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L’importante è rialzarsi - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:17

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L’importante è rialzarsi

Emanuele Fougier, Roma

«Ho deciso di cambiare la mia vita entrando realmente in contatto, attraverso il Daimoku, con la parte di me “debole e perdente” che per anni ho accuratamente cercato di nascondere»

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«Ho deciso di cambiare la mia vita entrando realmente in contatto, attraverso il Daimoku, con la parte di me “debole e perdente” che per anni ho accuratamente cercato di nascondere»

Ho iniziato a recitare Nam-myoho-renge-kyo nel 1995, attirato dai cambiamenti di mia moglie che aveva conosciuto la pratica l’anno precedente. Sono diventato membro nel luglio 1996 e fino all’estate del 2000 la mia vita è scorsa tranquilla con molti benefici e nessuno scossone.
Poi a settembre di quell’anno, mia madre, che vive a Milano, è stata ricoverata in ospedale per un controllo, e invece ha dovuto subire l’amputazione di una gamba. Nel giro di un mese è stata sottoposta a un’ulteriore operazione, nel tentativo di salvarle almeno l’altra gamba.
Improvvisamente mi sono sentito perso. Il fatto di esserle lontano mi faceva sentire impotente di fronte alla sua sofferenza. Provavo un forte senso di colpa anche nei confronti dei miei due fratelli che vivono a Milano e dovevano occuparsi di tutto. Non potevo neanche contribuire economicamente perché la mia situazione da quel punto di vista era disastrosa. I soldi che mia moglie e io avevamo da parte erano finiti e avevamo accumulato un notevole debito con la banca. Sapevo che questa situazione era stata causata dalla mia tendenza a non voler né vedere né affrontare i problemi.
Ricordo che quando sono andato a trovare mia madre in occasione del secondo intervento, provavo un senso di vera e propria disperazione; addirittura nel profondo del cuore pensavo che la soluzione migliore sarebbe stata che mamma morisse subito, evitandosi altre sofferenze. Del resto i medici erano i primi a non farsi illusioni sull’efficacia dell’intervento e sulla durata dei suoi eventuali benefici.
Ero tutto orientato, anche nella pratica, ad anestetizzare la mia sofferenza, anziché illuminarla e trasformarla.
Nei primi mesi del 2001, il mio matrimonio, dopo quindici anni, attraversò un momento difficile. Le differenze tra mia moglie e me, che avevano arricchito la nostra famiglia e la nostra unione, ci stavano dividendo e allontanando. Mia moglie avrebbe voluto che praticassimo insieme, mettendoci scopi comuni. Io non volevo farlo e di fronte alla sua insistenza mi irritavo allontanandomi ancora di più. La vedevo come il costante richiamo a quelle responsabilità di marito, di padre, di capofamiglia dalle quali volevo scappare.
Mi era rimasta l’attività. Facendo il “bravo responsabile” mi illudevo di poter nascondere la mia vita vera, i miei problemi, i disagi e le sconfitte.
Era però impossibile che potessi continuare a lungo a usare l’attività, la pratica, il Gohonzon, come complici nella resa totale alla mia parte oscurata. Non potevo illudermi che il mio profondo disagio, per quanto tenacemente tentassi di nasconderlo, non si manifestasse nella mia vita e nel mio ambiente. Stavo male, e si vedeva. Facevo attività con una grande fatica e senza riuscire a incoraggiare più nessuno, tanto che nel maggio 2001 rinunciai alla responsabilità per prendermi cura di me.
Sono stato sostenuto dai miei responsabili e compagni di fede, che hanno praticato con e per me, incoraggiandomi costantemente ad affrontare la situazione con il Daimoku e il Gohonzon. Così, recitando Nam-myoho-renge-kyo con intensità e sincerità, ho finalmente maturato la disponibilità a dialogare e a sentirmi dire cose di me che non avrei mai voluto sentire.
Decisi di cambiare la mia vita entrando realmente in contatto, attraverso il Daimoku, con la parte di me “debole e perdente” che per anni avevo accuratamente cercato di nascondere. Grazie al Daimoku mi sono trovato faccia a faccia con la realtà: io, che pensavo di avere una tendenza a bere a volte eccessiva, ma tutto sommato normale, ho preso coscienza di essere un alcolista.
È stata una scoperta dura e difficile da accettare, ma l’ho affrontata deciso a risolvere il problema con il Daimoku. Così ho trovato i medici giusti, perché l’alcolismo è una malattia e come tale deve essere curata. Grazie all’aiuto di questi medici e delle strutture di recupero alle quali mi hanno indirizzato, ho scoperto che non devo vergognarmi di essere alcolista, come un cardiopatico, o un diabetico che non hanno nessun motivo di vergognarsi della propria malattia.
Sono entrato in contatto con persone meravigliose insieme alle quali ho imparato che per curare la mia malattia la devo in primo luogo accettare come tale e che solo non bevendo ne posso evitare gli effetti. Con il Daimoku ho capito che la cosa importante è trasformare la causa della mia sofferenza continuando a fare la mia rivoluzione umana. Ho anche capito che la vita mi sta dando una grandissima occasione perché questo mio faticoso percorso può servire ad altre persone che vivono disagi simili al mio.
Mi sono liberato dal senso di colpa provocato dall’idea che il mio problema fosse qualcosa di moralmente sbagliato. Da quel momento ho potuto utilizzare tutte le energie, che prima usavo per tenere in piedi un castello di falsità, di compromessi e di silenzi, con il quale mi illudevo di nascondere, a me stesso e agli altri, la mia condizione, per imparare a conoscermi e a volermi bene. Senza contare la meravigliosa sensazione di essere sempre me stesso, che la sobrietà regala ogni giorno.
Ho provato la profonda gioia di sapermi capace di vincere, anche nelle cose grandi, e di incoraggiare nuovamente le persone, perché parlando di rivoluzione umana non parlavo più di una cosa astratta, ma della mia vita.
A gennaio 2002 mi è stata riaffidata la responsabilità di settore. Ho raccontato parecchie volte la mia esperienza e ho sentito la gratitudine e la commozione di chi la ascoltava. Dopo un anno e mezzo di sobrietà ho pensato di aver vinto; ma la vittoria di chi dimentica le proprie sconfitte è effimera e illusoria. Ero nel mondo di Estasi, dove abita il Demone del sesto cielo: «Rafforzate la vostra fede giorno dopo giorno e mese dopo mese. Se vi rilassate anche solo un po’, i demoni prenderanno il sopravvento» afferma Nichiren Daishonin ne Le persecuzioni che colpiscono il Budda). E nello stesso Gosho aggiunge: «Noi comuni mortali siamo così sciocchi che non temiamo gli avvertimenti contenuti nei sutra o nei trattati, pensando che non ci riguardino» (SND, 4, 188).
È profondamente vero. Io l’ho sperimentato!
Convinto di aver vinto e incurante di quello che avevo imparato sulla mia malattia mi sono rilassato e ho bevuto di nuovo, prima una sola volta, poi di nuovo e poi ancora. Di nuovo mi sono vergognato e ho cercato di nascondere la mia ricaduta pensando che avrei deluso le persone che avevo incoraggiato. Ma di nuovo col Daimoku, con grande sofferenza, ho capito che l’alcolismo è solo un aspetto della mia vita, non è la mia vita: anche se sono ricaduto, e potrà forse accadere di nuovo, la mia Buddità continua a risplendere. Ho sentito con dolore e con felicità quanto non sia importante non cadere, ma rialzarsi ogni volta. «Una sconfitta sarà come la moxa che cura le malattie, o come l’agopuntura che allevia il dolore. Entrambe sono dolorose sul momento, ma in seguito portano felicità» (SND, 4, 268). Questo è quello che scrive Nichiren nel Gosho Itai doshin e so che l’ha scritto per me!
Da maggio del 2001 mia madre vive in una casa di riposo bella e accogliente. Quando la vado a trovare mi racconta sorridente delle sue giornate, dei suoi interessi, della sua rinnovata curiosità. Dimostra tutta la sua voglia di vivere dandosi da fare per le altre pazienti. Una gioia e un desiderio di vita che condivido con lei, finalmente libero dai sensi di colpa, e consapevole che, pur vedendola solo due o tre volte l’anno, sostengo la sua vita con il Daimoku, compiendo l’azione di amore e gratitudine filiale più grande che io possa fare. Del resto il Gosho dice che… «il modo migliore di ripagare i debiti di gratitudine nei confronti dei genitori e del sovrano è quello di abbracciare l’insegnamento buddista corretto, così da guidare anche loro alla salvezza» (Conversazione tra un saggio e un uomo non illuminato, SND, 7, 110).
Con mia moglie e i miei figli siamo tornati a sorridere e ad affrontare insieme le difficoltà che si presentano. Mia moglie ha trovato un nuovo lavoro e stiamo pagando i nostri debiti.
Ho capito che la mia decisione di rimanere sobrio è come la promessa che feci durante la Cerimonia nell’aria, insieme a tutti i Bodhisattva della Terra: la devo e la voglio rinnovare ogni giorno.

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