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Brutta, sporca e cattiva - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:52

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Brutta, sporca e cattiva

Laura Barbieri, Cesena

«Dopo essermi riconciliata con me stessa e con gli altri, ho percepito nella mia vita la possibilità di non identificare una persona con il suo limite e la capacità di ammettere e perdonare gli errori miei e degli altri»

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«Dopo essermi riconciliata con me stessa e con gli altri, ho percepito nella mia vita la possibilità di non identificare una persona con il suo limite e la capacità di ammettere e perdonare gli errori miei e degli altri»

Sono sempre stata una persona profondamente rigida e autoritaria. Uno dei miei primi corresponsabili, a scanso di equivoci, mi chiamava Adolf. Tante volte ho sofferto di questo mio limite, tante volte sono stata invitata a migliorare e tante volte ho visto le persone allontanarsi ferite. Io desideravo cambiare, ma non sono mai andata oltre la superficie, ho smussato qualche spigolo, abbellito un po’ la confezione, ma nella sostanza sono rimasta quella che ero. Ho praticato per anni con entusiasmo e dedizione, dedicandomi anche all’attività byakuren proprio per trasformare questo mio limite, realizzando ogni mio obiettivo e facendo anche “carriera” all’interno dell’Istituto. Queste conferme mi hanno portato a minimizzare “il difetto” e a procedere, uso caterpillar, sulla mia strada. Quando leggevo i Gosho o gli scritti di sensei sulla compassione o sentivo esperienze di persone che erano state colpite dal calore umano dei praticanti sentivo di essere completamente fuori strada. Ma si trattava comunque di momenti, in generale convivevo con questa tendenza senza capire che senza compassione la mia pratica era priva di sostanza.
Tuttavia, dato che il funzionamento della meravigliosa ma severa legge di causa ed effetto è inesorabile, all’inizio del 1998 si è presentato il classico “appuntamento con il karma”. Vivevo una condizione di particolare fragilità: due gemelle neonate, la primogenita di tre anni in piena crisi di gelosia, mio marito sempre fuori per lavoro. Fortunatamente avevo una responsabilità di gruppo e ottimi legami con tutte le persone del mio gruppo, in particolare con la mia corresponsabile che mi ha sostenuta in maniera decisiva.
In questa situazione ho ricevuto una visita a casa di quelle che non si possono dimenticare. Una persona che consideravo più mia amica che responsabile è venuta a trovarmi e mi ha spiegato che, in sostanza, ero un individuo dannoso nei confronti delle altre persone. In quella analisi di me non c’erano elementi positivi, niente da salvare, anche il fatto che realizzassi i miei obiettivi era diventato controproducente: gli altri si sentivano schiacciati. Mi sono sentita veramente brutta, sporca e cattiva e non riuscivo a fare altro che piangere, infatti ho pianto per due giorni. Inoltre questa visita era originata da segnalazioni di persone che io vedevo e sentivo quasi ogni giorno, ma che si erano guardate bene dal parlarmene direttamente, ed era stata approvata da molti responsabili di mia conoscenza, che condividevano questo giudizio e che mi sono stati elencati in ordine sparso ma completo. Sono andata letteralmente in frantumi. Dopo dodici anni di onorato servizio, in un attimo tutta la mia passione si è trasformata in diffidenza. Non avevo nessuno cui rivolgermi, perché mi era stato spiegato chiaramente che tutti pensavano di me quanto mi era stato detto. A peggiorare la situazione c’era anche la presenza di mio marito il quale, avendo sentito tutto, era furibondo e al termine della visita, che avrebbe desiderato interrompere violentemente, mi ha detto: «Un’associazione che fa quadrato intorno a persone che hanno problemi di relazione con te senza avere il coraggio di parlartene, non merita il tuo impegno». Eppure io non potevo andarmene perché negli anni di pratica trascorsi avevo imparato almeno tre cose: che non si va via sconfitti da nessuna situazione della vita, che se ci capita qualcosa la causa è da ricercarsi dentro di noi e che finché il mio maestro guidava la Soka Gakkai ci sarei stata anch’io.
Questo problema mi ha fatto soffrire per un anno e mezzo come non avevo mai sofferto prima. Dovevo recitare due ore di Daimoku per potere partecipare a qualunque attività in cui fossero presenti altri responsabili. Stavo bene solo nel mio gruppo, in tutte le altre situazioni associative mi sentivo come un marine in mezzo ai viet-cong. Naturalmente tutte le persone che si sentivano a disagio nell’attività mi parlavano delle loro sofferenze e così, come un nervo scoperto, tutto il mio dolore tornava fuori. Avevo talmente paura di soffrire che, per evitare ogni occasione di discussione “coi responsabili”, me ne stavo con le orecchie basse a fare attività con quelli “del mio gruppo”, una sorta di esilio volontario dietro la lavagna con il cappello da asino in testa. In quel periodo niente mi è stato risparmiato, o almeno io mi sentivo così, quindi tutti coloro che avevano qualcosa da rimproverarmi lo facevano senza tanti riguardi. Inoltre, quando si sparge la voce che avete “problemi con l’organizzazione”, si crea intorno a voi un clima a dir poco spiacevole che vi porta, se già non li avevate prima, ad avere davvero problemi con l’organizzazione.
Fino a quel momento avevo sempre affrontato le difficoltà sentendo tutta la forza della comunità buddista a sostenermi; ora, per la prima volta in vita mia, non solo mi veniva a mancare un elemento così importante, ma quello stesso elemento stava fra me e il Gohonzon.
In quel periodo ho analizzato le cause della mia sofferenza, riconosciuto le mie responsabilità, mi sono data risposte anche convincenti, ma nessuna di queste mi dava ragione di un dolore che era sproporzionato rispetto alle mie spiegazioni e che, soprattutto, non si estingueva mai. Inoltre, il modo totalmente privo di compassione e lontano dai canoni buddisti con cui il tutto era avvenuto mi dava tanti spunti per alimentare il mio vittimismo e un comodo alibi per non guardare dentro di me. Come si suol dire, ero in un vicolo cieco, da cui sono uscita nel settembre del 1999, quando sono venuti a trovarmi da Bologna i miei “vecchi” corresponsabili della Divisione giovani. In quell’occasione tutta la mia sofferenza è uscita tipo eruzione vulcanica e mi sono sentita come un bambino piccolo che prima di ripartire, una volta caduto, ha bisogno di essere preso un po’ in braccio, di essere riconciliato con se stesso. Quella visita per me ha avuto il significato, al di là dei principi buddisti che sono stati espressi, di trasmettermi, attraverso il loro cuore, il valore della mia vita. Il giorno dopo ho recitato per trasformare la causa della mia sofferenza vedendola per la prima volta dentro di me e non nell’organizzazione. È stato un Daimoku faticosissimo, mi sembrava di entrare in un territorio dal quale non sapevo se sarei stata capace di uscire. Recitando così finalmente la mia sofferenza si è sciolta “come brina o rugiada al sole del Sutra del Loto” e ho compreso che la causa della mia sofferenza era l’immagine che io stessa avevo di me fin dall’infanzia e che le parole di quella persona mi avevano ferito così profondamente perché il primo sottoscrittore di quella lista di difetti ero sempre stata io stessa. Per la prima volta in vita mia ho visto che degli aspetti della mia personalità che ritenevo immutabili come il colore degli occhi o la forma delle mani, erano cambiati e ho provato una grande compassione per la mia vita. Grazie a questo percorso sono riuscita a trasformare completamente la non-relazione che fino a quel momento avevo con mio fratello in un rapporto affettivo caloroso e sincero.
Tuttavia, anche se la sofferenza si era trasformata in gioia, ancora non riuscivo a considerare serenamente la persona che aveva dato inizio a questa vicenda. Mi sembrava del tutto priva di compassione e quindi non potevo ascoltare le sue parole né credere che potesse essere d’aiuto agli altri. Senza averne coscienza replicavo con lei lo stesso comportamento che lei aveva avuto con me: la persona è il contenitore della sua tendenza negativa, per colpire la quale si annienta la persona stessa.
Finalmente il giorno di chiusura della mostra sui diritti umani a Forlì, mentre stavo recitando per prepararmi al turno, sono stata assalita da un’ondata di commozione e di gratitudine nei confronti della mia “accusatrice”. Ho percepito chiaramente che, grazie a lei, avevo compiuto un passo veramente significativo nella mia rivoluzione umana e la qualità della mia vita era migliorata in modo decisivo. Questa comprensione è arrivata naturalmente e spontaneamente e ho sentito il bisogno di condividerla con lei, così qualche giorno dopo le ho telefonato per ringraziarla. Adesso per me è sempre un piacere incontrarla e la guardo e ascolto con grande affetto.
Dopo essermi riconciliata con me stessa e con gli altri, ho percepito nella mia vita la possibilità di non identificare una persona con il suo limite e la capacità di ammettere e perdonare gli errori miei e degli altri senza giudicare inesorabilmente tutto e tutti come se fossi il tribunale supremo dell’umanità. In una parola ho raggiunto un livello primitivo di compassione che mai prima d’ora aveva fatto parte della mia sensibilità. Questo debutto, a quasi quarant’anni, nel meraviglioso mondo della compassione, di cui scopro ogni giorno nuovi e straordinari risvolti, è un beneficio che meriterebbe da solo i miei diciassette anni di pratica. Grazie a questa esperienza sto cercando di aiutare anche tutti i “traumatizzati da attività” a superare il trauma, così come io sono stata soccorsa nel momento del bisogno. In questa associazione sono riuscita a cambiare me stessa grazie a chi mi ha rimproverato e grazie a chi è venuto ad aiutarmi, e questo mi riempie di gratitudine e di fiducia nel futuro di ognuno di noi.
Vorrei concludere con una frase tratta dal Gosho Il tamburo alla porta del tuono: «Con il fuoco della saggezza del carattere myo, non solo tutte le colpe svaniranno, ma si trasformeranno in cause di benefici. Questo è il significato di cambiare il veleno in amrita. Per esempio, la lacca nera diventa bianca mescolandovi della polvere bianca: i peccati di una donna sono come la lacca e le parole Nam-myoho-renge-kyo sono come la polvere bianca» (SND, 7, 218).

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