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6 dicembre 2025 Ore 13:38

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Più forte di prima

21. Esiliato nell’aspra isola di Sado il Daishonin incoraggiò i discepoli perseguitati a ricostruire una unità ancor maggiore

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21. Esiliato nell’aspra isola di Sado il Daishonin incoraggiò i discepoli perseguitati a ricostruire una unità ancor maggiore

IKEDA: In un certo senso Nichiren Daishonin è stato il più grande educatore che l’umanità abbia avuto. Di fronte a persecuzioni senza precedenti subite per amore della Legge – o in realtà proprio a causa di tali persecuzioni – egli si dedicò altruisticamente a insegnare ai suoi discepoli la corretta maniera di vivere.
In una lettera a Toki Jonin inviata da Teradomari[ref]Teradomari: attuamente nella prefettura di Niigata, sul Mar del Giappone. Fu il porto dal quale il Daishonin si imbarcò per raggiungere Sado.[/ref], dove aveva fatto sosta durante il viaggio verso Sado, il Daishonin scrive: «Tutti coloro che aspirano alla Via dovrebbero riunirsi insieme e ascoltare il contenuto di questa lettera» (SND, 6, 75). In mezzo alle persecuzioni faceva appello ai discepoli che erano decisi a ricercare la Via affinché si concentrassero sull’entrare in sintonia con il suo spirito eternamente vibrante.
Ciò era basato sul suo voto di permettere a tutti gli esseri viventi di ottenere la Buddità. Egli era mosso dall’ardente desiderio di salvarli. Poiché aveva fatto voto di aiutare tutti coloro che venivano in contatto con lui a diventare felici, si dedicò con tutto il suo essere a incoraggiare i suoi discepoli, assumendo contemporaneamente il ruolo di maestro, genitore e sovrano. Inoltre la compassione del Daishonin non era limitata unicamente ai discepoli; il suo stato vitale era così vasto che egli cercava di condurre persino i suoi persecutori sulla strada giusta. L’apertura degli occhi e il Vero oggetto di culto, composti a Sado, furono il risultato di questo impegno spirituale che aveva radici nelle profondità del suo essere.

MORINAKA: Oltre a queste due opere il Daishonin ci ha lasciato altri lunghi trattati scritti a Sado.

IKEDA: A questo proposito è importante non dimenticare le condizioni indescrivibilmente avverse e inospitali che dovette affrontare nella provincia settentrionale di Sado.

SAITO: Innazitutto c’era l’asprezza dell’ambiente naturale. Così lo descrive il Daishonin al suo arrivo:
«Ora siamo nell’ultima decade dell’undicesimo mese. Quando vivevo a Kamakura nella provincia di Sagami, credevo che il succedersi delle quattro stagioni fosse lo stesso in tutte le province, ma nei due mesi da quando sono arrivato in questa provincia nordica di Sado, venti gelidi soffiano senza pausa, e, seppure vi sono momenti in cui cessa di cadere la neve ghiacciata, non si vede mai la luce del sole. Sento gli otto inferni gelidi[ref]Si dice che gli otto inferni gelidi si trovino sotto il continente di Jambudvipa, in prossimità degli otto inferni roventi. Si dice che coloro che vi abitano siano tormentati da un freddo insopportabile.[/ref] in questo mio corpo» (SND, 7, 141).

MORINAKA: Nel nostro calendario moderno l’ultima parte dell’undicesimo mese corrisponde agli inizi di gennaio. C’è chi sostiene che a quell’epoca gli inverni erano estremamente freddi perché il periodo coincideva con la cosiddetta Piccola era glaciale[ref]La Piccola era glaciale: a metà del periodo Kamakura (1192-1333) che vide la transizione da un periodo più caldo (il Periodo caldo medievale) a uno più fresco (la Piccola era glaciale), la temperatura calò notevolmente. Secondo i dati metereologici e le cronache storiche dell’epoca la temperatura era estremamente instabile con estati afose e inverni gelidi.[/ref].

IKEDA: Inoltre il Daishonin mancava di cibo, vestiario e alloggio.

SAITO: Sì, infatti scrive: «Finalmente raggiunsi la provincia di Sado e, conformemente alla natura di quella terra settentrionale, trovai un vento particolarmente forte in inverno, neve alta, vesti leggere e cibo scarso. Compresi allora come un albero di mandarino, sradicato e trapiantato in una sede differente, potesse diventare in maniera naturale un albero di mandarino trifoliato[ref]È un detto citato in diversi classici cinesi come per esempio le Cronache di Yen Tzu. Se un albero di mandarino cresciuto a sud del Fiume Yangtze viene trapiantato a nord del fiume Huai diventa un mandarino trifoliato. Simboleggia il cambiamento che subiscono le persone sotto l’influenza dell’ambiente.[/ref].
La mia dimora era una capanna di paglia in rovina in mezzo a un fitto campo di eulalia e ginerio dove venivano seppelliti i cadaveri. La pioggia filtrava all’interno e i muri non proteggevano dal vento. L’unico suono che giorno e notte giungeva alle mie orecchie era il sibilo del vento accanto al mio cuscino e ogni mattina la vista che si presentava ai miei occhi era quella della neve che seppelliva le strade vicine e lontane. Mi sentivo come se, da vivo, fossi passato attraverso il regno degli spiriti affamati e fossi caduto in uno degli inferni freddi» (SND, 9, 75-76).

IKEDA: Non solo doveva combattere con un ambiente naturale inospitale ma anche con le condizioni sociali ostili. A causa dell’influenza della scuola Nembutsu a Sado molte persone erano ostili al Daishonin e lo consideravano un nemico. Di conseguenza era costantemente in pericolo[ref]«La provincia di Sado sembra il regno delle bestie ed è piena di seguaci di Honen che mi odiano cento, mille, diecimila, centomila volte di più di quanto mi odiavano quelli di Kamakura. Non so mai se sopravviverò fino all’indomani. Ma, grazie alle vostre sincere offerte [di Shijo Kingo e sua moglie], sono riuscito a sopravvivere fino a oggi» (SND, 7, 171). E ancora: «Mi posero sotto la custodia dell’ex-governatore di Musashi, che era anche conestabile dell’isola di Sado nel nord; su proposta dei suoi uomini, fui inviato in quell’isola. Gli abitanti dell’isola sono selvaggi e barbari, non conoscono nemmeno la legge di causa ed effetto. È superfluo dire che mi trattarono duramente» (SND, 8, 135-136).[/ref]. Lo spiega quando afferma che nei due anni e mezzo della sua permanenza a Sado «giorno dopo giorno, la gente si domandava se sarei stato decapitato…» (SND, 2, 200).

SAITO: Sembra che Hojo Nobutoki, conestabile di Sado e importante esponente del governo abbia svolto un ruolo cruciale in tutto ciò. Fu presso la sua residenza che il Daishonin fu detenuto dopo l’arresto del 12 settembre, prima di essere condotto a Tatsunokuchi nelle ore precedenti all’alba del giorno successivo. Nonostante il fatto grave della mancata esecuzione, Nobutoki partì la mattina presto dello stesso giorno per la sorgente termale di Atami. Senza dubbio fuggì per non essere considerato responsabile della questione.

MORINAKA: In seguito il potere e l’influenza di Nobutoki all’interno del governo si accrebbero ulteriormente. Nel 1273, mentre il Daishonin era ancora in esilio a Sado egli diventò membro del Consiglio di Stato, l’organo supremo del governo di Kamakura. E, al tempo del nono reggente Hojo Sadatoki che succedette a Hojo Tokimune, salì alla carica di cofirmatario del reggente, cioè la seconda persona più potente di tutto il regime.

IKEDA: E c’era sempre Nobutoki anche dietro alla questione dei falsi ordini governativi che dovevano rendere ancor più difficile al Daishonin la vita a Sado (vedi SND, 8, 114).

MORINAKA: Esatto. Il 7 dicembre 1273, Nobutoki emanò in maniera del tutto arbitraria un mandato indirizzato al suo vassallo Honma Rokuro Zaemon, che era vice conestabile di Sado, in cui si ordinava di reprimere il Daishonin e i suoi discepoli. In questo documento fraudolento, che si voleva far passare per un’ordinanza governativa, si ordinava che chiunque offrisse sostegno al Daishonin venisse bandito dalla provincia o imprigionato. In tre casi Nobutoki aveva emanato ordine falsi di quel tipo (vedi SND, 4, 60 e GZ, 1478).

IKEDA: Anche Ryokan del tempio Gokuraku-ji era coinvolto. Dopo essersi consultato con i seguaci Nembutsu di Sado, il discepolo di Ryokan, Dokan, e altri si recarono a Kamakura per sottoporre a Nobutoki una serie di calunniose accuse nei confronti del Daishonin. In tutta risposta Nobutoki emanò le ordinanze di repressione inviandole a Sado. Anche qui assistiamo allo stesso schema basato sulla calunnia.

MORINAKA: Il discepolo di Ryokan e altri che lo accompagnarono da Sado si appellarono così a Nobutoki: «Se questo prete rimane nell’isola di Sado, non resterà più un solo tempio buddista o un solo monaco! Prende le statue del Budda Amida e le getta nel fuoco o le butta nel fiume. Di giorno e di notte sale su un’alta montagna e rivolto al sole e alla luna, maledice le autorità. Il suono della sua voce si ode nell’intera provincia» (SND, 4, 60).
Erano accuse prive di senso. Che ragione avrebbe avuto il Daishonin, che aveva espresso con calma e dignità le proprie rimostranze al governante del paese, di andarsene in giro a urlare maledizioni?

SAITO: Sappiamo che in effetti il Daishonin salì in cima a una montagna a Sado e apostrofò a gran voce gli dei buddisti come per scuoterli (vedi SND, 6 62)[ref]«Dalla cima di un’alta montagna gridai forte [agli dei buddisti]: “…Se avete paura di questa punizione, manifestate al più presto qualche segno al paese, permettendomi così di tornare a casa!» (SND, 6, 62-63).[/ref].
Nell’appellarsi alle forze protettive dell’universo affinché manifestassero il proprio potere è probabile che abbia recitato Daimoku con voce piena e tonante.

IKEDA: Che ciò sia stato percepito come una “maledizione” è senza dubbio indice dello stato vitale di Ryokan e dei suoi seguaci. Erano le loro parole in realtà a esser piene d’odio e di rancore.

MORINAKA: In ogni epoca la calunnia è l’arma fondamentale delle persone corrotte e degenerate. Accade lo stesso oggigiorno in Giappone con coloro che scrivono articoli che contengono accuse infondate nei confronti della Soka Gakkai. Inventano fatti e diffondono voci diffamatorie. Questa è la forma che assume la calunnia in quest’epoca. Le notizie false sono le nemiche della democrazia.

SAITO: Certo è irragionevole pensare che il Daishonin, calmo e dignitoso come il Monte Fuji, andasse in giro a spargere maledizioni e perpetrare abusi. Il suo stile consisteva nel protestare con calma, ma al tempo stesso con vigore, affrontando direttamente i potenti o i malvagi.
Inoltre egli aveva già scatenato una controffesiva. Stava preparando le basi dottrinali per la realizzazione di kosen-rufu in tutto il mondo, sia per quanto riguardava l’oggetto di culto che altre questioni e aveva iniziato a insegnare ai suoi discepoli “la fede dedicata a kosen-rufu” e ad allevare successori che portassero avanti la fiaccola del suo insegnamento.

MORINAKA: Nikko Shonin deve aver compreso molto profondamente gli insegnamenti del Daishonin grazie al fatto di essere rimasto lealmente al fianco del maestro durante tutto l’esilio di Sado.

IKEDA: Per questo dopo il ritorno da Sado, Nikko iniziò a svolgere un’impressionante quantità di attività.
Il Daishonin continuava a lottare per rafforzare i legami con i suoi discepoli e gli effetti concreti delle persecuzioni che li avevano colpiti cominciavano a farsi sentire. Inizialmente ci fu la sommossa di Hojo Tokisuke[ref]Sommossa di Hojo Tokisuke: si svolse a Kyoto e Kamakura nel febbraio 1272. Hojo Tokisuke, fratellastro maggiore del reggente Hojo Tokimune, aveva ordito un complotto per impadronirsi del potere ma Tokimune ne venne a conoscenza e represse immediatamente la congiura facendo uccidere Tokisuke da Hojo Yoshimune. Vennero messi a morte anche Nagoe Tokiaki e Noritoki, sospettati di far parte del complotto.[/ref]. All’epoca della persecuzione di Tatsunokuchi, il Daishonin aveva predetto a Hei no Saemon, che era venuto ad arrestarlo, che i due disastri delle lotte intestine e delle invasioni straniere si sarebbero sicuramente verificati se egli avesse “abbattutto il pilastro del Giappone” [cioè se avesse cercato di far del male al Daishonin o ai suoi discepoli]. Di queste due predizioni, quella delle lotte intestine si avverò prima che fossero trascorsi sei mesi dalla persecuzione di Tatsunokuchi.

MORINAKA: C’è un brano di Lettera da Sado in cui il Daishonin parla di questi fatti con grande convinzione:
«Nichiren è il pilastro, il sole, la luna, lo specchio e l’occhio del clan reggente del Kanto[ref]Kanto: si riferisce al governo di Kamakura.[/ref]. “Quando avrete allontanato Nichiren, accadranno inevitabilmente i sette disastri”, questo dissi a gran voce quando fui arrestato il 12 settembre dello scorso anno. Non si sono forse verificati dopo solo sessanta giorni e poi dopo centocinquanta giorni? E questo non è che il fiore; quanti lamenti ci saranno quando apparirà il frutto!» (SND, 4, 76).

SAITO: “Centocinquanta giorni dopo la persecuzione di Tatsunokuchi” si riferisce alla sommossa di Hojo Tokisuke del febbraio 1272, un lotta per il potere all’interno del clan dominante Hojo, che ben si attaglia a essere definita “lotta intestina”.
Non è chiaro invece cosa sia accaduto sessanta giorni dopo Tatsunokuchi ma possiamo dedurre che si trattasse di qualche particolare incidente o ribellione. Ciò concorda con l’affermazione del Daishonin: «Io fui arrestato il 12 settembre, a novembre scoppiò una ribellione e l’11 febbraio dell’anno successivo alcuni generali che dovevano proteggere il Giappone, furono giustiziati senza alcuna ragione apparente » (SND, 6, 63).

MORINAKA: Alcuni ritengono che il Daishonin si riferisse a eventi legati all’arrivo dell’inviato dei Mongoli, nel novembre 1271.

IKEDA: In ogni caso non erano che i primi segni; l’effetto completo, il frutto, della persecuzione nei confronti del devoto del Sutra del Loto doveva ancora venire. Come si sarebbe lamentato allora il clan Hojo, commenta il Daishonin.
L’“effetto completo” ha due aspetti: dal punto di vista spirituale significa la caduta nello stato di inferno nelle esistenze future e in termini fisici o secolari si riferisce alla calamità dell’invasione mongola.
La guerra è l’espressione del mondo d’Inferno all’interno della vita umana. Il mondo d’Inferno che esisteva nella vita della gente si manifestò all’esterno producendo incessanti persecuzioni nei confronti del Daishonin. Il disastro delle lotte intestine era un primo indizio [delle calamità destinate a colpire il paese] e l’effetto completo sarebbe stata l’invasione dei Mongoli.
Il Daishonin percepiva una perversione interiore, che potremmo descrivere come mondo d’Inferno, nella vita di coloro che lo perseguitavano. Questo stato d’Inferno è la condizione di un cuore inquinato dalla calunnia e dalla miscredenza che induce a volgere le spalle al corretto insegnamento. È l’ignoranza che rende incapaci di credere nelle Legge mistica – il grande insegnamento che esiste per la felicità di tutte le persone – e permette ai desideri egoistici di proliferare senza controllo. È anche l’origine delle azioni assurde e irragionevoli che conducono alla guerra.
Il Daishonin riconobbe quest’oscurità fondamentale o ignoranza nei giapponesi del suo tempo e si rese conto che la Legge mistica alla quale si era risvegliato era l’unico mezzo per condurli all’Illuminazione. Era convinto anche di essere l’unico a poter salvare la gente della sua epoca da questa ignoranza fondamentale e dalla guerra che ne era il risultato inevitabile. Perciò afferma di essere il “pilastro del Giappone”.
I suoi contemporanei godevano nel vedere il Daishonin e suoi discepoli perseguitati ed erano del tutto inconsapevoli della propria ignoranza e delle conseguenze che loro stessi avrebbero subito. In Lettera da Sado il Daishonin dice che una simile follia è un caso di “demone che entra nel corpo” (vedi SND, 4, 77)[ref]Nel capitolo del Sutra del Loto Esortazione alla devozione, (13°) si legge: «Demoni malvagi si impossesseranno di altre persone» (SDL, 13, 254), vale a dire che tali demoni penetreranno nella vita di vari individui inducendoli a parlar male di coloro che proteggono l’insegnamento corretto oppure ostacolandone la pratica.[/ref].

SAITO: «Gli stolti – scrive il Daishonin – si chiedono: “Se Nichiren è un santo, perché è incorso nelle persecuzioni del governo?” Nichiren lo aveva previsto da tempo.
«Il re Ajatashatru era un figlio che uccise il padre e torturò la madre, ma i suoi sei ministri lo lodarono; Devadatta era un uomo che uccise un arhat e fece sanguinare il Budda, ma Kokalika e altri se ne rallegrarono. Nichiren è il padre e la madre del clan al potere, è come un Budda o un arhat dell’epoca presente; il governante e i sudditi che si rallegrano del suo esilio, sono persone veramente miserande. I monaci eretici che si lamentano di veder rivelati i loro errori, per il momento si rallegrano, ma un giorno i loro lamenti non saranno minori di quelli di Nichiren e dei suoi seguaci. La loro gioia è come quella di Fujiwara Yasuhira[ref]Fujiwara Yasushira (1155-89), figlio di Fujiwara Hideira, signore della provincia di Mutsu, nella parte nordorientale del Giappone, uccise il fratello e si impadronì del potere. Lo shogun di Kamakura, Minamoto no Yoritomo, gli ordinò di uccidere anche il proprio fratello Minamoto Yoshitsune ed egli per dimostrare la propria lealtà lo fece. Ma in seguito Yoritomo lo fece uccidere per consolidare la propria egemonia sulla parte nordorientale del Giappone.[/ref] quando uccise il fratello e Minamoto Yoshitsune. Il demone che sterminerà il clan al potere dev’essere già entrato in questo paese. Questo è il significato del passo del Sutra del Loto «Il demone entra nel loro corpo» (SND, 4, 77).

IKEDA: Apparentemente il Daishonin era in esilio mentre i suoi persecutori erano potenti esponenti politici e autorità religiose. Ma per quanto concerne la loro realtà interiore i suoi persecutori erano persone “possedute da demoni malvagi” mentre il Daishonin era un saggio e un savio. Se guardiamo l’esilio di Sado alla luce della vera condizione vitale delle persone coinvolte, erano i persecutori del Daishonin in realtà a essere rinchiusi in una prigione di ignoranza e stupidità.
Le parole che il Daishonin disse a Hei no Saemon dopo il condono dall’esilio e il ritorno a Kamakura trasmettono la sua immensa libertà interiore: «Poiché sono nato nel dominio del governante, devo obbedirgli nelle azioni. Ma non gli debbo obbedienza in ciò che credo nel mio cuore» (SND, 2, 97). Penso che esse esprimano il grido interiore che risuonò incessantemente nel cuore del Daishonin anche durante l’esilio a Sado.

MORINAKA: Mentre era in esilio, il Daishonin produsse una grande marea di trattati e lettere con cui incoraggiava costantemente i suoi seguaci. Ci sono rimasti dozzine di scritti che risalgono al periodo dell’esilio di Sado e fra questi diversi documenti di una certa lunghezza e di notevole importanza[ref]Secondo l’Hennentai Gosho (Raccolta cronologica degli scritti di Nichiren Dashonin) sono giunti fino a noi quarantasette Gosho che risalgono al periodo che va dalla persecuzione di Tatsunokuchi al termine dell’esilio a Sado.[/ref].

IKEDA: Si tratta di diverse dozzine di scritti, ma ognuno di essi fu composto dal Daishonin per i suoi discepoli con l’ardente desiderio di condurre tutte le persone all’Illuminazione, anche se lui stesso stava affrontando circostanze avverse, al limite della sopportazione umana. Dobbiamo riflettere profondamente sullo spirito del Daishonin.
A mio avviso c’è un brano indimenticabile di Cancellare le colpe denunciando le offese alla Legge, scritto mentre era a Sado, che ci dimostra l’immensa compassione che nutriva per i suoi discepoli: «Sto pregando intensamente come se dovessi accendere il fuoco con legna bagnata o estrarre acqua dal deserto» (SND, 7, 172).
Questa è la preghiera di Nichiren Daishonin, il Budda dell’Ultimo giorno della Legge, per i suoi discepoli. Come siamo fortunati ad avere un maestro simile. Anche se personalmente era sottoposto a persecuzioni che minacciavano la sua vita, dava prova di profonda considerazione per i suoi discepoli. Senza dubbio fu questo che spronò questi ultimi a unirsi con la rinnovata determinazione di avanzare insieme al loro maestro e con lui dedicare la vita al grande voto dell’Illuminazione di tutte le persone.
Indubbiamente, per un certo periodo l’organizzazione dei discepoli del Daishonin a Kamakura fu distrutta per effetto della grande persecuzione del 1271. Non penso che la sua ricostruzione si limitò a una riaggregazione pura e semplice dei discepoli separati e dispersi, ma piuttosto, con la guida che il Daishonin inviò loro da Sado, le persone che condividevano lo stesso spirto battagliero costruirono un’armoniosa unità di itai doshin, persino più forte di prima. Non è forse questa la vera immagine dei discepoli di Kamakura al tempo dell’esilio del Daishonin a Sado?

MORINAKA: Poiché si riunirono nuovamente nel pieno di un’ondata di persecuzioni nei loro confronti, saranno stati preparati ad affrontare notevoli difficoltà.

IKEDA: Potremmo giungere ad affermare che essi formarono un ordine religioso completamente nuovo basato su una fede autentica e caratterizzato dal forte legame fra maestro e discepolo che ognuno di loro aveva creato con il Daishonin.
Un’organizzazione forte per kosen-rufu si realizza soltanto quando essa è percorsa in ogni direzione da solidi legami di fiducia fra le singole persone. I seguaci del Daishonin svolsero le loro attività in mezzo all’infuriare della tempesta. Le persone non decidono di agire in seguito agli ordini tassativi e formali di un’organizzazione o di un gruppo ma si sostengono le une con le altre sulla base dei legami umani che sussistono fra loro all’interno del gruppo.
Si dice che il Mahatma Gandhi[ref]Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948): politico e leader dell’indipendenza indiana. Il poeta indiano Rabindranath Tagore gli diede l’appellativo di Mahatma, che significa Grande anima. Il brano citato è tratto da Louis Fischer, The life of Mahatma Gandhi, New York, Harper & Brothers, 1950, pag. 339.[/ref] tenesse una corrispondenza con diverse migliaia di persone sia in India che in altri paesi:
«Per diversi anni, Gandhi riceveva ogni giorno in media un centinaio di lettere […] A circa dieci di esse rispondeva personalmente a mano, di altre dettava la risposta o dava istruzioni ai suoi segretari su come rispondere […] E nel tempo che rimaneva della sua lunga giornata si dedicava completamente ai visitatori».

SAITO: Fu grazie a questi sforzi che la filosofia di Gandhi si radicò fra le masse e si creò una profonda allenza di persone che condividevano i suoi ideali.

IKEDA: Il legame fra maestro e discepolo è il massimo legame umano.
In mezzo a una feroce persecuzione il Daishonn dichiarò: «Essere lodato dagli stupidi: questa è la più grande vergogna» (SND, 1, 208). E anche: «Per quello che io ho fatto, sono stato condannato all’esilio, ma è una piccola sofferenza da sopportare nell’esistenza presente, non tale da piangerci sopra. Nelle vite future godrò di immensa felicità, un pensiero che mi riempie di soddisfazione infinita» (SND, 1, 209).
Solo un gruppo di leoni può realizzare kosen-rufu. Solo un’armoniosa organizzazione di credenti può diffondere la Legge nella società. Ritengo che quell’armoniosa unità si generò al tempo dell’esilio di Sado. I suoi discepoli più risvegliati sorsero senza riserve nel pieno della tempesta delle persecuzioni in risposta alla chiamata del Daishonin. Fu questa grande persecuzione che costruì il vero sangha, o comunità dei credenti, di kosen-rufu.

SAITO: Con questa discussione siamo giunti a una visione positiva dell’esilio di Sado. La prossima volta lo analizzeremo ulteriormente concentrandoci sul principio della trasformazione del karma che è uno degli insegnamenti centrali rivelati dal Daishonin in quel periodo. Allo stesso tempo esamineremo una serie di esempi specifici del legame che esisteva fra il Daishonin e i suoi discepoli.

(continua)

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