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Il paese sotto le nuvole - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:11

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Il paese sotto le nuvole

«La nazione svizzera ebbe origine da una promessa suggellata su un prato in fiore», scrive Daisaku Ikeda. La promessa, che il popolo svizzero ha mantenuto nei secoli, di preservare a ogni costo la propria libertà, identità e autonomia

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«La nazione svizzera ebbe origine da una promessa suggellata su un prato in fiore», scrive Daisaku Ikeda. La promessa, che il popolo svizzero ha mantenuto nei secoli, di preservare a ogni costo la propria libertà, identità e autonomia

Si dice che il presidente della Svizzera vada a lavorare in treno, proprio come un qualsiasi lavoratore, e che i membri del parlamento vivano in comuni appartamenti. Gli svizzeri credono fortemente nell’eguaglianza. Come è nato un tale paese?
Le montagne offrivano un magnifico scenario. Un’imponente meraviglia si materializzò davanti ai miei occhi. Era come se stessi guardando un mare in tempesta, le cui onde toccavano il cielo, gonfiandosi, rompendosi e allungandosi in un eterno movimento: queste erano le Alpi, un capolavoro di scultura fatto di pietra e ghiaccio, creato dalla Terra più di duecento milioni di anni fa. Mentre guardavo i picchi slanciati dal mio aereo, durante il mio viaggio dalla Germania verso l’Italia una decina di anni fa, mi sembravano il simbolo perfetto dell’indomabile unità di un popolo dignitoso e nobile. «Sotto queste nuvole vivono i nostri membri» pensai, mentre offrivo un saluto silenzioso agli amici della Svizzera, la terra delle Alpi.
Ho visitato questo paese sei volte. Ho camminato per le strade innevate di Ginevra durante l’inverno e ho parlato con i miei amici mentre passeggiavamo lungo le rive del lago di Zurigo alla fine dell’autunno. In una di queste occasioni chiesi quali fossero le caratteristiche del popolo svizzero e, fra i molti tratti menzionati, emersero un profondo rispetto per l’individuo, un’avversione per la discriminazione e la critica e un forte impegno per i diritti umani.
Gli svizzeri affermano che attualmente non esistono discriminazioni nei confronti dei lavoratori stranieri che arrivano da altri paesi europei. Essi credono che tutti i popoli meritino di essere trattati con eguale considerazione e rispetto. Alcuni membri della SGI svizzera per esempio, hanno adottato bambini provenienti dalla Thailandia e dal Brasile e li hanno educati a credere che il valore della vita trascenda ogni frontiera e che i bambini in ogni parte del mondo abbiano intrinsecamente diritto alla felicità.
Durante un mio viaggio nel 1989, ricevetti in regalo dai membri una statua di legno rappresentante Guglielmo Tell, il leggendario eroe nazionale, a cui fu ordinato dal suo signore di colpire con una freccia una mela piazzata sulla testa di suo figlio. Essendo un tiratore provetto, Tell riuscì nell’impresa e in seguito capeggiò la ribellione che pose fine al potere del tiranno. Questo despota arrogante odiava Tell perché era un uomo giusto e onesto che rifiutava di accattivarsi il potere con la lusinga. D’altra parte Tell non riusciva a rimanere impassibile di fronte alle altrui difficoltà, ma reagiva prontamente facendosene carico. Per il suo spirito così sincero e retto è stato considerato il progenitore del popolo svizzero.
Due secoli sono passati dalla prima (il 17 marzo del 1804) del Guglielmo Tell, opera teatrale del grande drammaturgo tedesco Friedrich von Schiller (1759-1805). Durante un dialogo, il figlio di Tell chiede a suo padre come mai non lasciassero le povere montagne della Svizzera per andare a vivere nelle ricche pianure più a sud. Tell risponde che quelle terre avrebbero potuto anche essere ricche ma la gente che ci vive non è libera, perché è oppressa e sfruttata da tiranni corrotti e da un clero dispotico. A quel punto, il figlio dice: «In quel grande paese mi sentirei circondato, preferirei vivere vicino alle valanghe». Il padre risponde: «Vedi, figlio mio, è meglio avere i ghiacciai alle proprie spalle, piuttosto che una moltitudine di uomini malvagi». Le parole di Guglielmo Tell riflettono lo spirito che sta alla base della nascita della nazione svizzera. Nel 1291, in opposizione al potere repressivo degli Asburgo, i rappresentanti delle tre regioni corrispondenti all’odierna Svizzera centrale, si riunirono in un campo a Rütli sopra il lago Vierwaldstätter e formarono una lega in difesa della loro libertà. Credendo fermamente nel diritto di organizzarsi autonomamente e preservare la propria identità e i propri usi e costumi, essi rifiutarono di farsi dominare da un altro stato. La nazione svizzera ebbe origine da quella promessa suggellata su un prato in fiore e via via che cresceva il sostegno nei confronti della lega divenne infine una vera e propria confederazione di varie comunità unite da un patto di alleanza. È stupefacente che gli svizzeri siano riusciti a rimanere fedeli a quella promessa per oltre sette secoli.
Quando la Svizzera si trovò di fronte alla minaccia di un’invasione nazista durante la seconda guerra mondiale, i leader della nazione si riunirono ancora a Rütli, dove rinnovarono la promessa di proteggere la propria libertà a costo della vita, come nel verso dell’opera di Schiller: «Noi saremo liberi come lo furono i nostri padri. Cediamo alla morte ma non alla schiavitù». Sulla base di questo credo, gli svizzeri non sono mai stati soggiogati da una dittatura, né dentro né fuori dai propri confini.
Le promesse formano il carattere e nobilitano la vita. Quando si promette con tutto il cuore di realizzare qualcosa, si diventa di nuovo giovani, per cui l’età non è un limite all’intraprendere nuove imprese.
Johanna Spyri (1827-1901), autrice di Heidi, visse a Zurigo. Pubblicò il suo primo romanzo all’età di quarantaquattro anni, e scrisse Heidi quando ne aveva cinquantatré. Durante la tragica perdita del marito e del suo unico figlio, avvenute a poca distanza l’uno dall’altro, ella continuò a scrivere, diventando così fonte d’incoraggiamento per molti.
Dopo aver assistito al crudele spargimento di sangue delle guerre d’indipendenza italiane, un altro cittadino svizzero, Jean Henri Dunant (1828-1910), decise di fondare un’organizzazione internazionale di soccorso che non appartenesse ad alcuno schieramento. Anche se allora fu deriso per il suo idealismo, il sogno di Dunant è oggi diventato la Croce Rossa Internazionale.
Una delle più influenti figure della pedagogia moderna, Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), era svizzero. Egli asseriva che non c’era differenza qualitativa fra un povero che vive in una capanna e un re nel suo palazzo; credeva che fosse l’educazione a fare l’uomo e dedicò tutta la vita a dimostrare la validità delle proprie idee. Pestalozzi subì ripetuti fallimenti; la gente lo derise e lo rimproverò di essere un sognatore privo di senso pratico. Non raggiunse mai il successo materiale, né fece mai carriera e all’età di cinquantaquattro anni era ancora un comune insegnante che doveva sottostare a superiori più giovani di lui ma, nonostante tutto, non abbandonò le sue convinzioni né scese mai a compromessi. Fu un padre e una madre per gli orfani, prendendosi cura di loro in ogni momento della sua giornata, andando sempre a letto per ultimo e alzandosi sempre per primo, condividendone dolori e gioie, fedele al pensiero che educazione significa principalmente amore. Quando gli chiesero di occuparsi dei bambini che avevano perso i genitori in guerra, li prese sotto la sua protezione, pur sapendo che la sua unica ricompensa sarebbe stata una serie interminabile di difficoltà. Sarebbe andato anche in vetta alle Alpi – disse – se ce ne fosse stato bisogno, pronto a qualsiasi sacrificio.
Quando teniamo fede alle nostre promesse, raggiungiamo la felicità. Un alpinista scrisse, a proposito della gioia di scalare il versante nord del monte Eiger, nelle Alpi svizzere: «Ma alla fine la lotta era finita e ci siamo guardati l’un l’altro con emozione […] Perché siamo così felici dopo una scalata così dura?». Gli scalatori non amano il pericolo, essi amano la difficoltà e la sfida. Amare la sfida significa amare la vita. Significa desiderare di vivere appieno la vita, sfidare i propri limiti fisici e spirituali. Per questo scalatore, una vetta alpina soddisfaceva quest’ardente passione per la vita.
Aspiriamo dunque anche noi a vette ancora più alte, salendo verso la cima passo dopo passo. Nell’ardua lotta che questa scalata comporta si assapora la più sublime essenza della vita.
È come se le Alpi ci dicessero: «Amico mio, con quale determinazione stai vivendo la tua vita? Quale promessa realizzerai quest’anno?».

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Daisaku Ikeda incontra la Svizzera

16-18 ottobre 1961 Durante il suo primo viaggio in Europa, il presidente Ikeda, proveniente dalla Spagna si reca a Ginevra e a Zurigo passando dalla Spagna. Incontra Sakiko Bullo, uno dei pionieri svizzeri.
18-19 gennaio 1963 Ikeda visita Ginevra dove incoraggia i membri a preparare gli esami di studio e partecipa ad una riunione di discussione.
12-14 ottobre 1964 Ikeda si reca a Zurigo dopo aver visitato Cecoslovacchia e Ungheria, durante il suo primo viaggio nei paesi del blocco sovietico.
25-27 maggio 1967 Ikeda ritorna a Zurigo.
9-12 giugno 1983 A Zurigo, Ikeda incontra Anthony Curnow, direttore del servizio informazioni dell’ONU a Ginevra. Partecipa inoltre alla prima riunione generale della Soka Gakkai svizzera.
15-18 giugno 1989 A Ginevra, Ikeda incontra l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Jean-Pierre Hocké che gli conferisce un riconoscimento per il suo impegno umanitario. Partecipa inoltre alla seconda riunione generale della Soka Gakkai svizzera.

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