La guerra distrugge negli uomini la loro umanità. Forte di questa convinzione, Joseph Rotblat, instancabile, da quasi cinquant’anni lotta per un mondo senza armi
Joseph Rotblat aveva novantun anni quando ci incontrammo per la seconda volta, nel febbraio del 2000. Anche a quell’età continuava a correre per il mondo con immutato vigore, la schiena diritta e il passo veloce, perfino più di un uomo nel fiore degli anni. Perché era così attivo? «Ho uno scopo di primaria importanza – mi disse – e sono sempre più che mai determinato a perseguirlo. È in questo modo che, credo, ho mantenuto il mio vigore». Lo scopo a cui si riferiva Rotblat era la sua determinazione a liberare il mondo dalle armi nucleari e dalla guerra.
Quando l’Istituto Toda di studi politici per la pace tenne nel 1997, in Gran Bretagna, una conferenza internazionale dal titolo Prerequisiti non nucleari per un disarmo nucleare, Rotblat arrivò alla sala conferenze con due ore e mezza d’anticipo per controllare tutta l’attrezzatura, i proiettori e i microfoni, e per esser certo che tutto fosse disposto alla perfezione. Avendo conseguito un premio Nobel e avendo anche una certa età, ci si sarebbe aspettati che arrivasse all’ora prevista, si avviasse senza fretta verso la sala conferenze, aspettandosi di trovare tutto pronto per lui. Invece Rotblat prova sempre tutto con le sue mani, i suoi occhi e le sue orecchie e lo fa con gioia, cortesia, e attenzione. Nel pensare a lui mi viene in mente il Manifesto Russell-Einstein, pubblicato nel 1955, il punto di partenza per le Conferenze Pugwash: «Ci rivolgiamo agli esseri umani da esseri umani. Ricordate la vostra umanità e scordate il resto». Le Conferenze Pugwash sono discussioni sui temi del disarmo e della pace, e la loro importanza venne riconosciuta nel 1995 quando le Conferenze e Joseph Rotblat ricevettero il premio Nobel per la Pace. A volte Rotblat viene soprannominato “Mr. Pugwash”, non solo per il suo costante impegno nelle Conferenze, ma anche perché indubbiamente la sua personalità cristallizza il loro spirito.
Quando ci incontrammo per la prima volta a Osaka nel 1989, Rotblat commentò: «La guerra trasforma le persone in bestie irragionevoli. Perfino gli scienziati, che normalmente sono molto logici, perdono la loro razionalità quando scoppia una guerra. Le persone che detestano la barbarie cominciano a comportarsi in modo barbaro. Questa è la follia della guerra».
Rotblat parlava per esperienza personale. Poco prima dello scoppio della guerra, nel 1939, egli svolgeva delle ricerche presso l’Università di Liverpool, in Gran Bretagna. Aveva lasciato la moglie in Polonia, il suo paese natale, perché l’esigua borsa di studio bastava solo per una persona. Soltanto dopo essersi affermato come esperto sul campo riuscì a organizzarsi per portare la moglie in Gran Bretagna. Sfortunatamente la donna si ammalò e non poteva viaggiare, quindi fu costretto a ritornare da solo a Liverpool. Due giorni dopo, le truppe di Hitler invasero la Polonia.
Rotblat ricorda: «Facevo parte del Progetto Manhattan. Questo progetto si basava sull’assunzione che anche Hitler fosse in grado di sviluppare armi atomiche, nel qual caso lui avrebbe vinto la guerra e sarebbe andata perduta la democrazia. Secondo il nostro ragionamento, il solo modo per impedire a Hitler di usare la bomba atomica contro di noi era di averne a nostra volta una e minacciare una rappresaglia. In seguito apparve chiaro che questa teoria della deterrenza nucleare era sbagliata, ma era alla base dell’iniziale sviluppo delle armi nucleari». Siccome credeva che la scienza acquisisse significato solo quando era al servizio dell’umanità, Rotblat non approvava l’idea che la scienza, in sé e per sé, fosse neutrale e dovesse essere usata solo nella ricerca dell’ignoto. Era certo che la neutralità morale fosse impossibile nel mondo contemporaneo.
Questo è un concetto importante. L’idea di neutralità è spesso usata come scusa per non offrire giudizi di valore chiari. Eppure se non si riesce a dare giudizi di valore, si finirà per essere governati dalle circostanze. Per esempio, cercando di restare neutrali invece di resistere all’autoritarismo, si potrebbe finire con l’essere controllati dagli autoritari.
Con il passare del tempo, Rotblat si ritrovò impegnato nella ricerca sulle armi atomiche nonostante le sue riserve. Tuttavia, appena ebbe la certezza che la Germania nazista, di fatto, non sarebbe riuscita a sviluppare la capacità di costruire una bomba atomica, Rotblat mostrò le qualità morali che lo distinguevano. Si dissociò completamente dal Progetto Manhattan dichiarando: «Se i tedeschi non avranno una bomba, non è giusto continuare noi a svilupparne una».
Questa mossa era estremamente rischiosa sul piano personale. Sebbene si fosse impegnato a non rivelare mai i dettagli della ricerca, gli altri pensarono che egli sarebbe andato dai sovietici a rivelare loro ciò che sapeva. Sentiva che la sua vita era in pericolo.
Rotblat fu il solo scienziato ad abbandonare il Progetto Manhattan. Sebbene altri ne condividessero le idee, giustificarono razionalmente il proseguimento della loro partecipazione al Progetto asserendo che allontanarsi dal programma in quel momento avrebbe danneggiato il loro curriculum accademico, oppure che, siccome avevano dato inizio al progetto, avrebbero dovuto terminarlo con il test di una bomba reale. Se, a quel tempo, altri scienziati avessero deciso di non collaborare, le tragedie di Hiroshima e Nagasaki non ci sarebbero mai state. Rotblat, un testimone vivente, insiste: «Non è vero che le bombe sono state lanciate sul Giappone solo per assicurare una rapida fine alla guerra. Lo scopo reale era di dimostrare la potenza degli Stati Uniti all’Unione Sovietica».
Rotblat non avrebbe più rivisto la moglie Tola. Ella perì nell’olocausto. La coppia visse assieme solo per breve tempo senza avere figli. La sofferenza spesso sfocia in apatia, ma questo grande scienziato trasformò il dolore nella determinazione di lavorare per la pace. Da allora, per più di mezzo secolo, non si è mai distratto dal suo obiettivo.
Quali conclusioni ha tratto in tutti questi lunghi anni dalle sue discussioni con le menti più importanti del mondo? Il suo verdetto: «Un mondo senza armi nucleari sarebbe più sicuro. Ed è assolutamente possibile averlo».
Dalla fine della guerra fredda gli stati muniti di armi nucleari si sono trovati a far fronte allo stesso problema affrontato da Rotblat molti anni fa, vale a dire: perché sviluppare armi nucleari quando non c’è più alcuna ragione per farlo? Per giustificare lo sviluppo di armi nucleari è necessario che i governi trovino dei pretesti per averle. “Creano” un nuovo nemico? O fanno credere che le armi nucleari siano segno di grande potere? O semplicemente cedono alle richieste dell’industria bellica?
Rotblat ha detto più volte: «Dato che il Giappone è stato vittima delle armi nucleari, dovrebbe impegnarsi attivamente nella campagna per la loro eliminazione». Sicuramente sarebbe il contributo più prezioso del Giappone al mondo. Tuttavia il Giappone ha sempre seguito le indicazioni degli Stati Uniti e per molti anni alle Nazioni Unite si è astenuto dal votare sia le mozioni sia gli appelli per abolire le armi nucleari.
Dopo il nostro incontro a Osaka, Rotblat ha scritto queste parole nel libro degli ospiti: «Nell’era nucleare siamo di fronte a una scelta con solo due opzioni: l’eliminazione della guerra o l’eliminazione dell’umanità». Non c’è dubbio che siamo in un periodo di transizione. Il concetto di “potere forte” che ha caratterizzato i secoli passati – prepararsi alla guerra per avere la pace – è fallito, nel ventunesimo secolo è necessario sviluppare il “potere morbido” – prepararsi alla pace per avere la pace.
Viviamo in un’epoca in cui il solo modo per affermare la pace è creare strutture che assicurino l’impossibilità dello scoppio della guerra. È necessario rafforzare il cuore con la cultura, spargere i semi dell’umanesimo attraverso l’educazione e costruire ponti di amicizia con altri paesi attraverso il dialogo.
Non esiste una cosa come la guerra giusta, né una cosa come il giusto omicidio. Dobbiamo far tesoro dell’eloquente affermazione del Manifesto Russell-Einstein: «Ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto!», se si vuole costruire una base di pace nel ventunesimo secolo. Se non riusciamo a farlo, non avremo imparato nulla dal secolo appena passato, un secolo che ha visto più persone uccise brutalmente in guerra di ogni altro nella storia dell’umanità.
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Joseph Rotblat
Joseph Rotblat studia a Varsavia e Liverpool dove ottiene il PhD in fisica prima della seconda guerra mondiale.
Durante la guerra lavora al progetto per la costruzione della bomba atomica, prima a Liverpool e poi a Los Alamos. È l’unico fisico ad abbandonare Los Alamos nel dicembre 1944, quando ormai è chiaro che la Germania non sarebbe riuscita a costruire armi nucleari prima della fine della guerra.
Ricopre la carica di professore di Fisica a Londra dal 1950 fino al 1976 e da allora è professore emerito.
Assieme ad altri dieci scienziati il 9 luglio 1955 firma il Manifesto Russell-Einstein, preparato poco prima della morte di Einstein (vedi riquadro alle pagine 8 e 9), un monito sul rischio che le armi nucleari rappresentano per l’umanità. Diventa inoltre il primo segretario del movimento internazionale Pugwash che dal Manifesto Russell-Einstein prende l’avvio.
Il movimento Pugwash rappresenta un gruppo internazionale di scienziati impegnati nella soluzione dei problemi successivi alla scoperta e produzione delle armi atomiche. Il movimento prende il suo nome dal villaggio canadese Pugwash, dove nel 1957 s’incontrarono scienziati di tutto il mondo rispondendo all’appello lanciato da Einstein e Russell due anni prima.
Di questo movimento oggi Rotblat è presidente; attraverso incontri e conferenze, il gruppo sostiene idee e proposte per il disarmo mondiale e la pace.
A Joseph Rotblat e al Movimento Pugwash è stato conferito il premio Nobel per la Pace nel 1995.
http://www.pugwash.org
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Quando gli scienziati dissero no
[…] Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. A chiederci, non quali iniziative si possano intraprendere per favorire la vittoria militare del gruppo che preferiamo, perché simili iniziative non hanno più senso; dobbiamo chiederci invece quali iniziative intraprendere per impedire uno scontro militare il cui risultato saerebbe disastroso per entrambe le parti.
L’opinione pubblica e anche molti uomini in posizione di autorità non hanno ancora capito le implicazioni di una guerra con le bombe nucleari. Si pensa in termini di distruzioni di città, anche grandi come Londra, New York e Mosca.
Ma questo sarebbe il male minore che dovremmo affrontare. Se tutti gli abitanti di Londra, New York e Mosca fossero sterminati il mondo potrebbe comunque, in alcuni secoli, riprendersi dalla shock. Ma dopo i test nucleari nell’atollo di Bikini sappiamo che le bombe nucleari possono disseminare distruzione su un’area molto più vasta di quello che si credeva […] Una guerra con le bombe H potrebbe porre fine alla razza umana. Se fossero impiegate molte di queste bombe il risultato sarebbe la morte universale, immediata per una piccola minoranza, accompagnata da una lenta tortura fatta di malattie e disgregazione per la maggioranza […] Vogliamo porre fine alla razza umana oppure l’umanità deciderà di rinunciare alla guerra? […]
Qualsiasi accordo che proibisca l’uso delle bombe H in tempo di pace non sarebbe più considerato vincolante in tempo di guerra e tutti si darebbero da fare a costruire immediatamente bombe H perché se una parte ne dispone e l’altra no, i detentori sarebbero inevitabilmente vittoriosi […]
Risoluzione
Invitiamo questo Congresso e, per suo tramite, gli scienziati di tutto il mondo e l’opinione pubblica a sottoscrivere la segente risoluzione:
«Alla luce del fatto che in un’eventuale guerra mondiale futura verranno sicuramente impiegate armi atomiche e che tali armi minacciano l’esistenza stessa dell’umanità, esortiamo i Governi mondiali a prendere conoscenza e a riconoscere pubblicamente che una guerra mondiale non favorirebbe il raggiungimento dei loro scopi e di conseguenza a trovare mezzi pacifici per risolvere tutte le questioni che sono oggetto di contesa fra loro».
9 luglio 1955
Max Born
Frederic Joliot-Curie
Joseph Rotblat
Percy W. Bridgman
Herman J. Muller
Bertrand Russell
Albert Einstein
Linus Pauling
Hideki Yukawa
Leopold Infeld
Cecil F. Powell