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Il rispetto a due o quattro zampe - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:13

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Il rispetto a due o quattro zampe

Non sarà la legge da poco approvata in Italia in materia di diritti degli animali a dare la certezza che essi godano del rispetto che si meritano, ma è un passo importante. Il Buddismo insegna che non è mai troppo tardi per imparare a nutrire rispetto per ogni forma di vita. Basta desiderarlo

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Non sarà la legge da poco approvata in Italia in materia di diritti degli animali a dare la certezza che essi godano del rispetto che si meritano, ma è un passo importante. Il Buddismo insegna che non è mai troppo tardi per imparare a nutrire rispetto per ogni forma di vita. Basta desiderarlo

Stefania Lazzarelli e Laura Convalle di Quarrata (Pistoia), amanti degli animali e paladine dei loro diritti, quando chiesero al Nuovo Rinascimento di trattare questo argomento, non si sarebbero aspettate di vedere nell’arco di pochi mesi l’approvazione di una legge che difende e tutela gli animali in Italia e l’inserimento nella futura Costituzione europea di un articolo che prende in considerazione gli animali come “esseri senzienti”.
Avete letto bene. Dopo la Germania, la prima nazione al mondo ad aver introdotto nella propria Costituzione il concetto della protezione degli animali, una decisione votata a grande maggioranza che riconosce loro la capacità di soffrire e il diritto a essere tutelati dallo Stato, anche l’Italia si è mossa. Chi non vede di buon occhio la nuova legge italiana, la accusa di garantire quasi esclusivamente i diritti dei nostri Gordon, Tobia, Zara, Baffo e Mindi, mentre gli storni o i fringuelli continueranno a rischiare di cadere a migliaia per le doppiette o le galline continueranno a credere che la vita sia solo fare uova sotto un sole che non si spegne mai. Ma anche se questa legge che prevede, in sintesi, la tutela degli animali dall’abbandono, dai maltrattamenti e dallo sfruttamento come oggetti da combattimento, scontenta buona parte delle associazioni che lavorano a favore dei diritti degli animali, è stata salutata da tutti come un primo passo significativo. Se le leggi sono espressione dello spirito di un popolo, il fatto che il maltrattamento e l’abbandono degli animali, fino a ieri puniti con multe risibili, spesso neanche applicate, siano oggi puniti con sanzioni economiche pesanti e con il carcere, è un segnale significativo. Di qualcosa che, seppur lentamente, sta cambiando.
Eppure, nel III secolo a.C. visse un re che aveva già concretizzato la sua compassione per tutte le creature viventi costruendo ospedali anche per gli animali ed erigendo colonne per diffondere il messaggio dei propri editti che inneggiavano alla fratellanza e al rispetto per ogni forma di vita. Era Ashoka, conosciuto prima come Ashoka il Malvagio per la sua crudeltà, e in seguito, dopo essersi convertito profondamente agli insegnamenti buddisti, come Ashoka il Grande, per le qualità che fecero del suo regno un luogo pacifico e in armonia. Oltre all’ideale di tolleranza religiosa, rispettò ogni forma di vita e contrastò ogni forma di violenza sia verso gli uomini che verso gli animali. Negli Editti su pilastro, testimoni della sua filosofia, afferma di aver garantito «il diritto di esistenza a diverse creature viventi, a due zampe come a quattro, agli uccelli come agli animali acquatici». E nel Quarto Editto su roccia: «Dieci anni dopo la mia incoronazione, io, l’Amato dagli dèi, cominciai a predicare il Dharma al mio popolo. Da allora, ho operato per sostenere e diffondere il Dharma fra la gente. In questo modo, tutte le creature, in tutte le regioni hanno trovato felicità e benessere. Come re, io mi sono sforzato di impedire ogni violenza alle creature viventi e ho eliminato più cacciatori, pescatori e riserve di caccia di quanto abbia mai fatto ogni altro sovrano. Se qualcuno, per intemperanza, ha tolto la vita a una creatura vivente, ora ha, per quanto ne è capace, abbandonato tali intemperanze» (da DuemilaUno, n. 30, 42-47).
Ci sono voluti due millenni affinché il cuore dell’Europa cominciasse a battere per dei simili principi. Nel mese di luglio è stato inserito un articolo nel testo della Costituzione Europea in cui si riconoscono gli animali come “esseri senzienti”. Può sembrare uno scarso risultato se comparato al rispetto profondo dimostrato dal re Ashoka durante il suo regno, ma un obiettivo enorme per la situazione mondiale odierna.
Un recente articolo del Boston Review denuncia la prossima fine di molte migliaia di specie di piante e di animali, distrutte dall’azione invasiva degli esseri umani che potrebbe portare entro cento anni alla scomparsa della metà delle specie viventi. Orsi polari che rivelano un’altissima quantità di concentrazione di Pcb (bifenili policlorurati), una miscela di sostanze chimiche oggi proibita ma ancora presente in prodotti di vecchia fabbricazione; animali acquatici con sistemi endocrini distrutti dalle quantità biologicamente attive di farmaci comuni che si riversano nelle nostre acque di scarico; tigri in stato di libertà in numero inferiore a quelle che si aggirano nei parchi privati statunitensi (7000 tigri libere contre le 10000 in cattività). E se sviluppo, consumo delle risorse, inquinamento e specie aliene possono essere tenuti in qualche modo “sotto controllo” da rigide programmazioni, l’intreccio fra questi elementi e il cambiamento climatico e la globalizzazione economica, ovvero lo sfruttamento ancora più sfrenato del pianeta, produrranno risultati ben peggiori di quelli finora immaginati.
Tornando alla Costituzione Europea, introduce un importante impegno formale nel rispetto verso gli animali. L’articolo III-5 bis recita infatti: «Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e dello sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale».
Forse gli Indiani d’America non capirebbero tutta la sorpresa di noi occidentali di fronte a queste novità legislative e costituzionali. Si racconta che quando un gruppo di loro si recò in visita alla sede delle Nazioni Unite per osservare come fossero rappresentati i singoli stati, volle sapere chi avrebbe rappresentanto gli animali. Una domanda che può sorgere solo a chi non pone distinzioni fra esseri viventi a due o quattro zampe, fra piante o ruscelli, perché tutti sono parte dello stesso ecosistema. A chi non crede che avere la capacità di tenere in mano una penna, sapersi infilare un paio di stivali o progettare sofisticati programmi per computer siano delle buone ragioni per decidere del destino dell’altra fetta che respira, ma che non possiede queste abilità. In fondo, il rispetto sacro di fronte alle varie manifestazioni della Vita nasce dal riconoscere ciò che avvicina, non quello che divide. Non opera per separazioni, ma per accostamenti. Daisaku Ikeda, presidente della SGI, chiedendosi quali siano i valori che possono servire a unire fra loro le persone comuni, scrive che «quello fondamentale è il rispetto per la vita, che può risvegliare le persone al legame con tutti gli esseri viventi e al senso di continuità con le future generazioni. Tali valori fanno parte delle tradizioni culturali fin dai tempi più antichi, sono stati trasmessi e sono ancora presenti presso molte culture indigene. L’umanità dovrebbe umilmente attingere a questa saggezza vivente. I Desana dell’Amazzonia, ad esempio, dicono che gli esseri umani non possono vivere isolati ma la loro prosperità dipende da una coesistenza armoniosa con il loro ambiente. Gli Irochesi del Nord America ci esortano a prendere decisioni tenendo in considerazione “non solo il presente ma anche le future generazioni, persino quelle il cui viso non ha visto la terra perché ancora non nate”. Da questo punto di vista, tutti gli animali e le piante sono considerati nostri simili» (“Educare a un futuro sostenibile”, Buddismo e Società, 94, 10).
E anche gli scritti di Nichiren Daishoninn sono pieni di esempi ispirati al comportamento animale e alla natura. In Lettera ad Akimoto (SND, 9, 107) ad esempio Nichiren non esita a paragonarsi a un serpente che non può comprendere la mente di un drago o alle cornacchie che possono predire la fortuna e la sfortuna del mondo. Così come in Lettera da Sado utilizza il comportamento di buoi e cavalli per parlare dell’attaccamento degli esseri umani alla vita o pesci e uccelli che nonostante cerchino di sfuggire alla cattura, si fanno ingannare dalle esche e dalle reti degli uomini (SND, 4, 73-74). O come quando per parlare della gratitudine, usa il paragone con «la vecchia volpe [che] non dimentica la collinetta in cui è nata, e la tartaruga bianca [che] ripagò il favore ricevuto da Mao Pao. Persino gli animali conoscono la gratitudine, a maggior ragione dovrebbero conoscerla gli esseri umani» (Ripagare i debiti di gratitudine, SND, 2, 115).
«Questo rispetto per la vita – prosegue Ikeda nello stesso testo – è messo in rilievo anche in molte religioni. In uno scritto della tradizione buddista, sulla quale si fondano le attività della SGI, si dice: “Che tutti gli esseri, quelli visibili e quelli che non possono ancora essere visti, quelli che sono nati e quelli che desiderano ancora nascere, possano tutti godere della felicità!”. Queste parole appartengono a una filosofia secondo la quale tutta la vita è interconnessa, si sostiene mutuamente, in una relazione definita dal Buddismo come “origine dipendente”. Il punto chiave qui è comprendere che il desiderio di felicità è al centro della nostra interconnessione. Per questo motivo gli insegnamenti buddisti danno particolare risalto al nostro ruolo di protagonisti di un cambiamento positivo. Pur riconoscendo l’influenza dell’ambiente su di noi, si focalizza l’attenzione sul nostro impegno cosciente e attivo nei confronti dell’ambiente e delle altre forme di vita. La potente volontà che promuove il processo di cambiamento trae origine dall’interesse e dalla compassione che siamo capaci di provare per gli altri. Attraverso il dialogo e l’impegno facciamo emergere in noi e nelle vite altrui un profondo senso di determinazione e gioia, iniziando così un processo di cambiamento fondamentale che risveglia un senso di identità più ampio – il nostro “grande io”».
Chi guarda il mondo vedendo intorno a sé non solo semplici fili d’erba, gabbiani, insetti o particelle di polvere ma altre forme di vita, da rispettare in un’ottica buddista simbiotica ed eterna, può provare quell’interesse e quella compassione di cui parla Ikeda che spingono a contribuire attivamente affinché sia garantito il rispetto di ogni forma di vita. Non esiste un prima e un dopo, un io e un altro separato da me, secondo la teoria buddista. Esistono invece tanti intrecci di esistenze che si sostengono vicendevolmente. Insieme a questa consapevolezza emerge quel “grande io” di cui spesso parla Ikeda che dissolve i confini del nostro essere in un abbraccio con il resto del mondo.
Di fronte al brigante Angulimala, così feroce e sanguinario da ornarsi il collo con le collane di dita degli uomini uccisi, il Budda Shakyamuni disse: «Angulimala, io mi sono fermato dal commettere azioni che causano sofferenza agli altri esseri già da molto tempo. Ho imparato a proteggere la vita, non solo degli uomini, ma di tutti gli esseri viventi. Angulimala, tutto ciò che vive vuole vivere. Tutti temono la morte. Per questo dobbiamo nutrire un cuore compassionevole e proteggere le vite altrui».
Da quelle di Tobia e di Zara, animali che meritano la nostra gratitudine per quello che ci donano, a quelle dei coralli dei Caraibi che rischiano l’estinzione a causa dell’inquinamento che produciamo. Se qualcuno deve aprire i propri orizzonti e scoprire cosa vuol dire rispettare profondamente ogni forma di vita, questi siamo senz’altro noi umani.

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