressati.

Che cos’è uno stato depressivo – Lo stato depressivo è un’alterazione dell’umore che oscilla tra la tristezza e l’eccitazione euforica e che insorge quando si è privati di qualcosa ritenuto indispensabile alla propria esistenza. L’esperienza di perdita vissuta dal soggetto può essere causata dalla morte di una persona cara, dalla fine di una relazione, dal fallimento del raggiungimento di uno scopo.
Il dolore psicologico sarà tanto più profondo quanto più drammatica è la valutazione della realtà da parte del soggetto. La depressione si esprime in sentimenti di inadeguatezza (difficoltà a condurre la vita di tutti i giorni, profonda fatica a cominciare la giornata lavorativa), incapacità di provare piacere e interesse, sentimenti di inutilità e colpa, ansia che può trasformarsi in angoscia, isolamento sociale (si diradano sempre più i rapporti con gli altri, fino a non uscire più di casa e a vivere in solitudine). Si perde l’autostima, si manca di progettualità, può comparire l’insonnia, si inizia a trascurare il proprio abbigliamento e la cura della propria persona.

Come intervenire – Il primo passo di fronte a una persona depressa è costruire una “relazione fiduciosa”. È essenziale offrire un ascolto e una comprensione spontanei e naturali. Occorre sapere che il depresso è diventato “insensibile”, per cui è inutile tentare di distrarlo dai suoi problemi e non bisogna deriderlo per le sue apparenti difficoltà. Risultano altrettanto inutili i consigli di “prendersi un po’ di riposo” o di “farsi una bella vacanza”. La depressione è uno stato di malattia dove lo scetticismo, i dubbi, il pessimismo sono i sintomi della malattia stessa. Tentare di “scuotere” il depresso dal suo torpore è uno degli errori più gravi, poiché rafforza il suo sentimento di colpa e quindi la malattia stessa.
È importante coinvolgere il depresso in un legame “affettivo” nel quale si senta compreso e rassicurato. Solo così arriverà ad accettare di andare dal medico o dallo psicologo. Una rassicurazione esagerata, d’altro canto, gli farà credere che chi ha a che fare con lui condivide la sua valutazione di impotenza. È perciò indispensabile fargli sempre presente che il miglioramento è compito suo. Le linee di intervento, tuttavia, sono diverse a seconda che si tratti di una depressione lieve o grave.

I diversi tipi di depressione – Nella depressione lieve si riscontrano abbassamento dell’umore e un sentimento diffuso di pessimismo relativo alla propria progettualità, ma non così intenso da coinvolgere tutta la personalità. Questo tipo di depresso desidera liberarsi dal sentimento negativo e cerca di combatterlo, anche se con fatica; riesce inoltre a gestire la sua vita quotidiana, anche se in misura ridotta.
La depressione grave è invece una vera malattia mentale, nella quale la struttura della personalità del soggetto, già fragile, subisce un’ulteriore frantumazione a seguito di un avvenimento traumatico. Una persona in questo stato può trascurare di nutrirsi fino al punto di morire di fame o essere così inattiva da non riuscire a provvedere ai bisogni più elementari. La depressione grave è caratterizzata da disperazione, disturbi nei processi di pensiero (rallentamento, deliri, allucinazioni), radicale trasformazione del rapporto con la realtà, rallentamento motorio nella mimica e nella gestualità.
La depressione “bipolare” è caratterizzata dall’esaltazione. Il soggetto può apparire lieto, parla molto in fretta, aumenta la sua attività motoria e passa da un’occupazione a un’altra in modo frenetico. Questa euforia può facilmente mutarsi in ira e rabbia quando il soggetto si rende conto che l’ambiente non risponde al suo entusiasmo.
Il rischio più grosso nelle depressioni gravi è il suicidio. Prevenire questo gesto è difficile, ma il rischio aumenta non quando lo stato di malinconia è al suo culmine, bensì quando il peggio è passato. Questo perché quando il soggetto è molto depresso non è in grado di agire, è lento nei movimenti, non riesce a ragionare in modo coordinato e a portare a termine le sue intenzioni.

Gli adolescenti – L’adolescenza è la fase della crescita più complessa e in alcuni ragazzi possono comparire disturbi di vari livelli di gravità. A questa età i sentimenti di depressione sono abbastanza diffusi: più del 40% degli adolescenti prova sensazioni di malinconia, di vuoto, di pessimismo nei confronti del futuro. Negli adolescenti si riscontrano due tipi di depressione: il primo accompagnato da un senso di vuoto e precarietà e da perdita d’identità, accompagnate da ansia. Il secondo è più difficile da curare ed è causato da esperienze frustranti protrattesi nel tempo. I genitori dovrebbero fare particolarmente attenzione a questi sintomi: umore melanconico o forte irrequietezza; disturbi dell’alimentazione e del sonno; calo di rendimento scolastico; mancanza di interessi; un progressivo e costante isolamento dagli altri; l’interruzione della comunicazione con i genitori; comportamenti autodistruttivi. Nella depressione dell’adolescente è consigliabile un intervento psicologico che preveda non solo il rapporto terapeutico, ma anche un’alleanza di lavoro con i genitori.

Le cure – Il lavoro psicologico è utile per modificare la struttura di base della personalità e aiutare il depresso a migliorare i rapporti sociali, adattarsi al suo ambiente e aumentare l’autostima.
Per chi non è terapeuta, è un gravissimo errore consigliare il malato a interrompere le cure nel momento in cui questo si sente meglio, affidandosi esclusivamente al Daimoku: non bisogna mai sostituirsi al medico.

È giusto praticare quando si soffre di depressione? – In linea generale ai depressi lievi fa bene praticare il Buddismo, perché essi possono potenziare le risorse interiori e ricostruire la stima di sé. Accanto al lavoro psicologico nel quale il depresso deve rendersi conto che ha la capacità di aiutarsi, la pratica del Buddismo rappresenta un valido esercizio per riprendere il contatto con il proprio io e con la propria energia interiore. A questo scopo è di fondamentale importanza il supporto del gruppo: la presenza degli altri tranquillizza e rassicura il soggetto. In ogni caso, è bene seguire le esigenze del depresso, non forzarlo a praticare.
Una frase che si sente spesso dire da chi si trova in uno stato depressivo è: «Non riesco a mettermi davanti al Gohonzon perché provo ansia e angoscia». Questa frase esprime in pieno la difficoltà di porsi di fronte a se stessi. È necessario risvegliare uno stato vitale più profondo, aiutare il depresso ad avere una visione più positiva e fargli capire che la vita offre nuove possibilità di realizzazione.
È importante avere molta pazienza, la depressione è una malattia che annulla la volontà, quindi bisogna consigliare di riposarsi se si sente stanco o confuso, di rallentare o ricaricarsi con cose che gli piacciono o che lo distolgano dai pensieri ossessivi: non importa se salta la recitazione di Gongyo.
Il depresso ha spesso un vissuto di sconfitte, ed è a volte pieno di sensi di colpa, quindi è molto sensibile al giudizio degli altri. Bisogna tranquillizzarlo, essere una presenza accogliente; se lo portiamo a una riunione sarà con lo scopo di farlo uscire dal suo ripiegamento su se stesso e per fargli ridimensionare i suoi problemi grazie al contatto con altre persone. Una tendenza dei depressi è quella di chiedere molti consigli personali; in questo caso informiamoci se negli ultimi tempi ha già parlato con qualche responsabile e se sì, non diamogli altri consigli, altrimenti andrà in confusione. Quando è seguito da più persone, dovrebbero concordare insieme cosa fare, per evitare di dargli ognuno un’opinione diversa e creargli disagio.
Per i malati gravi il discorso cambia: sarebbe meglio aspettare a introdurli alla pratica buddista quando siamo sicuri delle loro condizioni e stringere prima un legame di amicizia, per renderci conto di chi abbiamo di fronte, o potremmo rischiare di produrre più danni che benefici. La pratica buddista nella fase iniziale delle depressioni gravi è improponibile. L’energia vitale che si genera durante la recitazione, non potendo essere gestita dal soggetto, produce ulteriori danni: può peggiorare il senso di distacco del soggetto dalla realtà e aumentare l’irrequietezza. La pratica può dunque essere proposta dopo un periodo di cura abbastanza lungo. In generale si è notato un effetto riequilibrante e calmante di Gongyo, mentre il Daimoku contribuisce a rendere più irrequieti questi soggetti. In ogni caso, sia Daimoku sia Gongyo vanno recitati molto lentamente.
È preferibile che le persone che presentano un’alternanza tra momenti di lucidità e deliri non vadano ai corsi o a grosse riunioni, e che non prendano il Gohonzon, perché c’è il rischio di un peggioramento. È già successo che persone ricoverate al pronto soccorso psichiatrico recitassero Daimoku delirando, senza un familiare o un amico che stesse loro vicino. È meglio evitare di far praticare il Buddismo a un malato di questo genere se non si ha la disponibilità di seguirlo da vicino. Se invece è un familiare a seguirlo nella pratica buddista, si può prendere la responsabilità di farlo recitare solo pochi minuti al giorno e farlo smettere quando insorge una crisi. Recitando Daimoku, infatti, si manifesta la tendenza fondamentale della vita e in una prima fase la persona che pratica in queste condizioni può anche peggiorare.

Il Buddismo e la depressione – La depressione è determinata da una causa karmica profonda. Per cambiarla ci vuole tempo. L’importante è non forzare mai le persone affette da depressione a recitare o a fare attività: si devono sentire libere di scegliere.
È importante distinguere tra depressione e tristezza: mentre la prima è una malattia vera e propria, la tristezza è uno stato d’animo che chiunque può provare, è una funzione della vita presente dentro di noi. La tristezza non è un karma, molti usano la parola karma per indicare qualsiasi tipo di sofferenza, ma in realtà la tristezza dipende dallo stato vitale e non dal karma, che è qualcosa di più profondo.
In sintesi, senza forzare i depressi a sforzi sovrumani di volontà, aiutiamoli a credere sempre di più che questa potenzialità è presente anche in loro, a rafforzare giorno dopo giorno la speranza: questa azione di fede ripetuta, consoliderà la tendenza verso uno stato vitale più alto e gioioso. In questo senso la parola chiave per la pratica di chi ha la tendenza alla depressione è: pazienza. Perché, come dice Nichiren, «l’inverno si trasforma sempre in primavera».

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