Il cuore del Sutra del Loto in sette ideogrammi
Settecentocinquanta anni fa, Nichiren dichiarava che Nam-myoho-renge-kyo è la Legge mistica, invitando i credenti del suo tempo a scartare gli altri insegnamenti, definiti provvisori. La sua dichiarazione fu un evento di portata storica, una rivoluzione nell’ambito delle correnti buddiste dell’epoca. I cui effetti però non erano destinati a essere limitati all’ambito giapponese. Tanto è vero che oggi in moltissimi paesi del mondo si pratica il Buddismo di Nichiren. Ma qual era il contenuto rivoluzionario dell’affermazione di Nichiren? Proviamo a cercarlo nelle lettere con cui incoraggiava i credenti dell’epoca:
«Ora, l’intero corpo di Abu-tsu Shonin è composto dai cinque elementi universali di terra, acqua, fuoco, vento e ku. Questi cinque elementi sono anche i cinque caratteri del Daimoku. Perciò Abutsu-bo è la Torre Preziosa e la Torre Preziosa è Abutsu-bo stesso. Non è necessaria nessuna altra conoscenza. È la Torre Preziosa adornata dai sette tipi di gioielli: ascoltare il vero insegnamento, credere in esso, osservare i precetti, ottenere la pace della mente, praticare assiduamente, dedicarsi senza egoismo e cercare sempre il miglioramento personale» (SND, 4, 212).
Ci si accosta alla Torre Preziosa, Nam-myoho-renge-kyo con la consapevolezza che ciascuno di noi è la Legge mistica e la Legge mistica è ciascuno di noi, così come il nostro ambiente siamo noi e noi siamo il nostro ambiente.
Cercare di comprendere Nam-myoho-renge-kyo su qualsiasi altra base porterebbe a conclusioni erronee, e quindi, a non percorrere “la diretta via verso l’Illuminazione” (vedi SND, 4, 4).
Di cosa è “fatta” la Legge mistica? Nell’uso corrente, diciamo spesso “recitare Daimoku”: ma Daimoku significa titolo, e la stessa frase Myoho-renge-kyo (titolo del Sutra del Loto in giapponese) è la traslitterazione in giapponese di Miao-fa-lien-hau-chin (titolo del Sutra del Loto in cinese antico), che a sua volta è la traduzione di Saddharma-pundarika-sutra (titolo del sutra in sanscrito).
Quindi nella pratica di ogni giorno recitiamo il titolo di un sutra preceduto da Nam, per cui si dice Nam-myoho-renge-kyo. La frase intera risulta quindi essere l’unione di un termine originariamente sanscrito, namas, pronunciato namu o più spesso nam, e di una frase in giapponese. Un insegnamento multiculturale già nella sua più intima radice. Nam sanscrito si dice kimyo in giapponese, e il significato dei due termini corrisponde a “sincera dedizione”. Su questo punto negli Insegnamenti orali Nichiren spiega che questa dedizione è devozione sia del corpo che della mente, cioè dell’aspetto fisico e spirituale della vita. In soldoni, praticare il Buddismo ventiquattro ore al giorno, e non soltanto davanti al Gohonzon o durante una riunione.
Myoho ha molteplici significati, indicando l’alternanza di vita e morte (myo come morte, ho come vita); l’unione di maestro e discepolo (non a caso Toda scelse come pseudonimo per la Rivoluzione umana Myo-goku e Ikeda ha scelto Ho-goku); un altro aspetto di myo contiene i significati di aprire (la propria vita all’Illuminazione), essere perfettamente dotati (la coerenza dall’inizio alla fine) e rinascere (mettere in grado l’individuo di raggiungere la Buddità). In sintesi, creare valore dalle circostanze attuali.
Renge è il fiore di loto. Il significato del fiore del loto potrebbe essere rivisitato da un punto di vista storico-culturale, ad esempio questo fiore era considerato simbolo di fertilità, di rinascita, di purezza presso diverse popolazioni del bacino del Mar Mediterraneo. Il punto essenziale lo possiamo trovare però in un Gosho che afferma: «Il fiore mahamandara nel cielo e il fiore di ciliegio nel mondo umano sono entrambi fiori ammirati da tutti, ma il Budda non li scelse come simbolo del Sutra del Loto. Esiste una gran varietà di piante: alcune prima fioriscono e poi producono i frutti; altre prima producono i frutti e dopo i fiori; alcune portano un solo fiore e molti frutti, altre molti fiori e un solo frutto, altre ancora producono frutti senza fiorire, ma il loto è l’unico fiore in cui il fiore e il frutto compaiono simultaneamente. Questa è la ragione per cui fra tutti i fiori egli scelse il loto come simbolo del Sutra del Loto» (SND, 6, 245).
Il loto ben si adatta a rappresentare il principio di simultaneità di causa ed effetto espresso nel Sutra del Loto. Inoltre è un fiore che pur nascendo nella melma di uno stagno rimane bianco e incontaminato, anzi, proprio perché le sue radici affondano nella melma di uno stagno, è in grado di generare un fiore splendido che si eleva sopra di esso. Un po’ come ogni comune essere umano.
Anche kyo è un termine dalle molte sfumature: traduce in giapponese il sanscrito sutra; contiene il significato di suono – richiamando la vibrazione della Legge mistica; in cinese aveva il significato di ordito del tessuto, evocando un’immagine di continuità, quindi elemento che dà coesione al tutto.
I cinque o sette caratteri di Myoho-renge-kyo spesso vengono correlati alle parti del corpo: myo è la testa, ho è il collo, ren è il busto, ge è l’addome, kyo è le gambe; questa “spiegazione”, lungi dal voler proporre facili parallelismi fra il mantra e il proprio corpo, rimanda profondamente al senso della citazione iniziale, cioè alla profonda unità (sempre da ricercare) fra sé, da un lato, e il mondo/cosmo dall’altro. Che in fin dei conti, è anche il senso dalla ricerca di Nichiren, cioè il superamento del dualismo me/altro-da-me, per “rimettersi a ritmo” con l’universo e gioire di ogni evento della vita, anziché soffrirne o esserne schiacciati.
Ciò è possibile poiché Myoho-renge-kyo nel Buddismo di Nichiren corrisponde alla coscienza amala, pura, non intaccata dal karma. La nona coscienza (che peraltro nel Buddismo come concetto non compare immediatamente, ma soltanto a partire dal IV-V secolo d.C., cfr. DuemilaUno n. 48), è appunto quel livello intoccato dalla somma di azioni positive e negative che ciascuno di noi compie ogni giorno; proprio per questo rimane “pulita”. Grazie alla nona coscienza siamo in grado, da un lato, di trasformare l’impossibile in possibile, dall‘altro siamo profondamente uniti a tutti gli altri esseri senzienti (e non).
Il trucco per trasformare e superare il dualismo, sta nell’attivare la nona coscienza, la Buddità. Come? Chiamandola, come si chiamerebbe una persona perché si volti verso di noi e ci ascolti, col suo nome: Nam-myoho-renge-kyo.
Le sette buddiste nel Giappone del 1200
Il Buddismo fu introdotto in Giappone verso la metà del VI secolo d.C. Nei due secoli successivi l’insegnamento buddista si diversificò, dando origine a diverse scuole religiose, le cosiddette “sei scuole di Nara” (Kusha, Jojitsu, Sanron, Ritsu, Hosso, e Kegon).
Il Sutra del Loto, che in Giappone aveva conosciuto un periodo di grande considerazione grazie alla predicazione del monaco Dengyo (767-822) fondatore della scuola Tendai (omologa giapponese della setta cinese T’ien-t’ai, dal nome del fondatore, che ha come tempio principale l’Enryaku-ji sul Monte Hiei), dopo qualche tempo fu relegato a una posizione di scarso rilievo nel panorama buddista.
Nel XIII secolo, alla fine di un periodo di confusione dottrinale durato ben cinque secoli, un certo numero di scuole buddiste erano riuscite a radicarsi saldamente nella società giapponese. Tra di esse le più diffuse erano: la scuola Jodo (Pura Terra) o Nembutsu, la quale insegnava che venerando il Budda Amida, le persone sarebbero potute rinascere nel mondo dorato della Pura Terra; la scuola Zen che, invece, spiegava ai suoi seguaci che per ottenere l’Illuminazione era sufficiente la meditazione, senza avere né Budda, né sutra particolari di riferimento e che era divenuta molto popolare fra la classe dei samurai; la scuola Shingon che era caratterizzata dagli insegnamenti esoterici, tipici di alcune correnti del Buddismo indiano come la ripetizione di parole segrete come mezzo per raggiungere l’Illuminazione e, infine, la scuola Ritsu (una delle sei scuole di Nara), che poneva l’accento su una stretta osservanza delle regole monastiche o precetti.
L’insegnamento per l’Ultimo giorno della Legge
Il Primo (shoho), il Medio (zoho) e l’Ultimo (mappo) giorno della Legge sono, secondo vari sutra, le tre fasi attraversate dall’insegnamento buddista dopo la morte di Shakyamuni.
Nel primo periodo il legame diretto col Budda era sufficiente a risvegliare l’Illuminazione dei monaci.
Nel cosiddetto Medio giorno della Legge il Buddismo iniziò a diffondersi ampiamente fra i laici. Questo periodo nel quale la pratica buddista diventò osservanza formale di regole e precetti, costruzione di templi e stupa, arricchimento esteriore e corruzione del clero, si concluse verso la metà dell’XI secolo.
L’Ultimo giorno della Legge, quando l’insegnamento di Shakyamuni non era più in grado di salvare le persone, secondo i sutra sarebbe stato caratterizzato dalla successione di calamità e disastri.
Nel passaggio fra zoho e mappo in Giappone sorsero nuove correnti religiose di ispirazione buddista, ciascuna delle quali pretendeva di rivelare l’insegnamento definitivo adatto all’Ultimo giorno della Legge. La maggioranza delle persone aveva una visione pessimista dell’Ultimo giorno, non aveva più fiducia nel Buddismo ed era angosciata dalla prospettiva del futuro.
Come frutto della sua ricerca, Nichiren Daishonin, concluse che occorreva ritornare allo spirito originale del Buddismo, lo spirito dell’uguaglianza umana e del rifiuto dell’autoritarismo religioso, per dare una risposta al brano del Sutra del Loto nel quale si afferma: «Dopo la mia estinzione, nell’ultimo periodo di cinquecento anni, dovrai diffonderlo in tutto Jambudvipa e non permettere mai che [la sua diffusione] sia interrotta» (SDL, 23, 386).
L’arte di vivere esistenze lunghe e realizzate
Kosen-rufu viene spesso identificato con la “pace mondiale” in quanto è una maniera sintetica di descrivere gli effetti sulla società di una generale comprensione e adozione dei principi buddisti. Il rifiuto della guerra e della violenza è un ingrediente vitale di kosen-rufu che tuttavia implica molto di più.
Proviamo a immaginare un mondo in cui alla base di ogni attività politica o economica vi sia il riconoscimento del supremo valore della vita, al posto per esempio, della ricerca del potere o del profitto. Un mondo in cui alla base di ogni rapporto sociale, dalle relazioni familiari a quelle internazionali, ci sia la chiara consapevolezza della legge di causa ed effetto; nel quale i conflitti e i disaccordi vengano gestiti con un dialogo franco e senza pregiudizi che miri alla creazione del massimo bene di tutte le parti coinvolte senza ricorsi a minacce infantili o esplosioni di collera. Immaginiamo un mondo in cui l’inseparabilità di tutte le forme di vita non sia mera teoria ma un fatto concreto, compreso e condiviso da tutti. Queste sono soltanto alcune delle implicazioni di kosen-rufu per l’umanità.
«Verrà il tempo – scrive il Daishonin ne La pratica dell’insegnamento del Budda – in cui tutte le persone, comprese quelle di Studio, Illuminazione parziale e Bodhisattva, si incammineranno sul sentiero della Buddità e solo la Legge mistica fiorirà in tutto il paese. In quell’epoca, poiché tutte le persone reciteranno Nam-myoho-renge-kyo, il vento non spezzerà i rami o le fronde, né la pioggia cadrà così forte da rompere una zolla. […] I disastri si allontaneranno dal Paese e la gente sarà libera dalla sfortuna. Le persone impareranno anche l’arte di vivere esistenze lunghe e realizzate» (SND, 4, 12).
Kosen-rufu non è l’utopia di un mondo perfetto. L’aspetto negativo e distruttivo della vita, che si manifesta con i tre veleni di avidità, collera e ignoranza, continuerà sempre a essere presente. Insegna però, e l’esperienza di ogni praticante lo dimostra, che i tre veleni così evidenti nel mondo possono essere affrontati, controllati e trasformati. Lo scopo di kosen-rufu è l’accettazione generale di principi buddisti (come il rispetto per la dignità della vita o il riconoscimento dell’interconnessione di ogni sua manifestazione). La creazione graduale di piccole ”sacche” di kosen-rufu attorno a ogni individuo alla fine si espanderà fino ad abbracciare porzioni sempre maggiori della società e del pianeta.
Kosen-rufu – che si può paragonare al raggiungimento della Buddità a livello collettivo – non va considerato un obiettivo da raggiungere in un lontano futuro bensì un continuo processo di trasformazione. Procede dalla trasformazione del proprio mondo interiore, della propria esistenza, al proprio nucleo di relazioni più strette, familiari, di amicizia, di lavoro e questa ricerca individuale e collettiva dell’armonia, del rispetto umano e della creazione di valore e gioia di vivere nella mutevolezza della realtà è un processo eterno.
Un processo che inizia con la rivoluzione umana di ciascuno di noi e che non avrà mai fine.
Chi conosceva Nam-myoho-renge-kyo prima di Nichiren?
Numerosi documenti riportano la frase Nam-myoho-renge-kyo in epoche precedenti alla vita di Nichiren Daishonin. Per esempio, nell’881 lo studioso giapponese Sugarawa no Michizane scrisse in una petizione «Nam-myoho-renge-kyo».
Anche Nichiren Daishonin, riferendosi alla conoscenza di Nam-myoho-renge-kyo da parte di T’ien-t’ai, Miao-lo e Dengyo scrisse nella Vera entità della vita: «Lo conoscevano nel loro cuore, ma non lo espressero a parole e lo custodirono dentro di sé. C’erano dei motivi per questo: perché essi non erano stati designati (a propagarlo), perché il tempo non era ancora giunto e perché essi non erano i discepoli del Budda del remoto passato. Nessuno tranne Jogyo, Muhengyo e le altre guide dei Bodhisattva emersi dalla terra, può apparire nei primi cinquecento anni dell’Ultimo giorno per propagare i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo, e non può nemmeno rappresentare concretamente la cerimonia dei due Budda seduti nella Torre Preziosa. Il motivo di ciò è che questa è la dottrina della “realtà di ichinen sanzen” contenuta nel profondo del capitolo Juryo» (SND, 4, 230).
Resoconti storici lasciano intendere che anche prima dell’epoca del Daishonin, si recitasse Nam-myoho-renge-kyo insieme alla ripetizione rituale del nome del Budda Amida e del Bodhisattva Percettore dei Suoni del Mondo. La recitazione di Nam-myoho-renge-kyo molto probabilmente era anche considerata la pratica abbreviata al posto della recitazione dell’intero Sutra del Loto.
Ma Nichiren Daishonin fu il primo ad affermare che la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo era la pratica fondamentale del Buddismo e a diffonderla ampiamente.
Per questo motivo, scrisse: «In Giappone non esisteva neanche una persona che recitasse Nam-myoho-renge-kyo. Nichiren è stato la prima e l’unica persona [che lo sta facendo] da circa venti anni dall’inizio dell’estate del quinto anno di Kencho (1253)» (GZ, 1379).
Nichiren Daishonin è stato il primo a identificare Nam-myoho-renge-kyo come la verità fondamentale del Buddismo o “la grande pura Legge” e a diffonderla come mezzo affinché gli uomini e le donne potessero manifestare la loro innata natura di Buddità.
Le deviazioni dei cinque preti anziani
Poco prima di morire, Nichiren Daishonin scelse sei suoi discepoli – Nissho, Nichiro, Nitcho, Nichiji, Niko e Nikko – che avevano sostenuto nella fede i credenti durante l’esilio a Sado, e dette loro il nome di “preti anziani”. Quando il Daishonin si trasferì a Minobu, estesero le attività di propagazione anche a regioni più distanti accrescendo così la loro autorità e influenza.
Dopo il funerale di Nichiren Daishonin, Nikko Shonin portò le sue ceneri a Minobu. Qualche mese più tardi, in occasione di una cerimonia funebre commemorativa del maestro, Nikko suddivise il compito di prendersi cura della tomba del maestro tra lui e gli altri cinque “preti anziani”: ognuno, assistito da due dei propri discepoli, avrebbe vegliato per un mese il sepolcro del maestro. Questo impegno fu messo per iscritto e controfirmato da tutti.
I cinque preti anziani partirono, ciascuno verso la propria regione di attività ma soltanto Nikko Shonin e dieci dei discepoli presenti durante la cerimonia mantennero l’impegno preso.
Infatti quando Nikko Shonin, in qualità di legittimo successore del Daishonin, assunse la carica di patriarca del tempio Minobu-san Kuon-ji, gli altri cinque smisero di visitare Minobu, mancando così di onorare la promessa fatta; essi si limitarono ad allargare le rispettive sfere di influenza. Questo portò alla nascita delle molte scuole Nichiren, alcune delle quali esistono ancora oggi. Inoltre i cinque preti anziani distrussero un buon numero di lettere scritte da Nichiren Daishonin in ideogrammi fonetici – la scrittura corrente in uso tra i non istruiti – conservando solo gli scritti redatti in ideogrammi cinesi (la lingua degli eruditi) considerandole del tutto arbitrariamente come una macchia sulla reputazione del loro defunto maestro.
I cinque preti anziani ripresero, anche durante le loro attività di propagazione, a dichiararsi seguaci della setta Tendai. Da ciò si può dedurre che essi, non solo avevano conservato un approccio superficiale all’insegnamento del maestro, ma non riconoscevano l’identità di Nichiren Daishonin come Budda originale dell’Ultimo giorno della Legge; lo consideravano solo come un successore del maestro T’ien-t’ai.
Le scuole Nichiren dopo la morte del Daishonin
Non appena Nikko Shonin ebbe lasciato il tempio di Minobu, Niko prese possesso del tempio e iniziò ad esporre una propria visione del Buddismo, dando origine a una nuova scuola Nichiren: la cosiddetta scuola Minobu.
Testimone delle deviazioni dei cinque preti anziani, Nikko Shonin cercò sempre di ricordare loro lo spirito corretto. Denunciò pubblicamente i loro errori, soprattutto nello scritto Regole della scuola Fuji e confutazione dei cinque preti anziani.
Benché i cinque preti anziani fossero stati tra i discepoli più vicini al maestro, nessuno di loro aveva fatto proprio il suo profondo desiderio e la sua missione di salvare gli esseri umani. Inoltre, erano gelosi di Nikko Shonin che era stato designato dal loro maestro come il suo unico erede spirituale. Ciascuno di loro si riconosceva come discepolo di Nichiren Daishonin, ma considerava il proprio maestro soltanto come il successore di T’ien-t’ai, e non come il vero riformatore del Buddismo nell’Ultimo giorno della Legge.
Quasi tutti fondarono un proprio tempio, da dove ciascuno diffuse la propria particolare visione del Buddismo. Nikko Shonin spiegò così il loro atteggiamento: «Cinque monaci dei sei principali discepoli di Nichiren Daishonin cambiarono il nome del loro maestro e si definirono discepoli di T’ien-t’ai. Per timore che i loro templi fossero distrutti, inviarono una lettera al governatore sulla pratica e la preghiera corretta in linea con l’insegnamento della scuola Tendai. E così, facilmente, poterono salvare i loro templi…» (Nikko Shonin, Regole della scuola Fuji e confutazione dei cinque preti anziani).
Nikko si rese conto di essere responsabile dello sviluppo o del declino dell’insegnamento mahayana definitivo. Per questo mise in guardia contro le deviazioni dalla dottrina originale di Nichiren Daishonin, non soltanto i suoi discepoli di allora, ma anche tutte le generazioni dei discepoli futuri.
I primi 700 anni: la Nichiren Shoshu
Nel 1991 la Nichiren Shoshu decide di scomunicare dodici milioni di fedeli laici, membri della SGI. Un fulmine a ciel sereno. Inizialmente è stato difficile accettare e capire che, dietro a una scelta in apparenza improvvisa e incredibile, ci fosse una storia fatta di questioni poco edificanti come la difesa a ogni costo dei privilegi dei vertici del clero, il disinteresse per la trasmissione corretta dell’insegnamento del fondatore (l’unico vero scopo agli occhi dei laici dell’esistenza del clero) e intrighi degni di un best-seller.
Ecco perché, ancora una volta, per capire si è rivelato fondamentale lo studio e la conoscenza dei fatti. DuemilaUno ha dedicato due ampi approfondimenti alla storia della Nichiren Shoshu nelle riviste n. 68 e n. 76.
La “Scuola corretta di Nichiren”, questa la traduzione di Nichiren Shoshu, considera Nichiren il Budda dell’Ultimo giorno della Legge. Quando Nikko che ricevette il Dai-Gohonzon, iscritto il 12 ottobre 1279, si rese conto dell’impossibilità di preservare intatto l’insegnamento del maestro a Minobu, fondò un centro per gli insegnamenti di Nichiren ai piedi del monte Fuji che prese il nome di scuola Fuji.
Nel 1333 Nichimoku, il successore di Nikko, morì mentre si recava a Kyoto per recapitare una lettera di rimostranze all’imperatore. Nichigo, che lo aveva accompagnato, reclamò una parte della terra del Taiseki-ji dando luogo a una disputa che durerà settanta anni e che portò al declino del Taiseki-ji. Nichiu (1402-1482), il nono patriarca, si impegnò nella formazione dei preti e nel restauro degli edifici. Nichikan (1665-1726), il ventiseiesimo patriarca, segnò il ritorno a un’osservanza rigorosa degli insegnamenti di Nichiren; i suoi commentari sono particolarmente conosciuti.
Nel 1876 gli otto templi più importanti di questa scuola si riunirono in un unico gruppo e nel 1899 divennero la Scuola dell’insegnamento essenziale (Hommon). L’anno successivo il Taiseki-ji si staccò e divenne indipendente, prendendo il nome di Ramo Fuji della Nichiren Shoshu.
Nel 1930 nacque la Soka Kyoiku Gakkai (Società per la creazione di valore) da Tsunesaburo Makiguchi e Josei Toda, convertiti alla Nichiren Shoshu. Ma quando il Giappone imperiale emise un decreto che imponeva l’adesione di tutti allo Shintoismo, il clero aderì acriticamente al volere governativo mentre Makiguchi e Toda finivano per questo in prigione.
Alla fine degli anni Ottanta esplode in tutta la sua forza la questione fra Nichiren Shoshu, gruppo chiuso su se stesso e interessato solo alla difesa dei propri interessi e Soka Gakkai, organizzazione dinamica e attiva per la promozione della filosofia di Nichiren nella società. Il sessantaseiesimo patriarca Nikken dopo essersi reso conto di non riuscire a esercitare il suo potere sui membri della Soka Gakkai fa un ultimo gesto disperato, scomunicando gli aderenti alla Soka Gakkai di tutto il mondo. Il clero della Nichiren Shoshu odierna ha conferito a Nikken poteri unici e speciali e lo considera l’unico equivalente vivente di Nichiren Daishonin. La Soka Gakkai si è staccata completamente da questa interpretazione fuorviante degli insegnamenti del Daishonin.
L’insegnamento del Daishonin nel mondo
L’Occidente scopre il Buddismo nell’Ottocento e lo fa sia attraverso gli studiosi di sanscrito e di cultura indiana che delle numerose scuole giapponesi. Ma nessuno dei rappresentanti di queste scuole che gettano un ponte con la cultura occidentale appartiene alla scuola Nichiren, rimasta chiusa nei propri confini delle isole giapponesi.
L’organizzazione laica Soka Gakkai, nata nel 1930 dagli ideali di Tsunesaburo Makiguchi e Josei Toda, ha aperto la strada all’incontro del Buddismo di Nichiren Daishonin col mondo. La Soka Gakkai sottolinea la forza educativa e riformatrice della pratica buddista e per questo se ne fa ambasciatrice fra la gente, con una forza completamente nuova rispetto all’atteggiamento avuto dal clero della Nichiren Shoshu nei secoli.
Secondo il proprio statuto, la Soka Gakkai, diventata Internazionale nel 1975, si impegna a «contribuire alla crescita e alla prosperità della società, rispettando al tempo stesso la cultura, i costumi e le leggi di ogni singolo paese». Dal 1981 la SGI è organizzazione non governativa (ONG) presso il competente organismo dell’ONU. Oggi sono presenti membri della SGI in 186 paesi.