24. Il Daishonin ammonisce il governo ad abbandonare le religioni errate per evitare le calamità della lotta intestina e dell’invasione straniera
SAITO: Questa serie viene letta in diversi paesi del mondo, dove sta suscitando una risposta positiva. Alcuni ad esempio hanno affermato che questi dialoghi gli hanno trasmesso la profonda convinzione che il Buddismo di Nichiren Daishonin è una religione che ci dà il potere di cambiare la realtà.
MORINAKA: Altre persone hanno dichiarato che questa serie le ha aiutate a comprendere più profondamente il Buddismo del Daishonin e l’importanza di kosen-rufu, a rafforzare la fede nel Gohonzon come elemento essenziale dell’umanesimo buddista, a trovare il coraggio per affrontare ogni situazione, a superare il senso di impotenza e così via.
IKEDA: Spero che nel ventunesimo secolo la filosofia del Daishonin verrà largamente compresa e studiata in tutto il mondo. Sono convinto che una trasmissione corretta dell’essenza del Buddismo di Nichiren recherà un enorme beneficio all’umanità e a questo proposito vorrei ringraziare coloro che si occupano di tradurre questa serie nelle diverse lingue.
SAITO: Attualmente un senso di impotenza e di rassegnazione si sta propagando sempre di più in tutto il pianeta; c’è una diffusa sensazione che qualsiasi sforzo singolo non sortirebbe alcun risultato. Credo che la filosofia della rivoluzione umana presente nel Buddismo di Nichiren potrebbe infondere maggior speranza, in quanto spiega che ogni cambiamento comincia col cambiare se stessi.
MORINAKA: Generalmente le persone pensano al Buddismo come a una filosofia basata sull’autoriflessione che insegna la pace interiore, o persino come una religione che sostiene la fuga dalla realtà. In molti casi il semplice spiegare che il Buddismo è una potente dottrina per trasformare la realtà cambia completamente la comprensione che ne hanno le persone.
IKEDA: Shakyamuni e Nichiren Daishonin nutrivano l’autentico desiderio di condurre tutti all’Illuminazione e vi dedicarono la loro vita battendosi incessantemente contro la natura demoniaca che ostacola la felicità delle persone. Questo è il comportamento di un Budda. Per assicurare la felicità bisogna lottare e la fede è il miglior carburante per questa lotta.
SAITO: È vero per tutti gli aspetti della vita.
IKEDA: Sì, tutti sperimentano difficoltà nella vita. Tutti incontriamo montagne e vallate, strade ripide e traverse. Per condurre una vita significativa in questa realtà ci occorre la fede, la sorgente di forza che ci permette di affrontare direttamente dolori e difficoltà. La cosa importante è continuare a sfidarsi sempre, continuare ad andare avanti.
Il profondo principio dei tremila regni in un singolo istante di vita in ultima analisi consiste in una fede basata sulla decisione di agire in prima persona e diventare il punto di partenza di qualsiasi cambiamento. Se perdete questo spirito di lottare e sfidarvi continuamente non state praticando la dottrina del Daishonin. Questo significa il brano del Sutra del Loto: «Io non ho tralasciato l’opera del Budda nemmeno per un solo istante» (SDL, 16, 298). Se non ci sforziamo concretamente di trasformare la realtà niente cambierà; il principio della “vera entità di tutti i fenomeni”[ref]L’espressione “vera entità di tutti i fenomeni” compare nel secondo capitolo del Sutra del Loto Espedienti. Questo principio insegna che “tutti i fenomeni” cioè tutti gli esseri viventi e i loro ambienti nei dieci mondi, sono manifestazioni della “vera entità”, cioè della Legge mistica, la verità o realtà fondamentale.[/ref] [cioè essere in grado di trasformare il nostro ambiente grazie a un cambiamento della nostra condizione interiore] rimarrà soltanto una teoria vuota.
Perciò il Daishonin ha lottato tutta la vita per realizzare lo scopo di “adottare la dottrina corretta per la pace del paese”. Questo principio e la sua attuazione pratica sono l’espressione concreta della filosofia del Daishonin per la trasformazione della realtà.
SAITO: Subito dopo il ritorno a Kamakura dopo il condono dell’esilio a Sado, il Daishonin fece accese rimostranze ai governanti del paese.
MORINAKA: Egli descrive il suo trionfante ritorno a Kamakura (vedi SND, 4, 61). Per quanto venisse perseguitato il suo spirito non vacillò mai: «Poiché io ho esposto questo insegnamento sono stato esiliato e quasi ucciso. Come dice il proverbio: “Un buon consiglio è sgradevole all’orecchio”. Eppure non sono ancora scoraggiato» (SND, 4, 101).
IKEDA: Nessuna repressione da parte del governo poteva spezzare la sua convinzione che risuona nelle parole: «Eppure non sono ancora scoraggiato». Subito dopo afferma: «Il Sutra del Loto è il seme, il Budda il seminatore e la gente il campo» (Ibidem). Per tutta la vita il Daishonin continuò a piantare semi di felicità e di pace nel cuore delle persone. Dall’annuncio della fondazione della sua dottrina, durante gli esili e persino dopo il ritiro a Minobu, lo spirito combattivo del Daishonin non vacillò nemmeno per un istante.
SAITO: In tal senso il ritiro a Minobu non significava certo “andare in pensione”. E non era neppure una ricerca d’isolamento o solitudine.
IKEDA: Questo è un punto importante e vorrei riprenderlo in un’altra occasione. Ora vediamo com’era la situazione subito dopo il condono del Daishonin.
SAITO: Il documento ufficiale con cui al Daishonin veniva condonato l’esilio arrivò a Sado nel marzo 1274. È ipotizzabile che ci fosse un legame con la crisi di governo dovuta al timore dell’incombente invasione mongola.
MORINAKA: Durante l’esilio del Daishonin a Sado la minaccia dell’invasione mongola crebbe. Nel maggio 1272, un nativo del regno coreano del Koguryo, con funzioni di emissario dell’inviato mongolo Chao Liang-pi, giunse in Giappone. Ma il Giappone non rispose al messaggio inviato dai sovrani mongoli. Nel marzo dell’anno seguente Chao Liang-pi venne personalmente al Dazaifu, sede del governo regionale di tutto il Kyushu [e da tempo centro commerciale e diplomatico per i rapporti del Giappone con la Cina e la Corea], ma i funzionari giapponesi, privi di qualsiasi strategia per rispondere all’impero mongolo, rifiutarono di condurlo a Kyoto, la capitale, e lo costrinsero a ripartire senza alcuna possibilità di dialogo.
SAITO: In questa situazione di tensione, la notte del 24 ottobre 1272, il Daishonin aveva sognato l’invasione mongola e aveva annotato il sogno sul retro di una copia del Rissho ankoku ron, che era stata trascritta da Nikko Shonin e che aveva con sé in quel momento[ref]Questo breve appunto è chiamato Musho Gosho (Gosho del sogno), in Showa Teihon Nichiren Shonin Ibun, p.660.[/ref].
IKEDA: Il sogno ci dà un’indicazione di quanto fosse onestamente e profondamente preoccupato di una possibile invasione mongola. Pare che anche mentre era a Sado cercasse in ogni modo di ottenere informazioni sul’impero mongolo e il Koguryo.
MORINAKA: Sì, ricevette un rapporto da uno dei suoi discepoli, probabilmente Shijo Kingo, verso l’autunno del 1273[ref]Il Daishonin dice: «Ho ricevuto notizie della questione del Koguryo e dell’impero mongolo» (GZ, 1298).[/ref].
IKEDA: A quell’epoca si era già realizzata la profezia della lotta intestina, con il conflitto per il potere all’interno del clan reggente del febbraio 1272, noto come Tumulto di Hojo Tokisuke, un tentativo abortito di impadronirsi del governo da parte del fratellastro del reggente, Hojo Tokisuke. Adesso, con la minaccia di attacco da parte dei mongoli, sembrava imminente anche la realizzazione dell’altra predizione del Daishonin, quella dell’invasione straniera.
Il Daishonin assunse su di sé la responsabilità di risolvere la deplorevole situazione che stava affrontando il Giappone. Si preoccupava delle ulteriori sofferenze del popolo causate da questa guerra insensata. Il Daishonin aspirava sempre alla felicità del popolo e alla pace e alla stabilità della nazione.
SAITO: Pare che i discepoli del Daishonin avessero costituito un movimento per ottenere che fosse graziato, forse approfittando del fatto che dopo la lotta di potere a cui abbiamo accennato, le persecuzioni si erano allentate. Ma il Daishonin li scoraggiò severamente. In Errori della scuola Shingon e di altre scuole, datato 5 maggio dello stesso anno, scrisse che qualsiasi discepolo che facesse il minimo accenno a un condono stava «venendo meno ai propri doveri» (GZ, 139)[ref]«Dovreste imparare a memoria questa lettera e comprenderla a fondo. I più anziani dovrebbero chiedere spiegazioni dettagliate a Toki [Jonin]. Non dovreste lamentarvi perché non mi è stato velocemente condonato l’esilio a Sado. Sicuramente è dovuto all’operato degli dei buddisti. Dovreste capirlo riflettendo sul caso del prete laico Fujikawa. Se fosse stato esiliato l’anno scorso [come me] non sarebbe andato incontro a una simile morte prematura quest’anno. Tuttavia le persone sciocche possono non credere a questo. Se c’è un discepolo che esprime pubblicamente il desiderio che mi sia concesso rapidamente il perdono sappiate che quella persona sta venendo meno ai propri doveri. E sarà del tutto inutile cercare di aiutarla nella sua prossima esistenza. Voglio che ognuno di voi capisca bene tutto questo» (GZ, 139).[/ref].
IKEDA: La nobile condizione vitale del Daishonin gli permetteva di considerare anche questa persecuzione maggiore con il massimo distacco. Non era d’accordo che i suoi discepoli si abbassassero a implorare il governo di graziarlo. Era fiducioso che alla fine il governo stesso si sarebbe scusato per l’ingiustizia che gli aveva fatto e con la massima deferenza, lo avrebbe invitato a tornare a Kamakura. La giustizia prevale quando si parla e si agisce secondo giustizia. Ingraziarsi i potenti o accettarne la protezione farà soltanto sì di venirne sfruttati. Probabilmente era questa la severa lezione che il Daishonin voleva insegnare ai suoi discepoli.
SAITO: Ciò che fece cambiare politica al governo fu il verificarsi dei due disastri che il Daishonin aveva ripetutmente predetto sin dal Rissho ankoku ron. La condanna all’esilio era stata ingiusta sin dal principio e, anche se il governo l’aveva imposta, sapeva bene che il Daishonin era innocente. Subito dopo la mancata esecuzione di Tatsunokuchi era giunto alle autorità che lo tenevano prigioniero, un’ordine urgente del reggente di Kamakura in cui si affermava: «Questa persona non è colpevole. Sarà presto graziata» (SND, 4, 49).
IKEDA: In cuor loro i principali esponenti del governo temevano che l’ingiusta persecuzione nei confronti del Daishonin potesse condurre a una crisi che avrebbe messo in pericolo l’intera nazione. Poi, proprio come il Daishonin aveva predetto, esplosero le lotte intestine e anche l’invasione straniera sembrava imminente. È probabile che a quel punto nutrissero nei confronti del Daishonin una sorta di timore reverenziale se non proprio di rispetto.
MORINAKA: Fra questi personaggi chiave, il signore di Sado, Hojo Nobutoki, doveva essere piuttosto spaventato. Aveva cercato di eliminare il Daishonin spingendosi per ben tre volte a emanare ordini governativi falsi [che proibivano a chiunque di offrire protezione al Daishonin].
IKEDA: Pare che alla fine fu il reggente Hojo Tokimune a decidere di perdonare il Daishonin, come egli narra in diversi suoi scritti[ref]«Il signore di Sagami [il reggente Hojo Tokimune] credette alle false accuse ed esiliò questo prete senza esaminare attentamente la questione. Rendendosi poi conto dell’ingiustizia che si era verificata, rimpianse le proprie azioni ed emanò il condono» (GZ, 1478). «Quando Hojo Tokiyori, l’ex-reggente, e Hojo Tokimune, quello attuale, scoprirono che non ero colpevole delle accuse mosse contro di me, mi perdonarono» (SND, 4, 188).[/ref]. Alla fine Tokimune si rese conto che la cattiva reputazione del Daishonin era dovuta ad accuse false. Il Daishonin era sempre stato convinto che la sua innocenza e integrità sarebbero state dimostate al di là di ogni dubbio. Scrisse che sarebbe stato come l’acqua torbida che diventerà di nuovo limpida o la luna che può essere nascosta dalle nuvole ma sicuramente riapparirà[ref]«L’acqua può essere torbida, ma diventerà di nuovo limpida. La luna può essere nascosta dalle nuvole, ma riapparirà sicuramente. Allo stesso modo col tempo venne riconosciuta la mia innocenza e le mie predizioni si dimostrarono fondate. E, forse per questo motivo, nonostante i membri della famiglia Hojo e personaggi influenti insistessero perché non fossi perdonato, infine fui prosciolto dalla condanna all’esilio per ordine del reggente Hojo Tokimune e feci ritorno a Kamakura» (SND, 7, 227).[/ref]. Anche se all’interno del governo permanevano opinioni contrastanti, Tokimune cercò di mantenere larghe vedute e diede al Daishonin il beneficio del dubbio. Probabilmente fu per ciò che, subito dopo il ritorno a Kamakura, il Daishonin fu convocato davanti a un’assemblea di funzionari governativi anziani per esporvi le proprie idee.
SAITO: Nichiren Dashonin partì da Ichinosawa, a Sado, il 13 marzo 1274 e giunse a Kamakura il 26 dello stesso mese. Poco dopo, l’8 aprile, fu convocato per un interrogatorio con Hei no Saemon-no-jo Yoritsuna e altri importanti funzionari che gli rivolsero varie domande. Hei no Saemon, in totale contrasto con l’atteggiamento minaccioso che aveva tenuto all’epoca della persecuzione di Tatsunokuchi, fu gentile e rispettoso. Gli altri ufficiali posero domande al Daishonin riguardo al Nembutsu, Shingon, Zen e altre scuole. Secondo le cronache dell’epoca anch’essi trattarono il Daishonin con una certa deferenza.
MORINAKA: La situazione era completamente ribaltata. Ora era il Daishonin a tenere il coltello dalla parte del manico e i suoi persecutori erano sulla difensiva, compreso Ryokan e tutti quelli che avevano complottato contro di lui dietro le quinte.
IKEDA: Il Daishonin era tornato a Kamakura da vincitore, deciso ad affermare le sue ragioni e sovvertire l’opposizione nei suoi confronti. E Ryokan, che aveva diffuso calunnie su di lui per così tanto tempo, non si fece vedere e, rinchiuso dietro i cancelli del suo tempio, si diede malato.
MORINAKA: Invece, quando il Daishonin era in viaggio verso l’esilio di Sado, Ryokan andava dicendo che avrebbe desiderato un’occasione di dibattito con il Daishonin per fugare una volta per tutti i dubbi di chiunque (vedi SND, 6, 217)[ref]«Ho sentito che quando il prete Ryokan seppe che mi trovavo lontano in una provincia remota, disse a tutti quanto avrebbe desiderato che tornassi al più presto a Kamakura, per poter discutere con me e dissipare i dubbi della gente. Chiedi se per caso lodare se stessi e disprezzare gli altri è uno dei precetti della setta Ritsu [Il Daishonin sta alludendo a uno dei dieci precetti fondamentali delle cinquantotto regole disciplinari dei bodhisattva mahayana: non lodare se stessi né disprezzare gli altri]. Per di più, quando tornai davvero a Kamakura, Ryokan chiuse i cancelli e impedì a chiunque di entrare. A volte si finse persino malato, dicendo che aveva preso un raffreddore» (SND, 6, 222).[/ref].
SAITO: Nell’interrogatorio dell’8 aprile 1274 il Daishonin ribadì le sue rimostranze ai governanti e predisse che i mongoli avrebbero invaso il paese entro l’anno.
IKEDA: Fu l’ultima delle tre occasioni in cui il Daishonin “si distinse” [per la capacità di prevedere gli eventi futuri] che descrive dettagliatamente nella Scelta del tempo. Sulla base di questo trattato analizziamo ora i tre casi in cui il Daishonin formulò precise predizioni alle autorità della nazione.
MORINAKA: La prima di queste occasioni in cui “si distinse” fu quando fece recapitare alle autorità il Rissho ankoku ron, il 16 luglio 1260: «Io mi sono distinto tre volte per questo genere di conoscenza. La prima volta nel primo anno dell’era Bunno (1260), quando il segno opposto a Giove si trovava nel settore del cielo con il segno ciclico kanoe-saru, il sedicesimo giorno del settimo mese. Quel giorno io presentai il Rissho ankoku ron a sua Signoria, il Nyudo del Saimyo-ji[ref]Il Nyudo (prete laico) del Saimyo-ji: Hojo Tokiyori(1227-63), ex reggente dello shogunato di Kamakura che ancora teneva le redini del potere nel 1260. Dopo il suo ritiro divenne prete laico al tempio Zen Rinzai di Kamakura, Saimyo-ji.[/ref], per mano di Yadoya Nyudo. In tale occasione dissi a Yadoya Nyudo: “Per favore, renda noto a sua Signoria che la devozione alle sette Nembutsu e Zen dovrebbe essere abbandonata. Se questo ammonimento non verrà ascoltato, scoppieranno disordini all’interno del clan Hojo e la nazione sarà attaccata da una potenza straniera”» (SND, 2, 96).
IKEDA: Il Daishonin espose queste predizioni a Yadoya Mitsunori, il funzionario governativo che lo ricevette quando sottopose il Rissho ankoku ron all’ex reggente Hojo Tokyori, la persona più potente della nazione. Dapprima ammoniva ad abbandonare la devozione alle scuole Zen e Nembutsu, delle quali Tokiyori e altri personaggi dell’epoca erano devoti credenti. Poi riaffermava la predizione dei due disastri di lotta intestina e invasione straniera di cui si parlava nel Rissho ankoku ron, specificando che il conflitto interno si sarebbe verificato nel clan reggente Hojo.
SAITO: Di questi due disastri, il conflitto interno si avverò dodici anni dopo la presentazione del Rissho ankoku ron, in occasione dello scontro per il potere del febbraio 1272. E la profezia di invasione straniera si concretizzò con la minaccia alla sicurezza della nazione paventata dall’arrivo del documento ufficiale dei mongoli nel 1268 [che conteneva velate richieste di giurare fedeltà al loro imperatore, il Khubilai Khan] e la successiva invasione mongola del 1274 e del 1281.
IKEDA: La lettera dei mongoli arrivò otto anni dopo il Rissho ankoku ron. L’acume del Daishonin aveva visto lontano. Per questo egli aveva cominciato a insegnare alle persone la strada per liberarsi dalla sofferenza.
SAITO: I membri del clan reggente Hojo erano pronti a distruggere chiunque ritenessero un rivale o una minaccia per la conservazione del potere e così eliminarono molte persone che avevano notevolmente contribuito al loro insediamento. Quindi, in un certo senso, non era strano che si verificassero lotte intestine. Ma essere attaccati da un’altra nazione era impensabile per la gente di allora. Con l’appoggio di vari esponenti del governo, il Giappone commerciava con la Cina Sung (960-1279) e quindi, sapendo quanto fosse pericolosa la navigazione marina su lunghe distanze, nessuno avrebbe pensato che un altro paese potesse attaccare il Giappone.
IKEDA: Il Daishonin desiderava la felicità di tutte le persone. Fin dall’inizio non credo che il suo pensiero fosse limitato al popolo del Giappone. Nel Rissho ankoku ron il padrone di casa si chiede: «Se la nazione viene distrutta e le famiglie sterminate, dove ci si potrà rifugiare?» e conclude: «Se vi preoccupate anche solo un po’ della vostra sicurezza personale, dovreste prima di tutto pregare per l’ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quartieri del paese» (SND, 1, 43).
I pensieri del Daishonon andavano ben oltre l’ambito ristretto della sicurezza di una singola nazione ed erano rivolti a «l’ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quartieri del paese[ref]I quattro quartieri sono i quattro punti cardinali, cioè la società e il mondo intero.[/ref]», cioè alla pace del mondo intero. In seguito egli chiamò questo desiderio “ampia e diffusa propagazione in tutto Jambudvipa”, vale a dire pace e prosperità in tutto il globo. Proprio per l’ampiezza delle sue vedute il Daishonin riuscì a vedere oltre i confini del Giappone e a rendersi conto della possibilità di una crisi provocata dall’intervento di un altro paese.
MORINAKA: I sutra sui quali il Daishonin basava le sue due predizioni di lotta intestina e invasione straniera erano il Sutra Ninno (Sutra dei Re benevoli) e il Sutra Yakushi (Sutra del Maestro della Medicina). Come scrive all’inizio del Rissho ankoku ron, nel Giappone di quell’epoca questi sutra venivano recitati spesso per la protezione della nazione.
IKEDA: Sebbene molti preti eruditi conoscessero bene il testo di questi sutra, non avevano compreso il vero intento del Budda contenuto in essi. Ma in quelle stesse parole il Daishonin seppe leggere la vera natura delle attuali sofferenze del popolo e previde le ulteriori disgrazie che avrebbero potuto colpire il paese. La differenza consisteva nel fatto che il Daishonin, al contrario dei preti eruditi, aveva profondamente a cuore le sofferenze delle persone e nutriva l’immensa compassione del Budda che si batte instancabilmente per la felicità della gente comune.
Il potere di prevedere importanti eventi prima che si manifestino è indubbiamente un segno di saggezza. Tale saggezza è il risultato di una sincera e profonda compassione. La saggezza di anticipare fatti che potrebbero causare infelicità al popolo deriva dall’illimitata compassione del Budda originale di condurre tutti gli esseri viventi all’Illuminazione.
SAITO: La seconda occasione in cui il Daishonin “si distinse” fu nelle predizioni che formulò a Hei no Saemon quando questi giunse ad arrestarlo la sera del 12 settembre 1271, all’epoca della persecuzione di Tatsunokuchi. «La seconda volta fu il dodicesimo giorno del nono mese dell’ottavo anno dell’era di Bun’ei (1271), all’ora della scimmia [tra le 15 e le 17], quando dissi al magistrato Hei no Saemon: “Nichiren è il pilastro del Giappone. Se lo perdete, farete crollare il sostegno del Giappone. Immediatamente ci sarà il disastro della ‘lotta intestina’, cioè il conflitto all’interno del regno, e anche quello della ‘invasione straniera’. Non soltanto il popolo della nostra nazione troverà la morte per mano degli stranieri invasori, ma molte persone verranno fatte prigioniere. Tutti i templi Nembutsu e Zen come il Kencho-ji, il Jufuku-ji, il Gokuraku-ji, il Daibutsu-den e il Choraku-ji dovrebbero essere rasi al suolo, e i loro preti dovrebbero essere portati alla spiaggia di Yui per essere decapitati[ref]Qui il Daishonin parla volutamente di radere al suolo i templi e decapitare i preti per far capire a Hei no Saemon la gravità di offendere l’insegnamento corretto. Tuttavia nel Rissho ankoku ron egli spiega che quando nel Sutra del Nirvana si parla di uccidere i monaci calunniatori ciò significa semplicemente interrompere il sostegno da parte del governo a quei preti che contraddicono gli insegnamenti di Shakyamuni. (Vedi SND, 1, 40-41).[/ref]. Se ciò non verrà fatto, il Giappone sarà sicuramente distrutto!”» (SND, 2, 97).
MORINAKA: La stessa scena viene descritta ne Il comportamento del Budda. Anche qui il Daishonin ammonisce con forza che arrestandolo stavano «colpendo il pilastro del Giappone» (vedi SND, 4, 45). E riferisce di aver elencato a Hei no Saemon «le eresie delle sette Shingon, Zen e Nembutsu, nonché il fallimento di Ryokan nelle sue preghiere per la pioggia» e infine spiega nei dettagli il fallimento di Ryokan. In questi brani però non nomina la predizione dei due disastri che viene descritta dettagliatamente nello stesso scritto quando narra dell’interrogatorio da parte di Hei no Saemon due giorni dopo, il 10 settembre[ref]«In quella sede il magistrato mi chiese: “Hai ascoltato le parole del reggente. Hai fatto o non hai fatto queste dichiarazioni?”. Risposi: “Ogni parola è mia, esclusa la frase che i defunti Hojo Tokiyori e Hojo Shigetoki siano caduti all’inferno. Comunque ho sicuramente denunciato le eresie delle sette che essi seguirono quando erano in vita. Ogni mia parola è stata pronunziata pensando al futuro del nostro paese. Se desiderate garantire pace e sicurezza alla nazione, è indispensabile che convochiate i preti delle altre sette per un dibattito da svolgersi in vostra presenza. Se ignorate questo consiglio e mi punite senza ragione, l’intero paese dovrà rimpiangere la vostra decisione. […] Cento giorni dopo il mio esilio o la mia esecuzione e in ricorrenza del primo, terzo e settimo anniversario, accadrà ciò che i sutra chiamano ‘lotte intestine’, ossia ribellioni nel vostro stesso clan. Questi disordini saranno seguiti da invasioni straniere provenienti da ogni direzione, soprattutto da Occidente. Allora rimpiangerete quello che avrete fatto”» (SND, 4, 43).[/ref]. Poiché le cose che affermò furono le stesse in entrambe le occasioni, probabilmente omise deliberatamente le predizioni dal suo resoconto del dialogo del 12 per non riscriverle una seconda volta.
SAITO: Il 12 settembre, poco dopo l’incontro del 10, il Daishonin scrisse una lettera a Hei no Saemon che in quell’occasione «dimenticando tutta la dignità del suo rango, si lasciò andare a una collera violenta» (SND, 4, 44) e quindi non era in grado di ascoltare ciò che il Daishonin aveva da dirgli. La lettera s’intitola Il penultimo giorno (GZ, 183-84) e in essa il Daishonin espone le sue tesi a Hei no Saemon con logica stringente, affermando che la devozione alla Legge mistica era l’unico modo per liberare le persone dalla sofferenza. Il Daishonin si premurò persino di allegare alla lettera una copia del Rissho ankoku ron.
MORINAKA: Non è certo che Hei no Saemon l’abbia ricevuta e comunque lo stesso giorno egli andò ad arrestare il Daishonin. Fu un’azione repressiva e dispotica, condotta con la forza militare, un totale rifiuto del dialogo. In contrasto con ciò, il Daishonin contrattaccò coraggiosamente con le parole.
IKEDA: Il nucleo delle sue affermazioni era la convizione di essere il pilastro e il sostegno del Giappone (SND, 2, 97). Egli affermò esplicitamente che un sovrano che protegge veramente il popolo non è un reggente che afferra momentaneamente le redini del potere ma una persona saggia che si è risvegliata alla Legge mistica eterna. In reazione a questo potente “ruggito del leone” i soldati che erano giunti ad arrestare il Daishonin impallidirono e cominciarono a pensare che forse stavano commettendo un errore. A quel punto il Daishonin narrò con calma a Hei no Saemon la sconfitta di Ryokan in occasione delle preghiere per la pioggia, inserendo persino una nota umoristica nel suo racconto e ribadendo con sicurezza la validità delle sue affermazioni. La sua era veramente una condizione vitale di completa libertà.
SAITO: Vorrei soffermarmi sulla dichiarazione del Daishonin che i preti Nembutsu e Zen dovevano essere condotti alla spiaggia di Yui ed essere decapitati (SND, 2, 97). Sono parole estremamente dure. Ma penso che usasse un linguaggio simile per scuotere le autorità e indurle a rendersi conto di quanto fosse perverso perseguitarlo ed esiliarlo e reprimere i suoi discepoli – cosa che si era fatta più frequente dopo l’arrivo dei messaggeri mongoli – quando essi stavano sforzandosi sinceramente di salvare il paese dalla distruzione.
IKEDA: Esatto. Il governo stava pensando di decapitare il Daishonin e i suoi discepoli e il Daishonin ne era consapevole. Così possiamo considerare quella frase come una protesta e un monito che suonava pressappoco così: «Se avete intenzione di cominciare a tagliare la testa alla gente, allora prima di giustiziare me e i miei discepoli, che stiamo realmente cercando di aiutare il paese, ritengo che quei preti, che sono la causa fondamentale del tumulto nel paese, sarebbero migliori candidati». Alla luce del contenuto del Rissho ankoku ron è chiaro che il vero intento del Daishonin non era quello di uccidere qualcuno[ref]«Secondo gli insegnamenti dei Budda vissuti prima di Shakyamuni, i monaci colpevoli incorrevano nella pena di morte, ma nei sutra predicati dal tempo di Shakyamuni in poi, erano solamente esclusi dalle elemosine. Ora, se tutte le quattro categorie di fedeli entro i quattro mari e le diecimila terre, invece di dare l’elemosina ai preti corrotti la dessero ai preti buoni, come potremmo essere ancora afflitti da tante calamità e disastri?» (SND, 1, 40-41).[/ref]. Piuttosto intendeva persuadere le autorità ad abbandonare la loro devozione e il loro sostegno finanziario a simili preti.
(continua)