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La sfida di costruire la pace - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:24

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    La sfida di costruire la pace

    The Japan Times è un quotidiano in lingua inglese stampato in Giappone. L’articolo che riportiamo e’ stato pubblicato l’11 settembre 2003

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    The Japan Times è un quotidiano in lingua inglese stampato in Giappone. L’articolo che riportiamo e’ stato pubblicato l’11 settembre 2003

    «Al vertice della piramide che chiamiamo civiltà c’è ancora l’atroce fatto della guerra. Non possiamo definirci persone veramente civili sino a che tale possibilità continuerà a esistere e in realtà a essere data per scontata». Sono le accorate parole di J. K. Galbraith, un uomo che è stato testimone diretto delle guerre e delle violenze del ventesimo secolo.
    Il professore Galbraith e io stiamo conducendo un dialogo che comprende un onesto scambio di opinioni a proposito dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. Direttamente o indirettamente tutti siamo stati toccati da quell’orrendo crimine e dalle sue conseguenze. Una delle vittime era una persona di talento, laureata alla Soka University, che conoscevo personalmente.
    Per quanto profondo sia il nostro sdegno non dobbiamo permettere che le fiamme dell’odio e della rabbia spingano il mondo verso ulteriori divisioni e distruzioni. È fondamentale mantenere lo sguardo rivolto in avanti e lavorare per costruire un futuro di pace e di armoniosa coesistenza. Concretamente penso che ci siano due strade per rispondere positivamente alle sfide della nuova era.
    La prima consiste nel rafforzare l’efficacia della legislazione internazionale, imperniata sui processi multilaterali delle Nazioni Unite. A lunga scadenza una maggiore fede nella giustizia e nell’efficacia del sistema giudiziario internazionale contribuirà a contenere e disinnescare i conflitti che alimentano il terrorismo. Il secondo elemento è lo sforzo di trasformare la consapevolezza della gente, di contribuire a forgiare legami cuore a cuore che trascendano i confini nazionali, etnici e le differenze culturali. Ciò significa condurre massicci interventi a livello di base per favorire il dialogo e promuovere l’educazione alla pace.
    Riguardo al primo approccio dobbiamo anzitutto prendere atto del fatto che la cosiddetta risposta “dura” ai conflitti, cioè l’uso della forza militare, produce soluzioni che, nel migliore dei casi, sono soltanto temporanee. E poiché tale risposta implica sofferenza e spargimenti di sangue – compreso quello di tanti civili innocenti – immancabilmente getta i semi di altra futura violenza. Per contro un sistema legislativo internazionale ampiamente considerato giusto e imparziale sarebbe in grado di risolvere i conflitti in modo da spezzare il ciclo dell’odio e della rappresaglia che imprigiona le persone.
    Uno dei passi in questa direzione è l’istituzione, che caldeggio da diverso tempo, del Tribunale penale internazionale per giudicare gli autori di gravi crimini nei confronti dell’umanità.
    Sebbene quest’anno il Tribunale penale internazionale abbia iniziato la propria attività, rimane tuttora indebolito dallo scarso numero di paesi che lo hanno ratificato, in particolare fra le grandi potenze. Il Giappone ha giocato un ruolo attivo nella redazione di questo trattato e dovrebbe firmarlo e ratificarlo quanto prima. Ritengo che il Giappone dovrebbe adoperarsi a creare consenso internazionale affinchè l’unico modo accettabile di risolvere i conflitti sia in base alla legge.
    Il rafforzamento delle strutture per la pace deve essere sostenuto da altrettanti sforzi per una trasformazione del modo di pensare delle persone. Il dialogo e l’educazione alla pace possono contribuire a liberare i cuori dall’intolleranza e dal rifiuto degli altri. Le persone devono prendere coscienza di una semplice realtà: non abbiamo altra scelta che coabitare su questo pianeta – questa piccola sfera blu che galleggia nell’immensità dello spazio – insieme a tutti gli altri “passeggeri”.
    La chiave per creare la pace è in mano alle generazioni più giovani. Nessuno è nato per odiare gli altri. Pregiudizi e atteggiamenti discriminatori si radicano durante il processo di crescita per diventare adulti, via via che ai giovani viene inculcata la paura e l’odio dell’“altro”. Lo so per esperienza avendo trascorso la giovinezza in mezzo alle oscure e violente pressioni di una società dominata dal militarismo.
    Ognuno può impegnarsi nell’educazione alla pace. Anche semplicemente trovando il tempo di parlare della dignità della vita e dell’eguaglianza di tutte le persone con i bambini e i giovani che incontriamo nella nostra vita, nelle nostre famiglie e comunità. Non dobbiamo mai sottovalutare l’effetto di questi sforzi apparentemente piccoli.
    Con questo spirito i giovani membri della SGI-USA hanno intrapreso il programma VOV (Vittoria sulla violenza), una serie di incontri e gruppi di discussione per comunicare ai propri coetanei il messaggio che esistono soluzioni nonviolente agli inevitabili conflitti della vita. E il successo della loro iniziativa è incoraggiante.
    Dall’11 settembre molto è stato detto a proposito del ruolo svolto dalle convinzioni religiose nel fenomeno del terrorismo. Ma la questione riguarda in realtà l’integralismo e le azioni fanatiche che si camuffano dietro al linguaggio e ai simboli della religione. Se non si capisce questo e si comincia a guardare con diffidenza i seguaci di una particolare religione non faremo che creare ancor più sfiducia e aggravare le tensioni. È inutile dire che qualsiasi religione che giustifica il terrorismo o la guerra ha minato le fondamenta spirituali stesse della propria esistenza.
    Credo fermamente che la missione della religione nel ventunesimo secolo debba essere quella di contribuire concretamente alla coesistenza pacifica dell’umanità. La religione può farlo alimentando la crescita di una coscienza veramente globale e ristabilendo i legami fra i cuori degli uomini. Ma è solo attraverso il dialogo che questo potenziale può essere realizzato. In uno scambio di opinioni con lo studioso di pace di origine iraniana Majid Tehranian egli mi ha detto senza mezzi termini: «Senza dialogo saremo costretti a camminare nell’oscurità di chi ritiene di essere sempre nel giusto».
    È giunto il momento di andare oltre all’idea che esistano “amici o nemici” e imparare a parlare in base al terreno comune della nostra comune umanità. In questa prospettiva i membri della SGI in tutto il mondo hanno contribuito a redigere e promuovere la Carta della Terra, un documento che cerca di generare una «visione comune dei valori di base che forniscono il fondamento morale per la creazione di una comunità mondiale». Il linguaggio della Carta attinge alla saggezza e alle virtù, come il profondo rispetto per la vita, che traggono alimento dalle varie tradizioni culturali e religiose del mondo.
    Il Buddismo sottolinea che poiché la guerra e la violenza sono in ultima analisi generati dal cuore umano, questo è anche in grado di creare pace e solidarietà. Sono passati due anni dall’11 settembre 2001 e quell’immane tragedia ha scatenato forze che continuano a proiettare un’ombra sulla nostra vita. Ma è mia convizione incrollabile che la saggezza per trasformare questa tragedia e creare un futuro nuovo e migliore per l’umanità si possa trovare nello spirito umano. Questa fiducia continuerà ad essere alla base del mio impegno per la pace.

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