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Lo specchio della vita - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:18

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Lo specchio della vita

16. Il significato profondo del Gohonzon consiste nel percepire e comprendere la propria mente. E divenirne padroni

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16. Il significato profondo del Gohonzon consiste nel percepire e comprendere la propria mente. E divenirne padroni

IKEDA: Il termine honzon[ref]Honzon è il termine giapponese che denota l’oggetto di culto di qualsaisi religione. Gohonzon è il mandala iscritto da Nichiren Daishonin, in cui go è un prefisso onorifico.[/ref], o oggetto di culto, indica il nostro principale oggetto di rispetto o di venerazione. Nel Gohonzon il Daishonin manifestò l’aspetto più nobile e fondamentale della vita, propria e di ogni altra persona, e ne fece l’oggetto di massima venerazione. Quando si prega il Gohonzon, la cosa essenziale è essere consapevoli che si tratta di un’espressione grafica di Nam-myoho-renge-kyo, la vita stessa di Nichiren Daishonin. Come egli afferma: «Io, Nichiren ho iscritto la mia vita […] l’anima di Nichiren non è altro che Nam-myoho-renge-kyo» (WND, 412 – SND, 4, 150).

MORINAKA: Si tratta dell’oggetto di culto che esiste nella vita, di cui lei parlava nella scorsa puntata.

IKEDA: Esaminiamo quest’idea di oggetto di culto intrinseco nella vita in termini moderni. Nam-myoho-renge-kyo, oltre a essere la Legge fondamentale dell’universo, è anche la suprema essenza della vita che chiamiamo mondo di Buddità. È il fondamento della suprema condizione vitale raggiunta dal Budda. È questo che intende il Daishonin quando afferma di “aver iscritto la sua vita”.
La Legge fondamentale dell’universo e la vita del Tathagata, che è una sola cosa con questa Legge, sono alla base del modo di pensare, sentire e agire del Budda, della sua profonda percezione della vita, della sua empatia con ogni essere vivente e della compassione che ne deriva, della volontà di condividere le sofferenze degli esseri umani e delle azioni colme di saggezza ispirate dal desiderio di salvare chi soffre.
Il Daishonin comprese che questa Legge suprema è Nam-myoho-renge-kyo, che egli afferma essere la sua “vita”. E rivelò che Nam-myoho-renge-kyo è l’oggetto di culto fondamentale per le persone dell’Ultimo giorno della Legge. Questo modo di intendere l’oggetto di culto fa del Buddismo del Daishonin una religione totalmente umanistica.
Molte religioni della nostra epoca hanno, consciamente o inconsciamente, una visione esterna dell’oggetto di culto che colloca l’entità suprema o la realtà fondamentale al di fuori dell’essere umano. Ma nel ventunesimo secolo è necessario un profondo umanesimo che insegni che la vita di tutte le persone possiede in egual misura un aspetto assolutamente nobile e prezioso. Perciò il fatto che nel Buddismo di Nichiren l’oggetto di culto sia interno alla vita è di estrema importanza.

SAITO: Il culto dello stato, che è alla base del nazionalismo, è un esempio di devozione a un oggetto di culto esterno, che ha sicuramente contribuito al susseguirsi delle guerre e dei massacri perpetrati nella nostra epoca in nome dell’ideologia nazionalista.

MORINAKA: Carl Jung affermò: «Lo Stato prende il posto di Dio»[ref]The Collected Works of C.G. Jung, trad. a c. di R.F.C. Hull, Rockville, MD, Princeton University Press, vol. 10, pag. 259.[/ref]. Jung sosteneva che l’unico potere in grado di resistere alla natura demoniaca del nazionalismo è la consapevolezza individuale della dignità della vita umana, del fatto che «l’uomo è un microcosmo, un riflesso in miniatura del macrocosmo»[ref]Ibidem, pag. 278.[/ref].

IKEDA: È un osservazione molto importante che concorda con l’insegnamento del Daishonin per il quale l’oggetto di culto esiste dentro la vita.

SAITO: Vorrei citare per intero il famoso brano in cui il Daishonin afferma che la sua vita è l’oggetto di culto: «Io, Nichiren ho scritto la mia vita in inchiostro di sumi, così credi nel Gohonzon con tutto il tuo cuore. Il volere del Budda è il Sutra del Loto ma l’anima di Nichiren non è altro che Nam-myoho-renge-kyo. Miao-lo nel suo commentario afferma che il cuore di questo sutra è la rivelazione dell’Illuminazione originale del Budda e dell’incommensurabile durata della sua vita[ref]Dall’Hokke mongu ki di Miao-lo. Questo brano rivela la lunga durata della vita di Shakyamuni e la sua vera identità di Budda che ottenne l’Illuminazione nel remoto passato. Equivale ai principi di “abbandonare il transitorio e rivelare il vero” e “aprire il vicino e rivelare il lontano”. L’Illuminazione originale di Shakyamuni viene descritta nel capitolo sedicesimo del Sutra del Loto, Durata della vita del Tathagata: «Sono trascorsi innumerevoli, infinite centinaia di migliaia di miriadi di milioni di nayuta di kalpa da quando ho realmente conseguito la Buddità» (SDL, 16, 296).[/ref]» (WND, 412 – SND, 4, 150).

IKEDA: Nam-myoho-renge-kyo è l’essenza del Gohonzon come si comprende anche dal fatto che il Daishonin ha scritto questi caratteri in grande al centro del Gohonzon.
Il Daishonin sconfisse le funzioni demoniache che lo attaccavano sotto forma dei tre potenti nemici e, all’epoca della persecuzione di Tatsunokuchi, ottenne una condizione vitale di completa unità con la Legge mistica eterna. Era la condizione vitale del Budda di gioia illimitata, illuminato sin dal tempo senza inizio, il Budda di kuon ganjo. Realizzando concretamente il principio di “abbandonare il transitorio e rivelare il vero” pur rimanendo una persona comune, il Daishonin manifestò la sua vera identità di Budda di kuon ganjo.

SAITO: Vera identità significa condizione vitale originaria, cioè la condizione di unicità di persona e Legge.

MORINAKA: Possiamo considerare l’unicità di persona e Legge come il vero stato di Buddità raggiunto da un essere umano che vive nel mondo reale. In questa condizione di vita il potere infinito della Legge mistica, che è sempre esistito dal tempo senza inizio, si manifesta completamente senza alcun impedimento.

IKEDA: È il puro sbocciare della Legge mistica nell’essere umano, è Myoho-renge-kyo e la “vita” di Nichiren.

MORINAKA: Per sottolineare che il Gohonzon è la manifestazione della vita del Budda di kuon ganjo, che è una sola cosa con la Legge mistica eterna, il Daishonin cita le parole del Gran Maestro cinese Miao-lo: «Miao-lo nel suo commentario afferma che il cuore di questo sutra è la rivelazione dell’Illuminazione originale del Budda e dell’incommensurabile durata della sua vita».

IKEDA: E il Daishonin chiama questa vita Nam-myoho-renge-kyo.

SAITO: Poiché ogni essere vivente è originariamente un’entità della Legge mistica, la sorgente fondamentale dell’universo stesso, potremmo dire che la vita del Budda che è una sola cosa con la Legge mistica è la vera identità di tutti gli esseri viventi.

IKEDA: Esatto. E per rendere consapevoli di questa verità le persone dell’Ultimo giorno della Legge, il Daishonin espresse il supremo stato vitale al quale si era risvegliato sotto forma di Gohonzon. Egli iscrisse la sua vita in forma grafica per aiutare le persone a rivelare il Gohonzon che anch’esse posseggono intrinsecamente. Lo lasciò come uno specchio limpido da usare per raggiungere la Buddità.

MORINAKA: In precedenza lei aveva spiegato che la “vita” o “anima” di Nichiren corrisponde al “cuore del re leone” cioè alla speranza innata che permette di non essere mai sconfitti, al potere di vivere sempre con risolutezza, al coraggio di lottare contro le forze negative che causano la disperazione e aprire la strada della felicità a tutte le persone.

SAITO: Come discepoli anche noi possediamo il “cuore del re leone” che il maestro desiderava ardentemente rivelarci, mettendo totalmente in gioco la sua stessa vita, perché riteneva che questa fosse la chiave per farci scoprire lo stesso coraggio in noi stessi.

IKEDA: Sì, dedicarsi senza esitazioni alla via dell’unicità di maestro e discepolo è la chiave per la nostra felicità e per quella di tutti. Il Sutra del Loto esprime questa verità nel voto «…di rendere tutte le persone uguali a me, senza alcuna distinzione tra noi» (SDL, 2, 45). È l’inno di un campione di umanità che afferma: «Io sono un essere umano e anche voi lo siete. Come sono grandi gli esseri umani!» Questo è il cuore del Sutra del Loto.
Ne Il vero oggetto di culto il Daishonin spiega sistematicamente come tutte le persone possono rivelare l’oggetto di culto che esiste nella loro vita e già il titolo, che letteralmente significa “l’oggetto di culto per osservare la mente”, indica in maniera concisa che si tratta di un oggetto interno. Nella prima metà del trattato, il Daishonin analizza il significato di “osservare la mente” (kanjin in giapponese), rivelando che “abbracciare il Gohonzon equivale a osservare la propria mente”.

SAITO: Nella seconda metà il Daishonin spiega come ha stabilito l’oggetto di culto basandosi sulla propria osservazione della mente.

IKEDA: Concentriamoci anzitutto sul principio che “abbracciare il Gohonzon equivale a osservare la propria mente”.

MORINAKA: Dapprima il Daishonin afferma: «Kanjin [L’osservazione della mente] significa osservare la propria mente e vedervi i dieci mondi. Questo è kanjin» (SND, 1, 217).

IKEDA: In altri termini “osservare la mente” significa percepire che le nostre vite posseggono originariamente tutti i dieci mondi, dall’Inferno alla Buddità. Questa è la pratica di kanjin.

MORINAKA: Osservare la mente significa pratica buddista e azione concreta. Tuttavia mi chiedo cosa significhi concretamente vedere che la propria vita è dotata di tutti i dieci mondi.

IKEDA: Come spiega Il vero oggetto di culto, il vero significato di percepire i dieci mondi dentro la propria mente consiste nel manifestare il mondo di Buddità che esiste nella propria vita. Pur essendo dotati di tutti i dieci mondi, in realtà in ogni momento particolare siamo in grado di osservare solo quello che si manifesta in quell’istante. Il punto è come manifestare le condizioni vitali più alte, cioè i mondi nobili di Studio, Realizzazione, Bodhisattva e Buddità, che non sono immediatamente accessibili. E il mondo di Buddità è il più difficile da manifestare.

SAITO: Ne Il vero oggetto di culto il Daishonin analizza i sei mondi inferiori che si manifestano nella vita di una persona comune, poi i due mondi di Studio e Realizzazione e infine il mondo di Bodhisattva, per concludere che «solo il mondo di Budda è difficile da dimostrare» (SND, 1, 221).

IKEDA: Si parla di osservare i dieci mondi nella propria vita di persona comune ma in realtà la questione fondamentale è come riuscire a manifestare il mondo di Buddità. Il Daishonin parla di “percepire i dieci mondi” e non di “percepire il mondo di Buddità” perché anche quando quest’ultimo è manifesto, gli altri nove non scompaiono. Perciò “osservare la mente” significa sempre osservare il mutuo possesso dei dieci mondi.
Per esempio, supponiamo di trovarci in una condizione senza speranza, in cui soffriamo nel mondo d’Inferno. Se percepiamo la realtà del mutuo possesso dei dieci mondi e siamo convinti che nella nostra vita esiste senza alcun dubbio la grande forza vitale della Buddità riusciremo a superare qualsiasi cosa e infine a vincere.

SAITO: Non è difficile cogliere intellettualmente il principio dei tremila regni in un singolo istante di vita e del mutuo possesso dei dieci mondi. Ma è estremamente arduo capire, percepire e credere dal profondo del cuore che questi principi sono veri.
Ne Il vero oggetto di culto il Daishonin afferma ripetutamente che il fatto che noi esseri viventi della malvagia epoca dell’Ultimo giorno della Legge abbiamo il mondo di Buddità è la cosa più «difficile da credere e da capire» (SND, 1, 216).

MORINAKA: Secondo il Daishonin l’esistenza del mondo di Buddità nella vita delle persone comuni va al di là della nostra immaginazione. Dopo tutto si tratta della stessa condizione vitale del Budda Shakyamuni che ha svolto una vasta gamma di pratiche in molte esistenze passate e ne ha derivato grandi benefici che vengono esposti negli insegnamenti precedenti al Sutra del Loto e negli insegnamenti teorico ed essenziale del sutra stesso. Dopo aver sollevato questo difficile quesito, il Daishonin risponde spiegando il principio per cui «abbracciare il Gohonzon equivale a osservare la propria mente».

IKEDA: Che ognuno possegga il mondo di Buddità è una verità della vita, una verità difficile da comprendere e da credere. Anche se al momento ci crediamo è facile dubitarne quando accade qualcosa di imprevisto. E questo perché dentro di noi esiste anche l’illusione o ignoranza fondamentale.
Per questo il Daishonin afferma che occorre un “limpido specchio” per portare avanti la pratica di “osservare la mente”. Nelle epoche precedenti, questo specchio era rappresentato dal Sutra del Loto di Shakyamuni e in seguito dal Maka shikan[ref]Maka Shikan: raccolta delle lezioni tenute da T’ien-t’ai presso il tempio Yü-ch’üan di Ching-chou, in Cina, a opera del suo discepolo Chang-an. È una delle tre opere principali di T’ien-t’ai insieme all’Hokke gengi e all’Hokke mongu. In essa viene esposto il principio dei tremila regni in un singolo istante di vita, basato sul Sutra del Loto, e il metodo per osservare la propria mente e comprendere il funzionamento di tale principio dentro di sè.[/ref] di T’ien-t’ai. Nell’Ultimo giorno della Legge è il Gohonzon di Nichiren Daishonin.

MORINAKA: Nel Vero oggetto di culto il Daishonin afferma: «Solo guardando nel limpido specchio del Sutra del Loto e nel Maka Shikan di T’ien-t’ai, possiamo vedere i nostri dieci mondi, i cento mondi e mille fattori, le tremila condizioni» (SND, 1, 217).

IKEDA: Il Sutra del Loto e il Maka Shikan sono specchi per percepire e manifestare i dieci mondi e in particolare il mondo di Buddità, che esistono nella vita.
Sono “limpidi specchi” creati per le condizioni in cui veniva diffuso il Buddismo, per la cultura, la tradizione e il carattere del popolo indiano e cinese. Avevano lo scopo di permettere a queste persone di percepire l’oggetto di culto nella propria vita. Nichiren Daishonin iscrisse l’essenza di questi insegnamenti sotto forma di mandala che lasciò come “limpido specchio” per le persone dell’Ultimo giorno.
Josei Toda, secondo presidente della Soka Gakkai, spiegava che il Gohonzon viene descritto nel brano del capitolo Espedienti, in cui sono elencati i dieci fattori della vita. E che la pratica meditativa per comprendere i tremila regni in un singolo istante di vita[ref]Il metodo esposto da T’ien-t’ai nel Maka Shikan consisteva nel percepire il mutuo possesso dei dieci mondi, i dieci fattori della vita e i tre regni dell’esistenza in ogni momento della propria vita e nell’acquisire la consapevolezza dell’esistenza della Buddità dentro di sé, ottenendo così l’Illuminazione.[/ref], elaborata da T’ien-t’ai sulla base dei dieci fattori, era un metodo per manifestare concretamente l’oggetto di culto nella propria vita.
Nell’Ultimo giorno della Legge il Daishonin manifestò direttamente sotto forma di Gohonzon la Legge mistica alla quale si era illuminato, perciò Toda spiegava che «recitare Nam-myoho-renge-kyo al Gohonzon fa sì che l’oggetto di culto permei completamente il nostro essere»[ref]Toda Josei Zenshu, Seikyo Shimbunsha, 1985, vol. 5, pag. 320.[/ref].
Abbracciare il Gohonzon e far sì che, grazie a una forte fede, il mondo di Buddità permei la nostra vita è la pratica per conseguire l’Illuminazione nell’Ultimo giorno. Quando nutriamo lo stesso desiderio del Budda per la felicità di tutte le persone e agiamo come suoi inviati, il mondo di Buddità permea sempre di più la nostra esistenza.
Se svolgiamo l’opera del Tathagata come suoi inviati, dentro di noi pulsa il ritmo della sua vita. Perciò dobbiamo agire con vigore per kosen-rufu e rispettare al massimo coloro che diffondono il Buddismo, riverendoli come faremmo con un Budda.

SAITO: Il mondo di Buddità che brillava nella vita del Daishonin esiste anche nella nostra vita. Affinché le persone potessero crederlo egli iscrisse la sua stessa vita, la vita di una persona comune in cui il mondo di Buddità era manifesto, in forma di Gohonzon.

IKEDA: Ne Il vero aspetto del Gohonzon il Daishonin afferma: «Non cercare mai questo Gohonzon al di fuori di te. Il Gohonzon esiste solo nella carne mortale di noi persone comuni che abbracciamo il Sutra del Loto e recitiamo Nam-myoho-renge-kyo» (SND, 4, 203-204).
Ci spiega che non dobbiamo mai cercare il Gohonzon da qualche altra parte. Il Daishonin realizzò la vita del Budda di kuon ganjo e il suo insegnamento sarebbe privo di significato se anche noi non potessimo comprendere che la Legge mistica esiste nella nostra vita e conseguire la sua stessa nobile condizione.

MORINAKA: Per spiegare in termini semplici come funziona il limpido specchio del Gohonzon immaginiamo una donna che si sta truccando davanti a uno specchio. Guardando l’immagine riflessa, essa si applica sul viso la cipria o il rossetto cercando di mettere in risalto la propria bellezza. Ma, se cercasse di stendere la cipria o il rossetto sull’immagine riflessa allo specchio, anche insistendo ripetutamente non riuscirebbe mai a migliorare il proprio aspetto.

IKEDA: Così, se quando ci troviamo di fronte al Gohonzon ci limitiamo a sentirne la grandezza e ne imploriamo i favori, o dipendiamo da esso considerandolo un oggetto esterno, possiamo recitare quanto vogliamo ma non c’illumineremo mai. E sarà lo stesso se, quando accade qualcosa di negativo, ci lamentiamo come se fosse colpa del Gohonzon.
Invece, cercando incessantemente di lucidare la nostra vita mentre svolgiamo le varie attività quotidiane, fiduciosi di possedere interiormente lo stesso meraviglioso stato vitale incarnato nel Gohonzon, cominceremo a risplendere di fortuna e di benefici.

MORINAKA: Il presidente Toda spiegava così il brano del Daishonin appena citato: «Anche se pensate di pregare il Dai-Gohonzon fuori di voi, quando recitate Nam-myoho-renge-kyo con fede nel Gohonzon delle tre grandi Leggi segrete, in realtà il Dai-Gohonzon dimora nella vostra vita. Questo è l’insegnamento più meraviglioso. In qualcuno che non pratica questa fede, la natura di Budda, pur dando qualche vago segnale della sua presenza, non funziona minimamente. Quella persona è allo stadio di “essere un Budda in teoria” Ma poiché abbracciamo il Gohonzon noi siamo allo stadio di “udire il nome e le parole della verità”. A questo livello il Gohonzon brilla già dentro di noi. È solo il grado di luminosità che dipende dalla forza della nostra fede. È come nel caso di una lampadina. Una lampadina molto potente risplende intensamente mentre una con poca potenza illumina debolmente. Per proseguire questa analogia, qualcuno che non pratica questa religione è come una lampadina che non è stata collegata all’impianto elettrico. Poiché noi pratichiamo, la lampadina, cioè il Dai-Gohonzon è accesa. Perciò le nostre vite risplendono luminose»[ref]Toda Josei Zenshu, Seikyo Shimbunsha, 1986, vol. 6, pag. 608.[/ref].

IKEDA: Nel Buddismo del Daishonin “osservare la mente” è un altro nome per fede. L’oggetto di culto per osservare la mente è l’oggetto di culto della fede. Con una forte fede, la nostra vita si collega al Gohonzon e quando il Gohonzon dentro di noi viene attivato, istantaneamente siamo pervasi da una luce di speranza e sentiamo che scaturisce forza.

SAITO: Dunque in definitiva l’oggetto di culto per osservare la mente del Daishonin è l’oggetto di culto per manifestare il mondo di Buddità nella nostra vita.

IKEDA: È l’oggetto di culto che permette a tutti di manifestare il mondo di Buddità e di percepire i dieci mondi nella propria vita. Il Daishonin rivelò il Gohonzon affinché tutte le persone potessero conseguire “l’osservazione della mente”. Il Gohonzon manifesta nella sua totalità il grande stato vitale del Budda, il nostro maestro eterno. Quando veneriamo il Gohonzon che incarna la vita di una persona reale, Nichiren Daishonin, nutrendo la forte convinzione che esso esiste anche dentro di noi, siamo in grado di dissolvere l’ignoranza fondamentale e manifestare il mondo di Buddità nella nostra vita.

MORINAKA: Il fatto che “osservare la mente” significhi fede concorda con il principio che “abbracciare il Gohonzon equivale a osservare la propria mente”. Ne Il vero oggetto di culto il Daishonin spiega così questo principio: «Le pratiche di Shakyamuni e le virtù che ne derivarono sono tutte contenute nei cinque caratteri di Myoho-renge-kyo. Se noi crediamo in questi caratteri, ci saranno concessi naturalmente gli stessi benefici delle sue pratiche» (SND, 1, 232).

IKEDA: Nel Sutra del Loto Shakyamuni espose vari profondi principi come “la sostituzione dei tre veicoli con l’unico veicolo”[ref]“Sostituzione dei tre veicoli con l’unico veicolo”: spiega che le pratiche esposte negli insegnamenti precedenti al Sutra del Loto, che erano diretti agli ascoltatori della voce, ai pratyekabuddha e ai bodhisattva, erano espedienti e che la vera intenzione del Budda era quella di esporre il Sutra del Loto dell’unico veicolo del Budda che conduce tutte le persone alla Buddità.[/ref] e “l’apertura del vicino e la rivelazione del lontano”[ref]“Aprire il vicino e rivelare il lontano”. Una rivelazione che compare nell’insegnamento essenziale del Sutra del Loto con la quale si refuta l’assunzione che Shakyamuni avesse ottenuto l’Illuminazione per la prima volta in India e se ne rivela l’Illuminazione originaria in un passato immensamente lontano.[/ref] affinchè servissero da limpido specchio per l’osservazione della mente. Così facendo esortava le persone a sviluppare la fede. E, con lo stesso intento, il Gran Maestro T’ien-t’ai espose la dottrina dei “tremila regni in un singolo istante di vita”. Per Nichiren Daishonin invece lo specchio limpido con cui osservare la mente, come spiega nel brano citato, è il Gohonzon.

SAITO: Nel brano, il termine “pratiche” si riferisce alle azioni che per Shakyamuni costituirono la causa del raggiungimento della Buddità e “virtù” è il frutto della Buddità, la fortuna e i benefici che ricevette come effetto di queste pratiche.
Gli insegnamenti precedenti al Sutra del Loto spiegano che Shakyamuni svolse queste pratiche per un periodo di tempo estremamente lungo in innumerevoli esistenze passate, i cosiddetti “innumerevoli kalpa di pratica”[ref]“Innumerevoli kalpa di pratica”: pratiche per ottenere l’Illuminazione che gli ascoltatori della voce, i pratyekabuddha e i bodhisattva svolgevano per un periodo di tempo estremamente lungo.[/ref]. Per esempio, offrì la vita durante la sua incarnazione come re Shibi, dandosi in pasto a un falco affamato per salvare una colomba, e come principe Sattva, sacrificandosi per salvare una tigre che stava morendo di fame. In questi insegnamenti si afferma che le virtù conseguenti erano gli attributi dello Shakyamuni che ottenne per la prima volta l’Illuminazione in India sotto l’albero di Bodhi. Le pratiche e le virtù descritte nell’insegnamento teorico o prima metà del Sutra del Loto sono essenzialmente le stesse che vengono descritte negli insegnamenti precedenti.

IKEDA: L’insegnamento essenziale, o seconda metà del Sutra del Loto, invece spiega che Shakyamuni svolse una serie di pratiche e ne ottenne le virtù in un tempo estremamente remoto, in un passato così lontano chiamato gohyaku-jintengo[ref]Gohyaku jintengo: periodo di tempo estremamente lungo descritto nel capitolo Durata della vita del Tathagata.[/ref]. Descrive Shakyamuni come un Budda dalla lunga vita che durante il periodo di tempo incalcolabilmente lungo intercorso dal suo raggiungimento della Buddità aveva agito incessantemente per condurre le persone all’Illuminazione, apparendo in varie forme.
Sia negli insegnamenti precedenti al Sutra del Loto e nell’insegnamento teorico, che nell’insegnamento essenziale, le pratiche e le virtù ottenute dal Budda sono descritte come immense. E il Daishonin afferma che sono tutte contenute nei «cinque caratteri di Myoho-renge-kyo».

MORINAKA: Come prova documentaria egli cita il brano del Sutra Muryogi in cui si afferma che una persona godrà dei benefici di tutte le sei paramita senza averle dovute praticare. E cita anche il brano del Sutra del Loto che spiega il principio dell’“insegnamento perfetto”[ref]«Tutti […] desiderano udire l’insegnamento della perfetta via» (SDL, 2, 35).[/ref] e vari brani in cui si spiega che il carattere “myo” (mistico) comprende tutto[ref]Scrive il Daishonin: «Il Sutra del Nirvana afferma: “Sad denota perfezione”. Il Daijo shiron gengi ki (Annotazioni sulle quattro tesi mahayana) afferma: “Sad si traduce sei. In India sei è il numero che indica la perfezione”. Chia-hsiang nelle annotazioni al Sutra del Loto scrive: “Sad significa perfetto”. Il Gran Maestro T’ien-t’ai spiega: “Sad è una parola sanscrita che si traduce con myo [meraviglioso]”» (SND, 1, 232).[/ref].

IKEDA: Anche se il Daishonin cita questi brani a titolo di prova documentaria è chiaro che l’intuizione che tutte queste immense pratiche e virtù sono contenute nei soli cinque caratteri di Myoho-renge-kyo deriva dalla sua profonda Illuminazione.
In Lettera a Gijo-bo, scritta un mese dopo la stesura del Vero Oggetto di culto, il Daishonin descrive il principio di “abbracciare il Gohonzon equivale a osservare la propria mente” nei termini della propria pratica. È un brano ulteriormente illuminante in cui egli afferma di essersi risvegliato al proprio mondo di Buddità grazie alla frase della parte in versi del capitolo Durata della vita: «Desiderano con tutto il cuore vedere il Budda anche a costo della vita» (letteralmente: «Con unica mente desiderano vedere il Budda e non risparmiano la propria vita», n.d.t.) (SDL, 16, 302).

MORINAKA: Il brano di Lettera a Gijo-bo afferma: «La sezione in versi del capitolo [Durata] afferma: “…Con unica mente desiderano vedere il Budda e non esitano nemmeno a costo della propria vita”. Come effetto di questo brano, io, Nichiren, ho rivelato la Buddità nella mia vita. La ragione è che questo brano mi ha permesso di incarnare le tre grandi Leggi segrete, o la realtà dei tremila regni in un singolo istante di vita, che si trova nel capitolo Durata della vita del Tathagata. Ma questo teniamolo segreto, teniamolo segreto… […] Io, Nichiren sostengo che , “unica” sta per myo, o mistico, “mente” sta per ho, o legge, “desiderare” sta per ren, o loto, “vedere” sta per ge, o fiore, e “Budda” per kyo, o sutra. Nella propagazione di questi cinque caratteri [di Myoho-renge-kyo] i praticanti dovrebbero “non esitare nemmeno a costo della propria vita”.
“Con un’unica mente desiderano vedere il Budda” si può interpretare così: osservare il Budda con unica mente, concentrare la propria mente sul vedere il Budda e quando si guarda la propria mente, percepire che è il Budda. Avendo ottenuto il frutto della Buddità, cioè i tre corpi originali, posso superare persino T’ien-t’ai e Dengyo, ed essere superiore anche a Nagarjuna e Mahakashyapa. Il Budda scrisse che dobbiamo diventare padroni della nostra mente e non lasciare che la mente sia la nostra padrona[ref]Questa frase compare sia nel Sutra del Nirvana che nel Sutra delle Sei paramita.[/ref]. Per questo ti ho sempre esortato a essere disposto a dare persino il tuo corpo e a non risparmiare la vita per il Sutra del Loto. Nam-myoho-renge-kyo, Nam-myoho-renge-kyo» (WND, 365 – SND, 5, 3-4).

IKEDA: In sintesi «desiderare con un’unica mente di vedere il Budda senza esitare anche a costo della propria vita» significa che una fede praticata senza egoismo, nella quale si è anche disposti a offrire la propria vita se occorre, equivale all’osservazione della mente del Daishonin.
Inoltre afferma che «“unica” è myo, o mistico, “mente” è ho, o legge, “desiderare” è ren, o loto, “vedere” è ge, o fiore e “il Budda” è kyo, o sutra», vale a dire che ciò che egli ricercava con un’unica mente era Myoho-renge-kyo. Inoltre dichiara di non aver ricercato questi cinque caratteri soltanto per sé ma di averli propagati senza risparmiare la propria vita. Questa è la pratica per sé e per gli altri.
Il Daishonin chiama “il frutto della Buddità” da lui ottenuto i “tre corpi originali”. Ciò significa che, da persona comune, egli si era risvegliato alla propria identità di incarnazione della Legge mistica (corpo del Dharma o della Legge), aveva percepito questa Legge e sperimentato la gioia illimitata che ne deriva e ottenuto il “corpo di saggezza” (corpo di retribuzione) per aver esposto e propagato questa Legge agli altri. Inoltre egli provava compassione per gli esseri viventi in quanto possedevano lo stesso corpo del Dharma e il potenziale per rivegliarsi alla stessa saggezza e ne aveva pietà, sia perché soffrivano sia che perché ignoravano questa realtà; così, per averne condiviso la sofferenza, egli ottenne “il corpo d’immensa compassione” (corpo di manifestazione).
Il Daishonin afferma anche che, grazie all’ottenimento del “frutto della Buddità”, fu in grado, superando immense difficoltà, di completare la sua opera e stabilire le tre grandi Leggi segrete per l’Illuminazione di tutte le persone dell’Ultimo giorno della Legge.
In verità fu proprio per aver abbracciato Myoho-renge-kyo con un’unica mente, senza risparmiare la propria vita, che il Daishonin poté ottenere il supremo “frutto della Buddità” e i “tre corpi originali” diventando così il signore degli insegnamenti, o vero maestro dell’Ultimo giorno della Legge. In altre parole egli raggiunse l’osservazione della mente.
Egli descrive questo processo di osservare la mente attraverso l’abbracciare Myoho-renge-kyo con un’unica mente come: «osservare il Budda con unica mente, concentrare la propria mente sul vedere il Budda e quando si guarda la propria mente, percepire che è il Budda». In questo brano egli intepreta la frase «Con un’unica mente desiderano vedere il Budda» in tre modi: i primi due, «osservare il Budda con unica mente» e «concentrare la propria mente sul vedere il Budda» corrispondono alla pratica. Il terzo significato «percepire che la propria mente è il Budda» corrisponde alle virtù che ne conseguono cioè all’effetto di questa pratica.
Queste interpretazioni si equivalgono in quanto si riferiscono tutte alla “propria mente”. In altre parole il Daishonin mise in pratica costantemente l’intenzione di non risparmiare la sua vita. E così, pur rimanendo una persona comune, il suo desiderio di ricercare il Budda con una unica mente ebbe come effetto una grande trasformazione spirituale, cioè l’ottenimento della mente del Budda.
Nel citare il brano «Dobbiamo diventare padroni della nostra mente e non lasciare che la mente sia la nostra padrona» il Daishonin sottolinea l’importanza della mente. Cioè, quando manteniamo una fede generosa e risoluta le nostre vite si accordano con la Legge mistica e il “frutto della Buddità”, cioè i tre corpi originali, emerge naturalmente dentro di noi.

(continua)

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