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La persecuzione di Komatsubara - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:29

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La persecuzione di Komatsubara

12. Le persecuzioni e l’esilio, argomenti di cui parla spesso il Daishonin nei suoi scritti, vengono analizzati in modo puntuale in questo dialogo

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12. Le persecuzioni e l’esilio, argomenti di cui parla spesso il Daishonin nei suoi scritti, vengono analizzati in modo puntuale in questo dialogo

SAITO: Nella scorsa puntata abbiamo discusso la persecuzione di Matsubagayatsu e l’Esilo di Izu, entrambi effetto della presentazione del Rissho ankoku ron, che videro l’apparizione dei primi due dei tre potenti nemici cioè i laici ignoranti e i preti arroganti. I preti che attaccarono il Daishonin erano Nembutsu e fra i laici spiccavano Hojo Shigetoki e suo figlio Hojo Nagatoki, entrambi ferventi seguaci Nembutsu. E il ruolo giocato da Doamidabutsu, capo dei credenti Nembutsu di Kamakura, che in seguito sfidò il Daishonin in dibattito e venne completamente sconfitto, si avvicina alla descrizione che compare nel Sutra del Loto del terzo potente nemico.

IKEDA: Il terzo potente nemico si manifestò poi in maniera compiuta nella Persecuzione di Tatsunokuchi, seguita dall’esilio di Sado (1271). In queste due ultime persecuzioni i tre potenti nemici e in particolare il terzo – i falsi santi arroganti – ebbero un ruolo centrale cospirando insieme per mettere in atto un’opera di repressione di enorme portata.
Il Daishonin si batteva incessantemente contro la natura demoniaca che opera per distorcere il Buddismo, far soffrire le persone e indirizzare la società nella direzione sbagliata. Lo spirito del Budda è quello di combattere impavido queste forze demoniache. E fu con questo cuore da re leone che il Daishonin superò le grandi persecuzioni del 1271.

SAITO: Prima di discutere la persecuzione di Tatsunokuchi vorrei analizzare la persecuzione di Komatsubara nella quale per la prima volta il Daishonin fu “perseguitato con la spada”. Anche in questo caso immagino che fu la sua ferma determinazione di combattere le forze demoniache che gli permise di sopravvivere a questo attentato che poteva costargli la vita.

MORINAKA: Nell’autunno del 1264, poco dopo il ritorno dall’esilio di Izu, il Daishonin si recò ad Awa, il suo paese natale, per la prima volta dopo diversi anni, per vedere la madre ammalata e far visita alla tomba del padre.
Secondo le cronache, nell’agosto di quell’anno si era verificata un’epidemia, nelle province di Awa e Kazusa (nella parte meridionale e centrale dell’attuale prefettura di Chiba), che potrebbe aver colpito anche la madre del Daishonin.

IKEDA: Sembra che sua madre fosse prossima alla morte. Il Daishonin pregò ardentemente per lei che guarì e visse altri quattro anni[ref]Vedi Il prolungamento della vita: «Quando io, Nichiren, pregai per mia madre, non solo ella guarì dalla sua malattia, ma la sua vita fu prolungata di quattro anni» (SND, 4, 89).[/ref].

MORINAKA: Il 22 settembre, il Daishonin scrisse A proposito del fatto che i seguaci Nembutsu dell’epoca attuale cadranno nell’inferno di incessante sofferenza (GZ, 104-110), che diede a Joen-bo[ref]Joen-bo: prete del tempio Renge-ji, legato al tempio Seicho-ji, situato a Hanabusa nel villaggio di Tojo (provincia di Awa).[/ref] mentre si trovava negli alloggi di un tempio presso Hanabusa a Saijo, distretto di Nagasa, provincia di Awa. Da ciò possiamo dedurre che il Daishonin si sia trattenuto per qualche tempo a Hanabusa con i suoi discepoli per diffondere l’insegnamento nella sua terra natale.

IKEDA: Sebbene l’amministratore locale, Tojo Kagenobu, avesse perso la causa intentata per reclamare i propri diritti di proprietà e il suo principale sostenitore Hojo Shigetoki fosse morto, continuava comunque a detenere un notevole potere.
In questo clima teso e pericoloso, il Daishonin continuò a diffondere il suo insegnamento. Il Budda dell’Ultimo giorno era sempre in prima linea, a dare un esempio agli altri con le proprie azioni.

SAITO: L’11 novembre, Kagenobu infine attaccò. Ripensando a quell’episodio il Daishonin in seguito scrisse che era «uno scontro che ci si aspettava da tempo» (GZ, 1413).
Quel giorno il Daishonin si era messo in viaggio da Hanabusa, Saijo, alla volta della residenza di Kudo Sakon-no-jo Yoshitaka[ref]Kudo Sakon-no-jo Yoshitaka (m. 1264): signore di Amatsu, a est di Tojo, nella provincia di Awa. Seguace di Nichiren Daishonin, gli inviò offerte durante l’esilio di Izu e fu il destinatario de I quattro debiti di gratitudine. Dopo la morte del padre, per le ferite riportate difendendo il Daishonin, suo figlio Nichiryu fece costruire un tempio a Komatsubara, il Kyonin-ji.[/ref] che viveva ad Amatsu. Sulla strada maestra di Matsubara, a Tojo, un gruppo armato di seguaci, Nembutsu capeggiato da Tojo Kagenobu, attaccò il Daishonin e i discepoli che lo accompagnavano.

MORINAKA: Il Daishonin descrive la scena in Incoraggiamento a un malato, che scrisse un mese dopo l’incidente:
«L’11 novembre [lett.: l’undicesimo giorno dell’undicesimo mese], tra l’ora della scimmia e quella del gallo [circa le 17], centinaia di credenti Nembutsu mi hanno teso un’imboscata sulla strada maestra di Matsubara, a Tojo, nella provincia di Awa. Io ero solo con appena una decina di uomini, dei quali solo tre o quattro in grado di opporre resistenza. Le frecce cadevano su di noi come pioggia e le spade calavano come fulmini. Uno dei miei discepoli fu ucciso all’istante e altri due furono gravemente feriti. Io stesso sono stato ferito e percosso e sembrava che il mio destino fosse segnato. Eppure, per qualche ragione, non sono riusciti a uccidermi e sono sopravvissuto finora» (SND, 8, 229).

SAITO: Secondo il calendario attuale la data corrisponde all’8 dicembre e quindi alle cinque di sera doveva essere già piuttosto buio. Probabilmente il piccolo gruppo del Daishonin si stava affrettando lungo la strada alla luce di una torcia.

IKEDA: Il Daishonin era coraggioso ma anche prudente. Quindi doveva aver preso molte precauzioni. Si erano messi in cammino attorno al crepuscolo e nel gruppo c’erano diversi uomini in grado di proteggere gli altri. Sebbene fosse un periodo di tensione, l’attacco ebbe luogo in un momento di relativa calma.

SAITO: A quell’epoca l’uccisione di un prete era considerata causa di severa retribuzione e dunque, anche per un nemico accanito come Kagenobu, cercare di togliere la vita a un prete non era cosa da affrontarsi con leggerezza. Probabilmente fu il suo acuto risentimento nei confronti del Daishonin, che egli vedeva come “il nemico dei Nembutsu”, che lo indusse a ricorrere a mezzi così estremi.

MORINAKA: Uno dei discepoli rimase ucciso sul colpo mentre due riportarono gravi ferite. Secondo le cronache tradizionali il discepolo ucciso si chiamava Kyonin-bo e i due discepoli feriti erano Kudo Yoshitaka e Sato Jiro, che avevano servito costantemente il Daishonin. Si dice che Kudo morì poco dopo.

IKEDA: Anche il Daishonin fu seriamente ferito. Nel brano citato in precedenza afferma di essere stato «ferito e percosso» ma ne Le persecuzioni che colpiscono il Budda fornisce maggiori dettagli e spiega che «venne ferito alla fronte ed ebbe una frattura alla mano sinistra» (SND, 4, 186).

MORINAKA: Anche dopo essersi rimarginata, la ferita alla fronte gli lasciò per diverso tempo una cicatrice di circa tredici centimetri[ref]Un’immagine lignea conservata al tempio Hommon-ji di Ikegami (Tokyo) raffigura il Daishonin con una cicatrice verticale sopra l’occhio destro, mentre in una immagine simile, conservata al tempio Tanjo-ji a Kominato (prefettura di Chiba), la cicatrice è fra le sopracciglia.[/ref].

IKEDA: Come spiega il Daishonin quando dice: «È straordinario che sia riuscito a sopravvivere fin adesso» (SND, 8, 229), egli aveva pochissime possibilità di sfuggire alla morte. Egli visse davvero la predizione del Sutra del Loto che menzionava la persecuzione con spade e bastoni.

MORINAKA: Ma perché avrebbe rischiato di attraversare, sia all’andata che al ritorno, proprio il centro del territorio di Tojo? Questo è un mistero.
Secondo una fonte il Daishonin non fu attaccato a Komatsubara ma mentre passava di fronte alla residenza di Tojo. Quel resoconto mirava a dimostrare che egli aveva il coraggio di farsi vedere in faccia davanti al nemico. Ma, se fosse stato così, non sarebbe stato più semplice abitare a casa di Kudo ad Amatsu?

SAITO: Forse doveva compiere quei viaggi a causa delle condizioni di salute della madre. Dopo la sua prima visita e le sue preghiere per lei, era guarita, ma, per le sue condizioni, forse era necessario che si recasse da lei con una certa frequenza.

MORINAKA: O forse, dopo essersi limitato a percorrere tragitti più sicuri sulle strade secondarie, muovendosi senza dare nell’occhio con poche persone, decise di prendere l’iniziativa e impegnarsi con coraggio nella propagazione insieme ai suoi discepoli.
Sembrerebbe che egli abbia provocato volontariamente Kagenobu, pur prendendo ogni possibile precauzione. Dopo tutto far sorgere le persecuzioni per dimostrare ciò che è vero e ciò che è falso sarebbe in sintonia col carattere del Daishonin.

SAITO: Dubito che egli abbia deviato volontariamente dalla propria strada per cercare il pericolo. Kagenobu era un avversario violento che non aveva mezzi termini e ritengo che il Daishonin stesse agendo con le debite cautele. In ogni caso non siamo in grado di trarre conclusioni definitive.

IKEDA: Sarà un argomento di studio futuro. Dopo tutto è certamente possibile che questi racconti popolari siano semplicemente sbagliati. Rimane il fatto che il Daishonin fu oggetto di un feroce attacco nel quale riuscì a salvare la vita di stretta misura. Come fu possibile? Forse nella mischia riuscì a nascondersi nel buio e trovare il modo di mettersi in salvo.

MORINAKA: Alla luce di queste considerazioni, il punto preciso in cui ebbe luogo l’imboscata diventa molto importante. Dove si trova esattamente «la strada maestra di Matsubara, a Tojo»? Saperlo potrebbe dirci molto su come effettivamente si svolse questa persecuzione.

SAITO: Secondo la tradizione, la persecuzione ebbe luogo nel tratto denominato Komatsubara, dove attualmente sorge il tempio Kyonin-ji. Non si tratta del centro di Tojo né di un luogo vicino alla residenza di Kagenobu, ma di un punto abbastanza distante, ai margini occidentali di Tojo. Venendo da Hanabusa si trova subito dall’altra parte del fiume Matsusaki.
Il fiume segnava la linea di confine tra i villaggi di Saijo e Tojo. Si potrebbe facilmente ipotizzare che la banda di Kagenobu fosse appostata all’interno della sua proprietà e poi abbia attaccato il Daishonin e i suoi discepoli quando si avvicinarono.

IKEDA: Forse per fuggire il Daishonin attraversò il fiume mettendosi in salvo a Saijo.

MORINAKA: Se d’altro canto il Daishonin fosse stato attaccato dopo esser passato esattamente di fronte alla residenza di Kagenobu, si sarebbe trovato molto più a est, probabilmente nei pressi di Amatsu, ai margini orientali delle terre di Tojo.

IKEDA: Nel Gosho il Daishonin parla solo di un punto «sulla strada maestra di Matsubara a Tojo». Non cita la località Komatsubara. È possibile che la leggenda secondo la quale l’attacco ebbe luogo a Komatsubara si sia sviluppata successivamente alla costruzione del tempio in quel punto.

MORINAKA: In quel caso la «strada maestra di Matsubara, a Tojo» avrebbe potuto essere una strada, esistente a quell’epoca, che attraversava un bosco di pini [Matsubara significa “bosco di pini”]. Potrebbe essere stata sul tragitto dell’attuale autostrada Amatsu-Kominato-Tabara che corre da Hanabusa fino ad Amatsu attraversando Tojo.
In un simile scenario Kagenobu avrebbe teso l’imboscata ai margini orientali delle sue terre vicino a un punto in cui il gruppo del Daishonin era costretto a passare, come era per esempio la porzione di strada delimitata da un lato dai monti e dall’altro dal mare. In quel caso si può pensare che per fuggire il Daishonin si sia velocemente addentrato nelle montagne.

IKEDA: Riguardo alle possibilità di fuga del Daishonin, contarono anche le capacità di combattimento dei suoi aggressori.
In Risposta a Myoho Bikuni (GZ, 1406-18) il Daishonin parla di una “battaglia”, a causa del feroce combattimento che ebbe luogo ma, anche se gli attaccanti erano certamente armati, non si trattava di una compagnia di soldati particolarmente ben addestrati. Probabilmente era una marmaglia composta principalmente da credenti Nembutsu.
Oltre a essere ferito alla fronte da un colpo di spada, il Daishonin si ruppe il braccio sinistro per un colpo sferrato da un’arma simile a un bastone. Quindi è probabile che alcuni degli assalitori recassero solo bastoni di legno o pali.

SAITO: Se la maggior parte degli assalitori era inesperta, è probabile che i tre o quattro elementi capaci di combattere nel gruppo del Daishonin siano riusciti a respingerli per un certo tempo. Ben presto giunse un drappello di uomini guidato da Kudo Yoshitaka. Se l’incidente avesse avuto luogo nella parte orientale di Tojo avrebbero dovuto percorrere circa due chilometri e quattro nel caso in cui fosse successo a Komatsubara. A cavallo non avranno impiegato molto tempo ad arrivare e, anche se lo scontro era già in corso, sembrerebbe che siano arrivati appena in tempo per aiutare il Daishonin.

MORINAKA: Secondo una fonte, Kudo Yoshitaka era alla testa di un gruppo di cinquanta soldati a cavallo. Sopresi dall’arrivo di questa compagine di guerrieri addestrati è probabile che molti membri della banda di Kagenobu si siano dati immediatamente alla fuga. Durante il combattimento successivo, il Daishonin, che essendo nativo della zona probabilmente conosceva bene quel luogo, riuscì a scappare con molti altri.
Si narra che sia stato un misterioso prete buddista a informare Kudo Yoshitaka del pericolo in cui il Daishonin si trovava. Potrebbe essere stato qualche novizio legato in qualche modo al Seicho-ji. E può darsi anche che alcuni colleghi del prete abbiano portato in salvo il Daishonin attraverso sentieri di montagna.

IKEDA: Anche certi aspetti del complotto di Kagenobu avrebbero potuto contribuire a rendere possibile la fuga del Daishonin. Per esempio dopo che il Daishonin venne ferito, Kagenobu potrebbe aver esitato venendo meno al suo intento iniziale.
Comunque sia andata, la fiducia del Daishonin di essere il principale praticante del Sutra del Loto di tutto il Giappone attivò gli dei buddisti e gli promise di sfuggire. È a questo che si riferisce quando cita le parole [di Miao-lo]: «Più salda è la fede, maggiore è la protezione degli dei» (SND, 5, 156).

SAITO: Il Daishonin, pur avendo riportato gravi ferite, fece ritorno con i suoi discepoli agli alloggi per i preti a Hana-busa, dove venne curato. Tre giorni dopo venne a visitarlo il suo anziano maestro Dozen-bo[ref]Dozen-bo (m. 1276): prete del tempio Seichi-ji ad Awa presso il quale il Daishonin era stato ordinato prete a sedici anni. Era un devoto praticante Nembutsu.[/ref]. Penso che le parole piene di convinzione che il Daishonin pronunciò in quell’occasione attestino la sua grande forza spirituale.

MORINAKA: Dozen-bo, sapendo che il Daishonin era stato ferito, si preoccupò ma, temendo che Kagenobu venisse a sapere della sua visita, deve esser giunto di nascosto dal Seicho-ji percorrendo strade di montagna.
Probabilmente Dozen-bo temeva che il Daishonin fosse in punto di morte e sarà stato sollevato di trovarlo invece inaspettatamente col morale alto. Preoccupato per la sua stessa vita, Dozen-bo chiese al Daishonin se sarebbe caduto nell’inferno di incessante sofferenza a causa della sua fede Nembutsu e per aver fatto erigere cinque statue del Budda Amida. Nonostante fosse convalescente, il Daishonin parlò con grande forza a Dozen-bo dicendogli che, se avesse continuato a praticare il Nembutsu, sarebbe caduto nell’inferno cinque volte (vedi SND, 6, 52-53) e facendogli notare che suo fratello Dogi-bo Gisho, anch’egli membro del Seicho-ji, era morto fra atroci sofferenze.
Dozen-bo rimase estremamente deluso di questa risposta ma si dice che in seguito si sia convertito al Sutra del Loto e abbia fatto scolpire una statua del Budda Shakyamuni.

IKEDA: Per ripagare il proprio debito di gratitudine nei confronti di Dozen-bo, il Daishonin insisteva nel ribadirgli il corretto insegnamento buddista, animato dallo spirito di shakubuku, cioè propagare il Sutra del Loto e refutare gli insegnamenti provvisori.

MORINAKA: Poco dopo il Daishonin andò ad abitare presso Toki Jonin a Shimosa (nella parte settentrionale della prefettura di Chiba).

SAITO: Coloro che avevano partecipato alla persecuzione ricevettero evidenti retribuzioni negative per le cause che avevano posto. Il diretto responsabile, Kagenobu, morì poco dopo e la stessa sorte toccò a Enchi-bo e Jitsujo-bo che erano stato suoi alleati nel minacciare Dozen-bo[ref]In Risposta a Nii-ama si legge: «Tra tutti i luoghi del mondo, Nichiren cominciò a propagare il vero insegnamento nella contea di Tojo della provincia di Awa in Giappone. Di conseguenza l’amministratore della contea è diventato mio nemico, metà della sua gente è morta e il suo clan si è dimezzato» (SND, 5, 21). E in Ripagare i debiti di gratitudine: «Ma fu una fortuna che Kagenobu, Enchi e Jitsujo morissero tutti prima di Dozen-bo, ricevendo la punizione delle dieci dee protettrici del Sutra del Loto» (SND, 2, 201-202).[/ref].

IKEDA: Poco più di un anno dopo, il 6 gennaio 1266, il Daishonin fece ritorno al Seicho-ji dove scrisse Il Daimoku del Sutra del Loto, un lungo trattato in risposta a una donna che gli aveva chiesto se fosse possibile ottenere la Buddità semplicemente recitando il Daimoku del Sutra del Loto.

SAITO: Non si conosce l’identità precisa del destinatario della lettera ma dai contenuti si evince che in precedenza aveva creduto nel Nembutsu. Varie fonti la identificano con la madre del Daishonin, con la monaca laica Konichi o con la zia del Daishonin. Avrebbe potuto trattarsi anche della monaca laica, moglie del signore del feudo.

IKEDA: Ne Il Daimoku del Sutra del Loto, traspare l’ardente desiderio del Daishonin di liberare la sua terra natale dalla setta Nembutsu che da tempo vi aveva messo salde radici, e di vederla diventare un luogo in cui si udissero invece tante voci che recitavano il Daimoku. In tutto ciò che faceva, il Daishonin era sempre motivato dal desiderio di permettere a ogni persona di raggiungere la Buddità e diventare felice. Questo Gosho, a mio avviso, è un’esplicita dichiarazione di vittoria sulle forze Nembutsu che avevano cercato di perseguitarlo.

(continua)

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