Mi sono buttata a capofitto fra le braccia di questo Buddismo diciassette anni fa, a quarantacinque anni, quando finì il mio matrimonio e io mi ritrovai improvvisamente sbattuta nel turbine della vita, senza un posto dove stare né i mezzi per vivere. Dodici anni più tardi, grazie a una forte pratica e a tanti incoraggiamenti le mie circostanze erano immensamente migliorate e scelsi di trasferirmi da Londra nel Suffolk, nell’ambito dei miei progetti per garantirmi la tranquillità economica nella vecchiaia. Vendetti la casa e un’altra proprietà che avevo ereditato da mia madre e ciò mi permise di comprarmi una nuova casa senza mutuo e un po’ di azioni. Allora mi parve la cosa migliore da fare, mi rimanevano ancora un po’ di soldi in banca e in più avevo un lavoro ben pagato come costumista televisiva.
«Che bello! – pensavo – Ringraziando il Gohonzon mi sono sistemata» e mi congratulavo con me stessa per la lungimiranza nell’essermi costruita un futuro così solido. Ma era davvero così? Improvvisamente le cose cominciarono ad andar male, molto male. Senza alcun preavviso, il lavorò scarseggiò fino a esaurirsi e io dovetti contare solo sui miei risparmi: questo non era contemplato dal mio progetto perfetto… E coincise anche con un persistente calo nel mercato azionario. I miei investimenti si volatilizzarono. Almeno ero riuscita a vendere molto bene la mia casa, a estinguere un fido bancario e a comprarmi un’altra deliziosa casetta.
Ma venne il 2001 e le cose si misero ancora peggio. Nonostante grandi vittorie in altri settori, la mia situazione finanziaria aveva imboccato una spirale discendente e a sessant’anni fui costretta a mettere un’ipoteca sulla casa. Continuavo a svolgere più attività buddista che potevo e a sfruttare ogni possibile conoscenza per trovare lavoro nel mio campo, oltre a cercare anche un impiego nel posto in cui vivevo. Ma non si muoveva nulla.
Il 2002 fu ancora più difficile. Quando leggevo le esperienze di altri membri che avevano risolto problemi finanziari andavo su tutte le furie e, piena di fustrazione, urlavo al Gohonzon: «Eppure anch’io ho fatto tutte queste cose!». Andai a chiedere un consiglio nella fede e mi citarono esempi di membri che si erano trovati con le spalle al muro prima di riuscire a trasformare un problema proprio all’ultimo istante.. Non era affatto quello che volevo sentirmi dire! Mi incoraggiarono a recitare per liberarmi da tutti i dubbi che nutrivo sul fatto che sarei riuscita a superare quella situazione, con un paragone: bisogna spremer fuori il nostro dubbio così come si espellono gli ultimi residui di dentifricio da un tubetto prima di iniziarne uno nuovo. Cominciai immediatamente a fare così e cercai di svuotare completamente il mio tubetto di dentifricio immaginandomi persino di aprirlo e di saltarci sopra, ma non riuscivo a essere convinta fino in fondo.
A febbraio 2003 dissi che ero pronta a fare qualsiasi cosa ma, mentre tornavo a casa da un colloquio per un lavoro di cucito per il quale mi avrebbero pagato appena due sterline l’ora (poco più di due euro) sentii di aver davvero toccato il fondo. Ero troppo avvilita persino per piangere. Non era possibile che mi stesse accadendo questo! Di certo doveva rivelarsi il catalizzatore per un’azione più determinata.
Giunta a casa, scrissi un’e-mail veramente piagnucolosa a un mio responsabile in cui mi lamentavo che nulla era cambiato nonostante la mia totale determinazione di raggiungere la vittoria totale della mia vita. E chiedevo com’era possibile che mi succedesse questo dopo diciassette anni di dedizione alla pratica. Mi fu suggerito di provare a recitare per dar prova di vittoria completa come discepola del presidente Ikeda.
Beh, quella frase colpì veramente nel segno! Anche se conoscevo il principio di inseparabilità di maestro e discepolo non lo avevo mai preso specificamente in considerazione. Dopo aver recitato così, accadde qualcosa di meraviglioso: mi sentii più “grande” e cominciai a compiere ogni azione quotidiana con questa consapevolezza. Nei negozi del quartiere, mentre mettevo benzina nella macchina, per andare alle riunioni, in tutto ciò che facevo, ero discepola del presidente Ikeda. Mi sentii proprio come dice Nichiren nella lettera che scrisse a uno dei suoi discepoli che «un forte vento fa gonfiare il gura» (4, 154). Mi gonfiai interiormente di fierezza e di gioia e sentii che recitando così avrei potuto espellere quegli ultimi resti che facevano capolino dal foro del mio tubetto di dentifricio; che avrei dimostrato il potere di questa pratica; avrei abbandonato il mio piccolo io per rivelare il mio grande io, la mia Buddità; che semplicemente dovevo vincere.
Nonostante le mie difficili condizioni finanziarie, continuai a svolgere volontariato presso la sede della SGI-UK a Taplow Court e a sostenere la nostra organizzazione. Un giorno mentre ero là a recitare i miei occhi vagavano e incontrai la fotografia del primo presidente della Soka Gakkai Tsunesaburo Makiguchi che sembrava guardarmi severamente. E fui colpita da questa acuta consapevolezza: «Makiguchi è morto in carcere perché era convinto che io dovessi avere la possibilità di praticare questo Buddismo. Non posso deluderlo!»
Immediatamente rinnovai la promessa che gli avevo fatto nel lontano passato, che avremmo propagato questo Buddismo insieme in questa epoca. Da allora ogni mattina e ogni sera rinnovavo questo voto al signor Makiguchi, al secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda e al presidente della SGI Ikeda, promettendo che non li avrei traditi.
Mia figlia pratica. Mio figlio no. Egli ci sostiene e a volte ci ha chiesto di recitare per lui ma è piuttosto scettico. In quel periodo doveva traslocare, momento molto stressante per chiunque, e io recitavo intensamente perché la mia situazione finanziaria migliorasse in modo da dimostrargli che con questa pratica era possibile superare qualsiasi situazione. Beh, il beneficio arrivò, ma fu per lui! Nel giro di sei settimane riuscì a vendere, comprare e trasferirsi in una casa che definisce “al di là dei miei sogni più folli”; sta avendo un grande successo con la ditta che ha fondato, e suo figlio è stato ammesso nella scuola che desiderava.
Ma per me le cose non andavano affatto meglio. Una volta dovetti persino decidere se mettere benzina nella macchina o comprare un po’ di verdura dall’ortolano. Quando chiesi un sussidio mi offrirono sedici pence. Quando rifiutai a favore della possibilità di guadagnare di più mi tolsero del tutto la pensione per quattro mesi e finché la faccenda non fu sistemata, rimasi priva di qualsiasi forma di entrata. Trovai un lavoro vicino a casa e poi lo persi in circostanze veramente dolorose. Mi toccò vendere il mio tavolo fratino di quercia del Seicento per riuscire ad andare avanti. Proprio quel giorno lessi in uno scritto del presidente Ikeda quello che avevo bisogno di sentirmi dire: «Tutti abbiamo il nostro karma o destino. Ma, quando lo guardiamo dritto in faccia e ne cogliamo il vero significato, allora ogni avversità può aiutarci a condurre una vita più ricca e profonda. E le azioni che compiamo per combattere il nostro destino diventano un esempio e una fonte d’ispirazione per innumerevoli altre persone. Quando cambiamo il nostro karma in missione trasformiamo il ruolo che svolge il nostro destino, da negativo a positivo. Chiunque cambia il proprio karma in missione è una persona che ha “volontariamente assunto il karma appropriato”. Perciò chi continua ad avanzare considerando qualsiasi cosa come parte della propria missione, sta procedendo verso la trasformazione del proprio destino» (Il mondo del Gosho, in Il Nuovo Rinascimento, n. 305, pag. 21).
Ecco qual era il punto. Che sollievo! Stavo procedendo verso la trasformazione del mio destino. Era la strada che avevo scelto e dunque ci sarei senz’altro riuscita. A questo punto un responsabile mi suggerì che guardassi in faccia la mia paura di non avere soldi e quando lo feci cominciai a riflettere sulla mia vita. Cominciai a capire che la mia paura di non avere soldi sorgeva da una sensazione di profondo imbarazzo all’idea di averne. Sentivo che non li meritavo. Sin dall’infanzia avevo sempre anteposto le esigenze degli altri alle mie, facendomi coraggio e nascondendo sempre il mio dolore o le mie delusioni; dicevo sempre che andava bene così, che non importava e continuavo ad andare avanti e a far funzionare le cose. E da adulta continuai a comportarmi secondo questo schema. Ma invece “mi importava eccome!”. Così, nonostante avessi avuto grandi opportunità, siccome non avevo mai chiesto aiuto o sostegno per realizzare quello che avrei voluto non ero mai riuscita a concretizzare le mie reali potenzialità. Poiché ero riuscita con successo a piantare il seme di “non meritare mai il meglio”, stavo mietendo un copioso raccolto di “mancanza di riconoscimento del mio valore”.
Fino a quando non avessi superato questo grosso limite, non sarei stata in grado di mettere in pratica questo importante consiglio del presidente Ikeda: «È la parte finale della nostra vita che ne determina il risultato complessivo. In particolare il periodo dai sessant’anni in poi sono il tempo delle “messi dorate”. La nostra copiosa esperienza ci consente di creare dieci anni di storia in un solo anno. Se risplendiamo fino alla fine come un bel tramonto scarlatto, dedicandoci con passione a kosen-rufu e al benessere dei nostri compagni di fede, possiamo costruire un io dotato di eterna fortuna e benefici».
Non ci sono parole per descrivere il cambiamento che adesso sento dentro di me e anche la mia situazione esterna, naturalmente, ha cominciato a cambiare. Un settore del mio lavoro che avevo sviluppato per anni sta cominciando a prender piede e adesso ho un bellissimo sito internet a esso dedicato. Sto facendo dei cuscini decorati di perline che si vendono molto bene e ho intensione di espandere quest’attività commerciale. La scorsa estate mi hanno offerto di seguire un progetto a Londra per otto settimane, con tutte le spese pagate ed è stata un’esperienza favolosa. Inoltre mio figlio mi ha chiesto di occuparmi della segreteria della sua ditta e così adesso, all’età di sessantadue anni, ho molte carriere aperte davanti a me. E questo è solo l’inizio!
Ma il successo più grande è stato quando ho ringraziato mio figlio per il primo stipendio ricevuto da parte della sua azienda e gli ho detto quanto ero orgogliosa di lui, congratulandomi per ciò che aveva realizzato. E lui ha guardato questa discepola del presidente Ikeda dritta negli occhi e ha detto con semplicità. «No, tu lo hai fatto».
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