La questione ambientale è diventata complessa e dalle dimensioni gigantesche. L’ottica che offre il Buddismo parte dalla singola, piccola azione, per diffondere la consapevolezza che un grande cambiamento può partire solo dal risveglio delle coscienze
«L’idea di sicurezza umana si basa sull’idea fondamentale di proteggere la vita delle persone. Questo modo di pensare è emerso dalla riflessione sulle varie questioni globali che minacciano l’esistenza stessa dell’umanità, come i conflitti sociali, le discriminazioni e le altre violazioni dei diritti umani, l’aumento della povertà e la distruzione dell’ambiente» (MDG, 1, 105).
Queste parole di Daisaku Ikeda, presidente della SGI, forniscono lo spunto per alcune considerazioni su quel vasto e complesso insieme di relazioni che chiamiamo ambiente. Quando parliamo di questione ambientale infatti ci riferiamo a una serie di problemi, piccoli e grandi, nuovi o ricorrenti: l’effetto serra, l’inquinamento atmosferico da gas di scarico delle auto, le chiazze di petrolio sulle coste del Portogallo e della Francia, la desertificazione della savana, lo scioglimento dei ghiacciai alpini, ma anche la bottiglia di plastica abbandonata nel prato dopo il picnic o la cicca di sigaretta buttata dal finestrino dell’auto in un torrido pomeriggio d’estate. Tutti problemi che, considerati globalmente o singolarmente, possono essere fonte di angoscia e preoccupazione. È ormai un dato di fatto che le risorse energetiche tradizionali (carbone, gas naturali, petrolio) sono tutt’altro che illimitate e che l’acqua è un bene prezioso e in via di esaurimento. Ce ne accorgiamo, tanto per fare un esempio, quando, ogni nuova estate, le ore di rubinetti a secco si allungano nelle nostre case.
È anche vero però che all’angoscia e alla preoccupazione passiva è possibile, come per ogni altro aspetto della vita, sostituire una preoccupazione attiva e una reazione creativa.
Proprio Nichiren Daishonin, nel Rissho ankoku ron, ci ha fornito una forte indicazione in tal senso affermando che «se vi preoccupate anche solo un po’ della vostra sicurezza personale – suggerisce – dovreste prima di tutto pregare per l’ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quartieri del paese» (SND, 1, 43). Quindi possiamo innanzitutto usare la preghiera, indirizzando il nostro Gongyo e il nostro Daimoku anche verso quei problemi che più colpiscono la nostra sensibilità.
In senso lato, già il fatto di pregare per un problema è una causa per il cambiamento di quel problema. Così come la nostra preghiera cambia il karma personale e familiare, allo stesso modo è la causa fondamentale per trasformare il karma dell’umanità e del pianeta.
«Il Buddismo insegna che la vita delle persone e la vita universale sono la stessa cosa, che l’intero universo esiste nell’istante vitale di ogni essere umano e che la vita è inseparabile dal suo ambiente – affermava Josei Toda nel romanzo La rivoluzione umana. – In un’epoca in cui l’intera popolazione agisce per ostacolare il flusso di kosen-rufu, le vite dei singoli si contaminano e le loro menti vengono sopraffatte dalle condizioni inferiori definite i tre cattivi sentieri. L’ambiente risponde a questa condizione umana interiore. Non è affatto sorprendente che nell’ambiente si manifestano gli aspetti del mondo d’Inferno o di Collera, che sfuggono a ogni controllo e minacciano di distruggere gli esseri umani» (RU, 12, 7-8).
La trasformazione interiore, il cosiddetto innalzamento dello stato vitale, è lo strumento che il praticante buddista ha a disposizione per innescare un cambiamento in ciò che lo circonda. Ma può realmente bastare recitare Daimoku, Gongyo, andare alle riunioni e parlare del Buddismo agli altri per risolvere questioni così complesse come la sopravvivenza dell’intero pianeta e di tutto ciò che esso comprende?
«Il Buddismo è come il corpo, e la società come l’ombra. Quando il corpo si piega, si piega anche l’ombra» (Confronto fra il Sutra del Loto e gli altri sutra, SND, 5, 70). Dunque, «i disastri naturali sorgono dalla disarmonia fra società umana e ambiente naturale. Quando fra le persone abbondano odio e disprezzo e la società è travagliata dai conflitti» spiega ancora Daisaku Ikeda – «anche la minima perturbazione naturale può creare un’ingente calamità. In un certo senso è la forza vitale collettiva degli esseri umani e della società che determina la portata e l’intensità dei disastri» (MDG, 1, 104-105).
Questo non è che il principio buddista dell’unicità di corpo e ambiente (esho funi), che spesso facciamo fatica ad accettare. Perché è difficile concepire che tra noi e gli altri, pur nella diversità, non esista alcuna differenza e perché abbiamo paura di cambiare.
Cosa fare, allora, per sviluppare una diversa consapevolezza di sé, dei propri valori e del proprio ruolo nei confronti degli altri e della natura? Come conquistare una visione equilibrata del mondo e avere un comportamento adeguato volto alla soluzione delle problematiche ambientali?
«È molto, molto importante che ognuno di noi agisca a livello locale. Perché se riflettiamo sui problemi globali ci sentiamo impotenti, ma se agiamo a livello locale abbiamo la capacità di cambiarli» afferma la biologa keniota Wangari Maathai all’inizio del documentario Una rivoluzione tranquilla presentato al Summit sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, insieme alla mostra Semi di cambiamento, organizzata dalla Soka Gakkai in collaborazione con l’Iniziativa per la Carta della Terra, che sta attualmente circolando in tutto il mondo. Più di trent’anni fa, la professoressa Maathai si rese conto che il disboscamento delle montagne del Kenya avrebbe avuto conseguenze devastanti per gli abitanti e per l’ambiente. Così cominciò a incoraggiare le donne nelle campagne a piantare alberi, che oltre a ridurre i rischi della deforestazione avrebbero contribuito a migliorare la qualità dell’alimentazione dei loro figli e delle loro famiglie. E queste donne sono diventate sempre di più, fino a costituire il Movimento di Green Belt, la cintura verde, decine di migliaia di donne che insieme ai loro bambini, in tutto il Kenya, hanno piantato più di venti milioni di alberi.
In Una rivoluzione tranquilla, trasmesso in numerosi paesi del mondo attraverso il canale satellitare National Geographic, vediamo cambiare drasticamente la situazione, apparentemente irrisolvibile, di un villaggio cronicamente afflitto dalla siccità in India e di un lago inquinato dai PCB (bifenili policlorurati: inquinanti organici preesistenti che si accumulano nell’organismo umano attraverso il contatto e l’ingestione, danneggiano il sistema immunitario, la tiroide, il sistema nervoso e gli organi riproduttivi. Sono ritenuti cancerogeni e persistono nell’ambiente dopo generazioni e generazioni) in Slovacchia. Sono altre due dimostrazioni illuminanti del grande potere di trasformazione che possono esercitare le persone comuni quando decidono di unirsi e agire per cambiare le condizioni del luogo in cui vivono.
Ci sono infiniti esempi non solo di quello che si può fare per rimediare ai danni del passato ma anche della possibilità di operare scelte economiche diverse che pongano al centro il benessere presente e futuro dell’umanità (vedi riquadri nelle pagine precedenti).
Infine va osservato che per far sì che questi primi semi di un agire umano orientato verso la costruzione e non verso la distruzione germoglino e crescano sempre più nel futuro è indispensabile l’educazione. Come osservava Daisaku Ikeda nel suo messaggio al Summit sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg «una risoluzione concreta della crisi ambientale richiede indubbiamente un maggiore impegno di conoscenze, tecnologie e capitali ma ciò che di fondo è ancor più carente sono elementi intangibili come il senso di solidarietà, la comunanza di scopi fra tutti gli abitanti delle terra e il senso di responsabilità nei confronti delle generazioni future. E […] l’educazione riveste un ruolo di vitale importanza nel far sì che le persone possano considerare i problemi dell’ambiente come una preoccupazione personale e per armonizzare i loro sforzi per costruire un futuro comune
Possiamo, anzi, ognuno di noi può, fare un sacco di cose per salvare il nostro ambiente. E soprattutto possiamo farle con la consapevolezza che, non sono mai piccole, farle con fiducia nell’immenso valore della vita di ogni essere umano e nell’altrettanto immenso potere creativo che ogni singolo individuo possiede. Come affermava Wangari Maathai: «A volte mi dico che forse sto solo piantando un albero qui, ma immaginate cosa accadrebbe se miliardi di persone là fuori facessero qualcosa. Provate a immaginare il potere di ciò che possiamo fare».
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La fabbrica del sole
La Solvis sorge in Germania, vicino a Hannover dove fabbrica apparecchiature per lo sfruttamento dell’energia solare. E può vantarsi che anche le sue tecniche di produzione non hanno un impatto nocivo sull’ambiente. La fabbrica è stata progettata per eliminare ogni spreco, dalla luce al riscaldamento all’acqua. L’edificio di 800 metri quadrati si articola intorno al corridoio centrale che mette in comunicazione diverse sale di produzione risparmiando molta energia, non ultima quella umana. La luce naturale penetra direttamente dal tetto e le pareti sono dotate di aperture sul paesaggio che danno l’impressione di lavorare in campagna. Dopo le 22 la luce si spegne automaticamente e anche nei bagni, privi di interruttori, si accende solo quando entra qualcuno. Per la costruzione sono stati usati materiali naturali come il legno e il cemento solo dove indispensabile. Anche l’acqua viene risparmiata al massimo e i gabinetti funzionano con la tecnica ad aspirazione come negli aerei. In questo modo la Solvis ha ridotto il suo fabbisogno di energia e calore dell’80 per cento rispetto a una impresa tradizionale e il restante 20 per cento è fornito dai pannelli solari.
Certo la fabbrica ecologica costa, ma ha i suoi ritorni. Per costruire questo prototipo di fabbrica pulita il proprietario Helmut Jäger ha speso due milioni di euro in più. Ma ritiene di poter ammortizzare la spesa in dieci anni. Rispetto a un’azienda normale il loro risparmio energetico medio equivale a 150 mila euro l’anno e, se i prezzi del gas e del petrolio continueranno ad aumentare l’investimento di Jäger potrebbe rivelarsi estremamente redditizio ancor prima del previsto.
Fonte: Internazionale
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Impatto zero
In Italia, ci pensa il progetto “Impatto Zero” a ricordare il legame diretto che esiste fra gli esseri umani e l’ambiente. L’obiettivo che si pone è quello di mirare agli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto nell’accordo del 1997 calcolando la compensazione fra l’anidride carbonica prodotta e la riforestazione necessaria per contrastare l’effetto serra. Simone Molteni, ingegnere esperto di energia solare ideatore e responsabile del progetto, spiega che l’obiettivo principale è la sensibilizzazione sia dei cittadini che delle aziende «e far capire in che misura lo stile di vita e i prodotti impattano sull’ambiente. Calcolare cioè le emissioni complessive di CO:SUB:2:SUB-: e suggerire quali boschi e quali foreste aiutare per contrastare l’effetto serra». Per fare un esempio, “Impatto Zero” ha calcolato che per ogni volume pubblicato da una grande casa editrice di libri per ragazzi, si producono circa 750 grammi di CO:SUB:2:SUB-:. E che secondo le modalità approvate a Kyoto per compensare l’impatto ambientale di una copia è necessario un metro quadrato di foresta tropicale. Secondo i calcoli ottenuti con l’aiuto di ricercatori del Politecnico di Torino, del Politecnico di Losanna e dell’Università di Padova, questo editore ha scelto di ottenere l’impatto zero investendo l’uno e mezzo per cento del prezzo di copertina, una scelta vincente a livello d’immagine e che allo stesso tempo reca beneficio all’ambiente.
Fonte: Repubblica