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L’Illuminazione di Josei Toda - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:12

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L’Illuminazione di Josei Toda

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Sentì la sua voce spingersi lontano…

La rivoluzione umana descrive la storia della Soka Gakkai dal dopoguerra al 1958, anno della morte di Toda. Nei dodici volumi il presidente Ikeda racconta i suoi primi anni di pratica, la nascita dell’organizzazione, il suo rapporto con Toda; l’opera contiene anche molte guide nella fede, esperienze personali e lezioni sulla filosofia buddista. La figura centrale di tutto il romanzo è sicuramente Josei Toda. Il racconto della sua vita è un modello dell’idea stessa di rivoluzione umana. Il presidente Ikeda spiega che l’opera nasce dalla volontà di trasmettere lo spirito del suo maestro e conclude l’ultimo volume scrivendo: «Toda vive nel mio cuore. Posso solo sperare che egli continui a vivere nei cuori di tutti i membri della Soka Gakkai».
Nato nel 1900 in una regione nel nord del Giappone, Toda si convertì al Buddismo di Nichiren Daishonin nel 1928. Nel 1943 fu incarcerato, insieme al suo maestro Makiguchi, per essersi rifiutato di adattare gli insegnamenti buddisti alle dottrine nazionaliste e guerrafondaie delle autorità giapponesi. Nonostante l’estrema durezza del regime carcerario, Toda continuò a dedicarsi con tutto se stesso alla pratica, studiando il Sutra del Loto, anche attraverso i commenti di Nichiren Daishonin negli Insegnamenti orali, e recitando Daimoku con un juzu fatto di tappi di bottiglia. Nell’autunno del ‘44, quando era ormai detenuto da più di un anno, visse l’esperienza d’Illuminazione che segnò una svolta decisiva nella sua vita: raggiunse l’obbiettivo di comprendere profondamente l’insegnamento contenuto nel Sutra del Loto e sperimentò uno stato vitale di felicità infinita. Negli anni seguenti descriverà questa esperienza come il più grande beneficio ricevuto dal Gohonzon. La storia della Soka Gakkai inizia da qui.
Il presidente Ikeda ha scritto: «Il mio maestro Josei Toda durante la prigionia decise che avrebbe cercato di leggere e comprendere con tutto se stesso il Sutra del Loto. Con preghiere concentrate recitò Daimoku circa diecimila volte al giorno mentre leggeva ripetutamente il sutra. Concentrando e affinando al massimo ogni sua facoltà spirituale Toda giunse all’intuizione, accompagnata da un’immensa e incrollabile condizione vitale, che il Budda non è altro che la vita stessa. La crescita costante della SGI trae la sua origine spirituale e la sua fonte di ispirazione da quell’esperienza di Toda» (Daisaku Ikeda, Proposta di pace 2001).
Quando Toda raccontava della sua Illuminazione, molti membri rimanevano profondamente affascinati e chiedevano come avrebbero dovuto praticare per sperimentare quello stato vitale. Toda, con la sua solita ironia, rispondeva: «Beh, provate a passare un po’ di tempo in carcere per proteggere il Buddismo. Oppure, visto che adesso c’è libertà di religione, dovreste dedicarvi con tutti voi stessi a kosen-rufu».
Nel sedicesimo capitolo Durata della vita del Tathagata, che secondo il Daishonin contiene il cuore dell’insegnamento del Sutra del Loto, si legge: «Quando gli esseri viventi diventano devoti credenti, dall’animo retto e sincero, e desiderano con tutto il cuore vedere il Budda anche a costo della vita, allora io e l’assemblea dei monaci appariamo insieme sul sacro Picco dell’Aquila» (SDL, 16, 302).

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La rivoluzione umana, vol. 4, pagg. 11-14
di Daisaku Ikeda

L’ambiente intorno a lui era assolutamente privo di compassione, Toda non era altro che un detenuto arrestato in tempo di guerra. Tuttavia, benché la sua salute fosse minata dalla denutrizione, egli rifiutava di venire meno agli obiettivi che si era prefissato. Al limite delle forze, era dimagrito in modo impressionante e i vestiti addosso a lui sembravano appoggiati su una gruccia; nondimeno egli recitava Daimoku senza esitare.
Verso la metà di novembre aveva raggiunto i due milioni di Daimoku. Una mattina, mentre recitava Daimoku e cercava di godersi i pochi raggi di sole che entravano nella cella dalla piccola finestra, ebbe la sensazione che la sua voce si spingesse lontano.
A cosa stava pensando? Forse era preoccupato dagli affari, dato che aveva saputo di essere sull’orlo del fallimento, o piuttosto era assalito dall’ansia di poter uscire al più presto di prigione. La sua famiglia, che attraversava momenti difficili, poteva rappresentare un’altra causa di preoccupazione; d’altra parte anche il suo amato maestro si trovava nello stesso carcere. Ma in realtà nessuno di questi pensieri lo angustiava. Se c’era veramente una preoccupazione, questa era il darsi una spiegazione del significato del quindicesimo capitolo del Sutra del Loto, intitolato Emergere dalla terra, su cui si era soffermato per diversi giorni. Ormai quelle frasi si erano impadronite di un angolo della sua mente.
Il sole donava un po’ di tepore e una brezza sottile, che entrava dalla finestra, gli carezzava il viso ricordandogli la primavera. Si sentì pervaso da una profonda gioia di vivere, completamente immerso in un turbine di piacevoli sensazioni di pace e serenità, che avevano liberato completamente il campo da ogni altro genere di pensiero. «Innumerevoli Bodhisattva emersero dalla Terra in risposta alla predicazione di Shakyamuni. Ognuno di essi era alla guida di una moltitudine di persone, pari ai granelli di sabbia di sessantamila fiumi Gange. Altri grandi Bodhisattva guidavano schiere minori, composte da un numero pari ai granelli di cinquantamila, quarantamila, trentamila, ventimila o diecimila fiumi Gange».
Improvvisamente, prima che se ne accorgesse, Toda si ritrovò nel mezzo di un’enorme folla, forse simile ai granelli di sabbia di sessantamila fiumi, intenta a venerare il Dai-Gohonzon. Non era un sogno né una visione, e Toda ebbe la sensazione che fosse durata per qualche secondo, ma poteva essersi trattato di minuti o di ore. Fu per Toda un’occasione unica, un’esperienza concreta che provava per la prima volta. Sentì il suo corpo attraversato da fremiti di gioia ed egli, gridando a se stesso che non c’erano dubbi su quanto aveva provato, ebbe la netta sensazione di aver preso parte a quella cerimonia. Dopo qualche istante ritornò in sé e si accorse di dov’era, nella sua cella in un mattino di novembre.
Rimase profondamente colpito da quell’esperienza e non riuscì a trattenere le lacrime che scorrevano incessanti. Si tolse gli occhiali e cercò di asciugarsi con un fazzoletto, ma il flusso era inarrestabile. Si sentì avvolto completamente da una sensazione di serenità immensa. Con il viso ancora solcato dalle lacrime, declamò un passo del sutra: «L’assemblea riunita sul Picco dell’Aquila non si è più dispersa». Di quale evento era stato testimone?
Sprofondò nuovamente nelle riflessioni: «Nichiren ricevette senza dubbio le tre grandi Leggi segrete direttamente dal Budda, come guida di tutti i Bodhisattva della Terra, più di duemila anni fa».
La gioia che provava lo faceva sentire quasi in preda al delirio. Ogni volta che, leggendo il Gosho intitolato Le tre grandi Leggi segrete, si era imbattuto nell’espressione “ricevettero direttamente”, era rimasto perplesso. In quel momento però aveva compreso che non si trattava di una cerimonia immaginaria.
«Io stesso devo aver fatto parte di quella schiera innumerevole, pari ai granelli di sabbia di sessantamila fiumi Gange, e Nichiren Daishonin ne fu il leader supremo; una cerimonia solenne e radiosa, avvenuta in un’epoca senza inizio né fine. Io stesso appartengo alla schiera dei Bodhisattva della Terra!».
Riprese a percorrere la cella avanti e indietro. Poi sedette al tavolino e ripensò: «Sì, si svolse proprio in quel modo».
Prese il sutra in mano e cominciò a leggere il sedicesimo capitolo, Durata della vita. Lesse d’un fiato anche i seguenti otto capitoli, in cui si narra il modo in cui i Bodhisattva ricevono l’incarico di compiere la propria missione e giunse al ventiduesimo capitolo, intitolato Affidamento.
Ebbe una sensazione di grande familiarità con gli ideogrammi che leggeva e gli sembrò che stesse leggendo un suo quaderno di appunti. Le stesse parole che fino a poco prima erano rimaste avvolte nell’oscurità adesso erano chiare, quasi ovvie. Non riusciva a credere ai suoi occhi. L’unica cosa di cui non era affatto stupito era del modo in cui era giunto a penetrare il grande mistero.
Esclamò con fierezza a se stesso: «Bene, questo è il destino della mia vita! Non dimenticherò mai questo giorno e porterò a compimento la mia missione di propagare questo supremo insegnamento!»
Toda si era risvegliato alla sua missione.

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Il Sutra del Loto
invito alla lettura

Cap. XVI, Durata della vita del Tathagata, pagg. 302-304

Quando gli esseri viventi diventano devoti credenti,
dall’animo retto e sincero,
e desiderano con tutto il cuore vedere il Budda
anche a costo della vita,
allora io e l’assemblea dei monaci
appariamo insieme sul sacro Picco dell’Aquila.
Allora io dico loro
che sono sempre qui, che non mi estinguo mai,
ma che, in virtù del potere degli espedienti,
a volte sembra che io sia morto, a volte no;
dico anche che se vi sono esseri viventi in altre terre,
rispettosi e sinceri nel loro desiderio di credere,
allora io predico la Legge suprema
anche presso di loro.
Ma voi non avete mai udito queste mie parole,
così pensate che io scompaia.
Quando osservo gli esseri viventi
li vedo annegare in un mare di sofferenze;
perciò non mi mostro,
facendo scaturire il loro desiderio.
Poi, quando i loro cuori bramano la mia venuta,
faccio il mio avvento e predico la Legge per loro.
Questi sono i miei poteri sovrannaturali.
Per asamkhya kalpa
sono sempre vissuto sul sacro Picco dell’Aquila
e in diversi altri luoghi.
Quando gli esseri viventi assistono alla fine di un kalpa
e tutto arde in un grande fuoco
questa, la mia terra, rimane salva e illesa,
costantemente popolata di dèi e di uomini.
Le sale e i palazzi nei suoi giardini e nei suoi boschi
sono adornati di gemme di varia natura.
Alberi preziosi sono carichi di fiori e di frutti
e là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio.
Gli dèi suonano tamburi celesti
creando un’incessante sinfonia di suoni.
Boccioli di mandarava piovono dal cielo
posandosi sul Budda e sulla moltitudine.
La mia pura terra non viene distrutta,
eppure gli uomini la vedono consumarsi nel fuoco:
ansia, paura e altre sofferenze
predominano ovunque.
Questi esseri viventi con molte colpe,
per il karma creato dalle loro azioni malvagie,
trascorrono asamkhya kalpa
senza udire il nome dei tre tesori.
Ma coloro che praticano vie meritorie,
che sono gentili, miti, onesti e retti,
tutti loro mi vedranno
qui, in persona, intento a predicare la Legge.
In certe occasioni io spiego a questa moltitudine
che la durata della vita del Budda è incalcolabile,
e a coloro che vedono il Budda solo dopo molto tempo
spiego quanto sia difficile incontrare il Budda.

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