Agorà, la piazza. Il luogo in cui – nell’antica Grecia – i cittadini della “polis” si ritrovavano per discutere argomenti di interesse comune. Contributi, testimonianze, domande dei lettori nuovi e di quelli che si sanno rinnovare
Guardarsi, capirsi, cambiarsi
Non avrei mai pensato, quando ho conosciuto il Buddismo per la prima volta nel 1998, di scrivere al fine di rendere visibile agli altri una delle tante esperienze che ho vissuto grazie all’applicazione concreta dei principi buddisti nella mia vita! Ho cominciato a praticare credendo che le esperienze, quelle che sentivo raccontare alle riunioni, fossero un momento intimo e magico dei singoli e che la cosa più importante fosse provarle nella propria vita ma non condividerle.
Oggi, diversamente, racconto un episodio che non ha in sé questa caratteristica e allora la prima riflessione che faccio a voce alta a me stessa è: che cambiamento!
L’episodio è avvenuto recentemente quando tornando nella notte a casa mi sono accorta che la bicicletta non era più al suo posto. Ho pensato all’inizio di non aver guardato bene, poi ho capito: non c’erano dubbi la mia amata bicicletta mi era stata rubata. La cosa più sorprendente è stata la mia reazione: non ho sofferto affatto dell’indebita sottrazione e l’unica cosa che mi è venuta in mente è stata: «Spero l’abbia presa qualcuno in grado di usarla più di me!».
Questo pensiero in un altro momento della mia vita mi avrebbe occupato la mente per qualche attimo e poi sarebbe scomparso nel nulla come tanti altri pensieri. Invece mi sono chiesta: perché non provo rabbia? Perché non sono un po’ dispiaciuta di quel che è accaduto?
E ho cominciato a sentire il desiderio di comprendere meglio questa mia mancanza di attaccamento ai beni materiali. Ho cominciato a capire che quest’aspetto apparentemente positivo celava una tendenza diversa: l’incapacità di fare un uso corretto dei beni materiali e del suo controvalore, il denaro. E mi sono accorta che la mia tendenza ha un duplice aspetto: da un lato il comprare beni che in fondo non uso e dall’altro la mancata comprensione della funzione del denaro.
Ne I desideri terreni sono illuminazione (SND, 4, 143) Nichiren Daishonin spiega che quando l’essere umano compie le azioni affinché il desiderio possa divenire possibile, superando l’impossibile, la realizzazione del proprio desiderio diventa una fonte inesauribile di saggezza.
Il mio atteggiamento incurante della mancata realizzazione dei desideri terreni nasconde il desiderio di non agire fino in fondo per sperimentare una felicità profonda.
Come buddista sono consapevole che esiste in ognuno di noi una parte oscurata e che grazie al Daimoku siamo in grado di trasformarla e di illuminarla. Ma scoprirlo nel proprio cuore è difficile come è difficile decidere profondamente di invertire la propria tendenza, quella che ti ha accompagnato per tanti anni.
Oggi, conoscendo il Buddismo, sono riuscita a dare una chiave di lettura al concatenarsi di cause ed effetti, di azioni e inazioni, di oggetti di culto esterni alla mia vita. Il denaro è il controvalore del mio lavoro: è l’unità di misura universale del mondo in cui viviamo e non dare il giusto valore a esso significa ammettere che il proprio lavoro non vale abbastanza.
E così mi viene in mente un altro principio buddista: l’unicità della vita e del suo ambiente che spiega come questo cambi in risposta alle nostre sollecitazioni o cambiamenti interiori perché siamo espressione della stessa entità: Nam-myoho-renge-kyo.
Come posso credere che l’ambiente cambi ovvero che si manifestino altre circostanze se non mi impegno a cambiare la mia causa interna ovvero la naturale tendenza? Come posso non avere più problemi con il denaro nel lavoro se non muto la mia natura divisa nel dare il giusto valore al mio lavoro?
Inoltre, seguendo questa mia tendenza ho in qualche misura creato una disarmonia tra me e gli altri che consiste nel rifiuto di vivere in un’epoca che ha come denominatore comune il denaro.
Alla fine mi sono chiesta: se avessi usato il denaro per dare concretamente una mano ad altre persone per uscire dalle loro difficoltà, avrei creato valore alla mia vita, perché da un lato, avrei invertito la tendenza all’acquisto di beni che dimostro di non usare quindi per me inutili, dall’altro avrei cominciato a seminare anche per l’altrui felicità.
Eppure ogni giorno nelle mie preghiere silenziose prego perché si diffonda la pace e perché tutti siano felici!
Per fortuna il Buddismo mi insegna che si può sempre ripartire forti delle esperienze passate
E con questo desiderio e speranza insieme riprendo il cammino!
Annamaria La Nave
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Ricercatori, non imitatori
Intervengo anch’io sul tema della “strada italiana, libera e autonoma”, perché mi sembra una questione davvero importante.
Non credo che la preoccupazione principale di Daisaku Ikeda, allorché affronta temi storico-letterari o filosofico-scientifici, sia quella di “acculturare” il suo uditorio, quasi che la “rivoluzione umana” sia sinonimo di un sapere enciclopedico da sfoggiare a ogni occasione.
Se un buddista si sforza di aumentare le sue conoscenze, non perde di vista il motivo per cui lo fa. Se Ikeda analizza le vicende di personaggi illustri, è soltanto per dimostrare la validità degli insegnamenti buddisti e se anche talvolta entra nel merito di un particolare contesto, si limita a esporre opinioni di altri studiosi, rinunciando alla vanità del suo personale punto di vista. È senz’altro lecito non condividere tutte quelle opinioni, senza che questo ci ponga in contrasto con la sostanza spirituale del discorso di Ikeda. Del resto molte teorie discusse venti o trent’anni fa oggi risultano obiettivamente invecchiate, ma altrettanto non può dirsi della passione che animava quei dialoghi con storici, letterati e scienziati.
Dovremmo dunque selezionare i contenuti dei suoi discorsi, come suggerisce Lucia Bregoli nel suo intervento (NR n. 297)? Temo che perderemmo il senso globale del suo metodo. Sensei ci sta lasciando in eredità una chiave di lettura, non un catechismo. I protagonisti e le circostanze dei nostri tempi vanno valutate alla luce degli insegnamenti di Nichiren Daishonin.
Il compito dei discepoli è quello di continuare l’indagine del maestro, evitando possibilmente gli stereotipi e le banalità. Per noi italiani questo potrebbe tradursi nella conoscenza e nella difesa delle nostre radici culturali, avendo come obiettivo concreto la trasformazione dei punti bui, dei nodi irrisolti della nostra coscienza collettiva, per aprire così una nuova epoca.
Grazie per la cortese attenzione
Enrico Corbi