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Verso il secolo delle donne - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:12

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Verso il secolo delle donne

Il raggiungimento della Buddità delle donne è anche «una sensazionale dichiarazione dei diritti umani». Immaginando il secolo presente come quello delle donne, il presidente Ikeda si augura di poter vedere coesistere le qualità maschili e femminili in armonia

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Il raggiungimento della Buddità delle donne è anche «una sensazionale dichiarazione dei diritti umani». Immaginando il secolo presente come quello delle donne, il presidente Ikeda si augura di poter vedere coesistere le qualità maschili e femminili in armonia

Al tempo di Shakyamuni in India le donne erano considerate come animali da soma, prive di qualunque requisito umano. La loro vita si articolava secondo lo schema delle tre obbedienze: ai genitori durante l’infanzia, al marito dopo il matrimonio e ai figli negli anni della maturità. La discriminazione verso le donne era talmente radicata nella società da influenzare ogni sistema di pensiero, compreso l’insegnamento di Shakyamuni.
In un contesto del genere appare un sutra assolutamente innovativo e sorprendente, il Sutra del Loto. Nel capitolo Devadatta, il dodicesimo di questo sutra, viene descritto il raggiungimento della Buddità di due personaggi a cui nessuno avrebbe accordato alcun credito: Devadatta e Ryunyo. Devadatta è un nemico del Budda e un modello di perfidia, mentre Ryunyo è la figlia del re dei Naga, cioè un drago femmina di otto anni.
Il discepolo di Shakyamuni presente alla dichiarazione che Ryunyo ha ottenuto l’Illuminazione esprime la sua incredulità. Nel suo commento al capitolo Devadatta, Daisaku Ikeda scrive a questo proposito: «Accumulo di Saggezza non capiva il potere del Sutra del Loto e perciò non credette all’Illuminazione di Ryunyo. Il Daishonin dice che “sfiducia” è “oscurità fondamentale”, cioè ignoranza della propria vita, sfiducia verso la propria vita. […] Ryunyo rappresenta il nuovo pensiero, in contrapposizione al vecchio pensiero» (Saggezza, 2, 169). In sostanza vengono messe a confronto la fede di Ryunyo con la saggezza di un discepolo “storico” di Shakyamuni, che non può credere all’Illuminazione di Ryunyo a causa di convinzioni consolidate che si sono trasformate in pregiudizi. Ma, afferma Ikeda citando Nichiren, non poter credere, mettere dei limiti, significa dare spazio all’oscurità, e dunque limitare anche le proprie possibilità di ottenere l’Illuminazione. Questo concetto viene ribadito in maniera più articolata in seguito, quando anche Shariputra si unisce all’incredulità di Accumulo di Saggezza con l’argomento che le donne non possono in alcun modo ottenere la Buddità. Il commento di Ikeda è molto incisivo: «Negare l’Illuminazione delle donne è negare ichinen sanzen, è negare anche la propria Illuminazione. L’ottenimento della Buddità di Ryunyo dimostra non solo che le donne possono diventare Budda, ma anche che gli uomini possono diventarlo. Gli uomini che negano l’Illuminazione delle donne negano anche la propria Illuminazione. Questo è un aspetto che ai maschi sfugge spesso» (Saggezza, 2, 171). Ikeda sottolinea qui un tema forte del pensiero buddista: non esistono discriminazioni rivolte esclusivamente a colpire gli altri, qualunque discriminazione agisce con la stessa intensità e nella stessa misura su noi stessi, come forme interdipendenti di un’unica entità vivente, e dunque la negazione e la sfiducia nei confronti della Buddità degli altri penalizza noi in modo equivalente. Inoltre “dal punto di vista dell’eternità della vita, il sesso non è fisso: si può nascere uomo in una vita e donna in un’altra” (Saggezza, 2, 185), quindi ogni pregiudizio si rivela veramente per quello che è, una limitazione impartita alla propria vita.
Ma a spazzare via ogni pregiudizio e limite, il capitolo Devadatta afferma che la Buddità si manifesta in ogni forma umana, nel più malvagio degli uomini e nella figlia di un drago. L’Illuminazione di Ryunyo apre la porta del diritto alla felicità a tutte le donne, alle persone più oppresse della società, e costituisce “una sensazionale dichiarazione dei diritti umani” come afferma Daisaku Ikeda (Saggezza, 2, 190). Inoltre la parola ryunyo esprime l’unità fra padre e figlia e quindi quando Ryunyo diviene un Budda salva anche suo padre. Dunque la Buddità di una donna non riguarda lei sola, ma coinvolge istantaneamente le persone della sua famiglia e, trattandosi di una bambina, in questo caso il genitore. Anche le parole che vengono usate per descriverla sottolineano questo aspetto: «ella prova compassione per gli esseri viventi come fossero suoi figli» (SDL, 243). La prima donna che ottiene la Buddità ci viene proposta quindi con una caratteristica dominante, la compassione. Le donne danno la vita e la proteggono, quindi dal punto di vista dell’origine interdipendente di tutte le cose, sono presenti in modo compassionevole e solidale nella rete che unisce tutto ciò che vive e l’ambiente in cui vive.
L’esempio di Ryunyo viene utilizzato frequentemente da Nichiren Daishonin per rassicurare le sue discepole che le donne possono ottenere la Buddità, segnale evidente di quanto il pregiudizio contrario fosse ancora attivo. Spesso Nichiren riporta i luoghi comuni più diffusi contro la Buddità delle donne presenti negli insegnamenti di Shakyamuni, ma solo per confutarli e chiarire che l’insegnamento supremo è il Sutra del Loto e dunque che «l’accesso alla Buddità della figlia del Re dei Naga non riguarda solamente lei: dimostra che tutte le donne raggiungeranno la Buddità» (SND, 1, 171). Oppure, in modo molto poetico, che così come gli uomini non vedono le ombre nel buio, le rotte del cielo lungo le quali volano gli uccelli, i sentieri nel mare lungo i quali nuotano i pesci, non vedono la Buddità della signora Nichinyo, che i Budda invece percepiscono chiaramente (SND, 7, 205).
Che Nichiren non operi discriminazioni fra i suoi discepoli, uomini o donne che siano, è dimostrato non solo dalle sue affermazioni, ma anche dal fatto che conferisce a Nichimyo il titolo onorifico di “santa” e a Konichi quello di “saggia”; che la signora Nichinyo è destinataria di un Gohonzon; che invia alle donne non solo lettere nelle quali le ringrazia per i doni o risponde alle domande, ma anche trattati come Il comportamento del Budda o precise delucidazioni di carattere dottrinale, come Cenni sul capitolo Zokurui. Per meglio comprendere quanto tutto ciò non fosse scontato, va tenuto presente che a quel tempo alle donne era proibito l’ingresso ai templi delle vecchie scuole, mentre le nuove scuole dell’epoca di Kamakura, la Nembutsu e la Zen, sostenevano che per salvarsi le donne dovevano rinascere prima come uomini.
Nichiren è consapevole del fatto che la vita delle donne ha caratteristiche particolari perché, come scrive a Nichigen-nyo, moglie di Shijo Kingo, «l’ideogramma donna significa “dipendenza”. Il glicine si appoggia al pino, una donna si appoggia a un uomo» (SND, 6,126), ma proprio per questo le esorta a non cercare mai il Gohonzon al di fuori della propria vita, a trovare dentro di sé ogni risorsa per essere artefici della propria felicità. Come hanno fatto ad esempio Myoichi-ama, Konichi-ama o Myoho-ama, le quali, rimaste vedove, si preoccupano di sostenere Nichiren e di approfondire la propria fede nonostante le circostanze veramente critiche della loro vita. In sostanza, ribadito il fatto che Myoho-renge-kyo «è il sigillo che garantisce l’Illuminazione a tutte le donne» (SND, 5, 165), Nichiren le incoraggia ad affrontare attraverso la fede ogni circostanza avversa della vita e loda caldamente il loro impegno nei confronti della pratica buddista proprio perché è consapevole di quanta resistenza questi comportamenti incontrino nella società. Nichiren Daishonin, pur considerando le differenze esistenti fra uomini e donne come aspetti transitori rispetto alla vera entità della vita, si preoccupa di valorizzarle. Nei consigli dati alle coppie di discepoli mette in rilievo il fatto che l’unità è data dall’unione di risorse e ruoli diversi, ma ugualmente degni e determinanti. Un bellissimo esempio di questo è dato dalla lettera che Nichiren scrive a Sennichi-ama, moglie di Abutsu-bo: «Da Sado a questa provincia vi sono mille ri di mare e montagne. Tu, come donna, hai mantenuto la fede nel Sutra del Loto e per anni mi hai fatto visita inviando qui tuo marito in tua vece. Sicuramente il Sutra del Loto, Shakyamuni, Taho e tutti i Budda delle dieci direzioni conoscono la tua devozione. […] Benché tu sia rimasta a Sado, il tuo cuore è giunto in questa provincia. […] Vedere la faccia non è importante, è il cuore quello che conta» (SND, 7, 219). In queste poche righe ci appare chiaramente la sensibilità e la cura, la profonda compassione che lega Nichiren ai suoi discepoli, per cui ringrazia la moglie per le visite del marito, sottolineando l’irrilevanza di chi abbia fisicamente intrapreso il viaggio rispetto al desiderio di sostenere il proprio maestro, che è la condizione che ha reso possibile quel viaggio e che è condivisa con la stessa intensità da marito e moglie. I condizionamenti sociali, il fatto che fossero gli uomini a spostarsi mentre le mogli rimanevano a casa, non ha impedito a Nichiren di penetrare la superficie degli eventi e di apprezzare e lodare la fede di Sennichi-ama.
Anche Daisaku Ikeda loda le donne e afferma di conoscere le sofferenze e le difficoltà che le affliggono. Ma, strettamente intrecciato alla comprensione della realtà femminile, c’è un compito particolarmente impegnativo che egli affida alle donne: costruire una società pacifica. Per questo, a partire dal 2001, ha intitolato il periodo che stiamo vivendo come “il secolo delle donne”. Ikeda fa riferimento alla caratteristica dominante nella presentazione di Ryunyo, la capacità di considerare tutti gli esseri viventi come se fossero i propri figli, cioè la compassione. Nel messaggio inviato alle donne italiane l’11 aprile 2003 scrive: «Vi prego di avvolgere ogni persona con un “cuore che desidera la pace” e con la “tolleranza che allevia tutto”, caratteristiche che le donne possiedono intrinsecamente, insieme a uno stato vitale grande e ricco» e di utilizzare queste modalità per dedicarsi al dialogo. Non si tratta certo di subire silenziosamente o di accogliere sorridendo ogni angheria. Nel poema dedicato alle donne italiane il 9 giugno 2001 viene introdotto il tema del ruolo delle donne nella Resistenza per svilupparlo poi in questa indicazione: «Resistenza contro tutto ciò che “toglie vita”, che toglie felicità all’essere umano, che rende debole la forza vitale dell’umanità: questo è il rinascimento della nostra vita» (NR, 239, inserto centrale). Quindi le donne hanno un ruolo attivo, combattente, ma utilizzano l’arma del dialogo compassionevole e non si piegano all’uso del potere così come viene comunemente inteso in termini di sopraffazione. Il secolo delle donne diventa allora un tempo in cui si sostituisce la compassione, la capacità di includere ogni persona in una relazione positiva, all’esclusione, alla discriminazione e all’uso della forza come caratteristiche dominanti nella società. Ikeda invita le donne a liberare tutti, oppressori e oppressi, attraverso la forza di quelle caratteristiche “femminili” da sempre considerate come sinonimo di debolezza: empatia, sensibilità, cuore. Anche perché sulle caratteristiche dei due sessi il pensiero di Ikeda è molto chiaro: dato che dal punto di vista dell’eternità della vita il sesso non è fisso e si può nascere uomo in una vita e donna in un’altra, in ogni individuo esistono aspetti sia maschili che femminili. La società influenza le persone a manifestare “mascolinità” se sono uomini e “femminilità” se sono donne, ma ogni essere umano per essere felice deve sviluppare se stesso nella sua completezza. «In un individuo la parte maschile e la parte femminile devono armonizzarsi; in ciò consiste la maturazione della personalità e la realizzazione di se stessi» (Saggezza, 2, 185). In sostanza nell’abbattimento del pregiudizio e nell’armonia fra maschile e femminile sta la possibilità di sviluppare completamente la propria personalità, e dunque la felicità.

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Gli introvabili

Ma dove ho letto quella frase?

Un importante principio buddista dice che “la fragranza interna otterrà protezione esterna”. Il Sutra del Loto dice: «Io vi rispetto profondamente» e il Sutra del Nirvana dice: «Tutte le creature viventi possiedono la natura di Budda». Il Daijo kishin ron di Ashvagosha afferma: «Quando la natura di Budda si manifesta continuamente, spariscono subito le illusioni e appare il corpo della Legge». Lo Yuga ron del bodhisattva Maitreya contiene un’affermazione simile. Un’azione invisibile produrrà un beneficio visibile.

(I tre tipi di tesori, SND, 4, 172)

Quando uno è lodato dagli altri, sente sorgere in sé la voglia di riuscire a qualunque costo. Tale è il coraggio che deriva dalle parole di lode.

(La vera entità della vita, SND, 4, 232)

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