Ai numerosi gruppi linguistici che si incontravano al Centro culturale di New York, nel 2001 si è aggiunto quello italiano, nato grazie alla passione di poche persone che sognavano di ritrovarsi insieme per studiare il Buddismo nella loro lingua d’origine
«Questa terra è talmente splendida che c’è da augurarsi di potervi posare il piede», riportava l’esploratore inglese Henry Hudson nel 1609.
New York City, oggi, si divide in cinque quartieri principali: Manhattan, Queens, Brooklyn, Bronx e Staten Island. Conosciuta dagli anni ’20 come “The Big Apple”, un termine già usato nell’ippica per indicare la meta finale di chi si distingueva in gara, è ora una terra abitata da circa otto milioni di persone, estremamente diversificate dal punto di vista etnico.
Ai numerosi gruppi di studio in lingua straniera già attivi al Centro culturale di Manhattan, si aggiungeva nel 2001 quello italiano. Primo e, finora, unico negli USA, il progetto vedeva i natali per decisione di alcuni membri della Divisione donne. Fra queste, è Alberta Mosele a parlare per prima: «Già nel 2000 Chiara Barile mi parlava del suo sogno di un incontro di studio mensile nella nostra lingua. Il mio entusiasmo poi aumentò, anche grazie alle letture italiane, che mi permisero di comprendere meglio il Gosho. Furono queste le spinte che mi incoraggiarono a concretizzare questo desiderio, che oggi è una realtà».
L’entusiasmo di alcuni di noi è dovuto anche al fatto che questi incontri mensili di studio aiutano a vivere con gradualità l’impegno pragmatico richiesto dal clima culturale statunitense. Ad esempio, Eloisa Miglio dice chiaramente che rifarsi a una cultura così diversa dalla propria non è facile, ma che lei ne ha avuto dei vantaggi: «Proprio così. Ma non avevo capito che la conoscenza non è la condizione essenziale per ottenere la felicità assoluta, e che porre la superiorità del sapere in prima linea può giocare brutti tiri nel quotidiano. Oggi dichiaro onestamente che la fiducia nelle mie possibilità, che prima tendevo a mettere sempre un po’ in dubbio, è soprattutto frutto di questa immersione nel pragmatismo americano».
Davide Marchionni conferma che l’aspetto pratico è fortemente presente nelle riunioni di studio americane, volte a infondere determinazione più che fornire nozioni e concetti sulla filosofia buddista. Con il notevole impegno di Livia Monaco, che si univa a quello di Chiara e Alberta dall’inizio, il numero dei partecipanti alle riunioni è salito da 4 a 40. «L’ attività in sè, senza un “percorso storico” vero e proprio da seguire, non è esente da errori e compromessi, ma comunque ci ha favorito, perché ha portato a conoscersi meglio. Infatti questo gruppo ha creato l’occasione per instaurare dei rapporti di profonda amicizia» spiega Livia, aggiungendo poi che l’incoraggiamento reciproco è la molla che permette di progredire insieme verso kosen-rufu e che, nella fattispecie, ha risollevato il morale dei meno avvezzi a esprimersi in una lingua che non è la propria e posto le basi per una crescita comune.
Domenico Albonetti, che conta al suo attivo svariati anni di pratica buddista, offriva la casa per le nostre recitazioni di gruppo ogni sabato mattina, contribuendo a costruire l’ unità necessaria fra persone che hanno uno scopo comune. Dal lato puramente organizzativo, ci si è arrangiati per tentativi, evitando, da una parte, un eccessivo rigore accademico, utilizzando, dall’altra, sistemi più consoni all’adozione di uno studio in lingua italiana aperto, che si è avvalso sia della collaborazione dei membri residenti a New York, che di persone, fresche di energie, che si fermano da queste parti anche solo per poco. Chiara Barile ci informa sul fatto che più d’uno ha deciso di ricevere il Gohonzon per essere stato nel gruppo e che molti si fermano per fare amicizia e scambiare esperienze.
L’esperienza di Tano d’Antonio, che pratica dall’84 e si è aggiunto al gruppo nel 2002, è utile anche per ridimensionare un pò la confusione in materia religiosa che a New York riesce a intrufolarsi ovunque. Di fatto religioni e filosofie fai-da-te convivono e prosperano sotto gli occhi “assenti” del monumento alla Libertà e le visite di santi e guru sono canoniche. Tano ha avuto occasione di viaggiare in Asia e Medio Oriente dal’95 al ‘96, e visitare quindi la gente e i luoghi di credo buddisti, Mahayana e non. «Le offerte ai preti si sprecano – ci racconta – Budda e santi sono venerati un po’ ovunque, il folklore religioso è opulento e si esprime con grandi cerimonie e ritiuali mistici. Ma la fortuna non si affretta in questi luoghi, e invece fame e catastrofi gareggiano nel tormentare le persone, mentre, sui tetti d’oro puro dei templi sacri, regna il silenzio». Oggi Tano, avvantaggiandosi anche delle guide di Ikeda che ci incoraggia «ad affrontare ogni possibile difficoltà con lo spirito del re leone per kosen-rufu» condivide spesso questa esperienza per spiegare che «la pratica nella Soka Gakkai è quella che si adatta meglio alle varie realtà dei nostri giorni, perché implica una disciplina che consente di elevare la propria condizione vitale».
E ciò vale specialmente dopo i tristi fatti dell’11 settembre che hanno diffuso nuovi dubbi. Nei nostri incontri di studio le teorie del Buddismo sono spesso accompagnate da esperienze, per rafforzare la comprensione. La natura poliedrica dei gruppi newyorkesi, invece, non sempre riesce a usare metafore e concezioni culturali comuni. Si preferisce adottare, quindi, espressioni e parole che non lascino spazio al fraintendimento. Inoltre il livello di comprensione dell’ inglese dei partecipanti a questi meeting non è omogeneo, pertanto il responsabile di queste zone dovrebbe essere dotato di un bagaglio faraonico di fede e pazienza.
Antonio Barbagallo, che pratica dal ’90 e ci segue dagli inizi, afferma che per sentirsi a proprio agio nel proporre una “nostra” cultura in questa atmosfera così multietnica, è veramente utile un lavoro di concertazione fra molti, più che di “assoli”, a meno di non voler essere considerati “alieni” veri e propri (espressione che ci definisce già dal punto di vista legale, in quanto stranieri residenti).
Sulle pubblicazioni ci sembra utile riportare un accenno di Fulvia d’Orlando, ventidue anni: «Quelle americane mi piacciono molto, le trovo più adatte ai ritmi di vita di New York, ma penso che i riferimenti culturali che colgo nelle riviste italiane mi aiutano ad approfondire meglio lo studio». Alcune delle nostre riunioni di studio sono state estrapolate dalle riviste buddiste americane grazie alle ottime traduzioni di Donatella Saroli, che si è unita al gruppo nel 2002. Parte del materiale italiano è stato messo a disposizione dalla signora Franca d’Errico (che pur mantenendosi dietro le quinte si è presa cura di alcuni di noi nei momenti di vero bisogno), e molta della nostra fiducia in questo progetto è aumentata grazie all’attenzione dei membri in Italia che ci hanno incoraggiato con lettere personali, spiegazioni di Gosho via fax e informazioni utili.
Il “sogno di Chiara”, oggi, pone le basi per ispirare altri italiani nel mondo a organizzare a loro volta gruppi di studio buddisti pioneristici che sono di grande vantaggio per chi vive all’estero. Nell’immediato futuro contiamo di poterci inserire in un corso per italiani al Florida Nature and Culture Center (corrispettivo americano del Centro europeo di Trets).
Praticando la Via di mezzo, siamo cresciuti, usando entrambe le pubblicazioni allo scopo di rendere comprensibili gli argomenti e tenendo conto del contesto nel quale viviamo e in cui ci inseriamo con l’aiuto di Nichiren che, come sempre, ci indica la Via: «Come l’acqua di tutti i fiumi diviene salata entrando nell’oceano, così le persone di differenti capacità per i vari insegnamenti, giungono alla Buddità entrando nel Sutra del Loto» (Il sapore del sale, SND, 6, 242).
È questa la nostra pietra miliare, oggi, per realizzare il sogno del Budda.
Melania Bettarelli
Chi volesse contattare il gruppo di studio italiano a New York City per partecipare o scambiare materiale può rivolgersi a:
albertamosele@verizon.net
chiarabarile@hotmail.com