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Giusto e sbagliato - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:44

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Giusto e sbagliato

Il Buddismo non pretende né di avere in tasca verità da imporre ai fedeli, né di distribuire dettami comportamentali. Quello che offre è uno strumento per la crescita individuale e per imparare a sviluppare autonomamente una saggezza sempre più vasta che scaturisce dal sincero desiderio della felicità di ogni singolo individuo

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Il Buddismo non pretende né di avere in tasca verità da imporre ai fedeli, né di distribuire dettami comportamentali. Quello che offre è uno strumento per la crescita individuale e per imparare a sviluppare autonomamente una saggezza sempre più vasta che scaturisce dal sincero desiderio della felicità di ogni singolo individuo

Un amico mi chiede: «Ma come buddista cosa pensi della manipolazione genetica degli embrioni?». Niente di strano, in Italia c’è stato da poco un referendum sulla questione, se ne parlava spesso e sarà capitato a molti di sentirsi rivolgere la domanda in quanto buddisti. Altre volte la domanda magari riguarda l’eutanasia, l’aborto, i matrimoni gay o altri argomenti controversi. Una domanda che appare legittima, visto che siamo bombardati dalle opinioni non solo dei partiti politici, ma anche di fedi religiose diverse che assumono di volta in volta posizioni precise sulle varie questioni.
Anche durante la riunione di discussione periodica può capitare di sentir chiedere: «Ma cosa pensa il Buddismo di questo e di quell’altro?».
La risposta possibile probabilmente è: il Buddismo non “pensa” proprio niente. Anche se a volte, in una prospettiva magari infantile ma comoda e rassicurante, sarebbe bello avere una persona, un responsabile o, perché no, un presidente buddista che “pensi” per noi. Una fede che ci dica in anticipo cosa è giusto – con la g maiuscola – e cosa è sbagliato, che ci predisponga un mondo o tutto bianco o tutto nero dove sarebbe facile distinguere lucidamente tra buoni e cattivi.
Certo il Buddismo parla di Buddità, di oscurità innata, di demoni. E di legge di causalità che regola tutti i fenomeni e guida invisibilmente azioni e reazioni. Anche il karma, sia individuale che collettivo, si forma seguendo il principio che a una causa corrisponde prima o dopo un effetto, con la certezza che il seme piantato produce nello stesso istante anche l’effetto, anche se sarà visibile molto dopo.
E anche se queste categorie potrebbero far pensare a una divisione netta tra bene e male, appena si studia un po’ si scopre che nessun fiore di loto nasce senza il fango che lo nutre, che i demoni si trasformano nei nostri migliori alleati, che quel cattivone di Devadatta fu il “buon amico” di Shakyamuni e l’ufficiale che lo voleva decapitare, Hei no Saemon, lo fu per Nichiren. Quindi, anche senza addentrarsi nell’argomento, ci sembra di poter concludere che le categorie del bene e del male assoluto non fanno parte degli insegnamenti buddisti. Il Buddismo si concentra sull’attivazione delle qualità umane della saggezza e della compassione e insegna che, basando la vita su una profonda compassione e rispetto per se stessi e per gli altri, comprenderemo naturalmente qual è il miglior modo di vivere e come scegliere fra pensieri giusti e pensieri sbagliati, fra parole giuste e parole sbagliate, e fra azioni giuste e azioni sbagliate. Ovviamente non senza fatica, perché sempre di un lavoro di ricerca si tratta.
Anche i consigli su come comportarsi, a volte estremamente dettagliati, che Nichiren rivolge nel Gosho ai suoi discepoli sono sempre legati a uno specifico individuo e alla sua realtà contingente, non sono astratte norme di condotta che “devono” valere per tutti. Se Nichiren dice a Shijo Kingo di stare a casa con sua moglie quando beve sakè, fornisce sì indicazioni precise, con estrema cura e attenzione per l’altro, ma ovviamente sono consigli legati ai pericoli che circondavano Kingo in quel dato momento. Da queste indicazioni ognuno può trarre un invito generale alla saggezza e alla prudenza, non certo la proibizione di andare a bere nei locali pubblici. Il punto su cui invece il Daishonin insiste di continuo è che tutti quanti possiedono la natura di Budda e che la vita è eterna. Il suo unico “comandamento” è l’invito a non abbandonare mai il Gohonzon per non distruggere i semi della Buddità, ovvero per non abbandonare l’opportunità di manifestare la nostra natura di esseri umani illuminati. Ne L’eredità della Legge fondamentale della vita scrive: «L’eredità del Sutra del Loto fluisce nella vita di coloro che non lo hanno mai abbandonato in nessuna esistenza, nel passato, nel presente e nel futuro. Ma coloro che non credono nel Sutra del Loto e lo offendono “distruggeranno immediatamente tutti i semi per divenire Budda in questo mondo”» (WND, 217. Vedi anche SND, 4, 223-224). Certo, a questo fanno da corollario molte altre indicazioni: avere la stessa mente di Nichiren, realizzare il desiderio del Budda, realizzare la propria missione. L’atteggiamento è sempre quello di creare valore, di usare qualsiasi cosa la vita ci mette di fronte per diventare sempre più forti per sé e per gli altri. E continuare fino all’ultimo istante ad approfondire la fede.
Il viaggio intrapreso da Shakyamuni, nella sostanza, è stato una ricerca verso la profondità dell’essere umano che lo ha portato a percepire l’inseparabilità fra la sua vita e l’universo. E giungendo alla consapevolezza che tutto è collegato e niente è separato come sembra, riuscì a comprendere la non separabilità fra il bene il male. Si racconta che una volta alla domanda di quali animali si dovesse smettere di uccidere per cibarsi, Shakyamuni rispose che basterebbe «uccidere la volontà di uccidere». Daisaku Ikeda commenta così le parole del Risvegliato: «La risposta di Shakyamuni non riflette né evasione né delusione, ma si fonda sul concetto di origine dipendente. Egli dice che, nella ricerca di quella relazione armoniosa basata sul rispetto per la sacralità della vita, non ci si deve limitare al livello fenomenico in cui esistono l’ostilità e il conflitto (in questo caso, quale sia l’essere vivente che si possa uccidere e quale no). Si deve cercare l’armonia a un livello più profondo – un livello in cui sia possibile “uccidere la volontà di uccidere”. Più che una consapevolezza obiettiva, dobbiamo raggiungere uno stato di compassione che trascenda le distinzioni fra il sé e l’altro […] in termini concreti, la questione più importante per noi, come individui, è come attivare le nostre fonti interiori di energia e saggezza» (Un nuovo umanesimo, “L’età del potere morbido”, Esperia, pagg. 218-219).
Un altro spunto interessante di riflessione viene dal precetto di zuiho bini (seguire i costumi dell’epoca e del luogo), che si ritrova nel Gosho Sulle mestruazioni. Questa lettera è la risposta a una donna che aveva chiesto se doveva evitare di leggere il sutra (oggi diremmo evitare di fare Gongyo) durante il periodo mestruale, dato che nel Giappone medievale per una donna era sconveniente seguire pratiche religiose durante quel periodo considerato impuro. Nichiren le risponde che non ci sono proibizioni del genere nei sutra, e dunque non ci dovrebbero essere problemi. Ma aggiunge che nei sutra si trova invece il precetto di “seguire i costumi dell’epoca e del luogo”, che spiega in questo modo: «In sostanza questo precetto insegna che, a meno che non vi sia un eccessivo divario, bisognerebbe seguire gli usi e costumi del paese anche se si discostano leggermente dagli insegnamenti buddisti» (SND, vol. 8, pag. 96).
Che significa questo? Ci si “può” discostare dagli insegnamenti buddisti? Ma allora tutte le altre lettere in cui Nichiren si scaglia con forza contro i calunniatori della Legge e ribadisce di fare molta attenzione a non seguire pratiche errate e anzi a confutarle con il massimo rigore? Da vivo, Nichiren ha subito due esili e una condanna a morte per aver paragonato la scuola Zen a un’invenzione del demone, per aver affermato senza mezzi termini che la scuola della Vera Parola (Shingon) era una dottrina perversa che avrebbe distrutto il paese. Insieme alla scuola Nembutsu, quelle erano le dottrine comuni e diffuse nel suo paese, e Nichiren non si adeguò certamente. E in questa lettera dice invece che ci si può discostare dagli insegnamenti buddisti?
In un altro scritto, Lettera ad Akimoto (SND, 9, 101), Nichiren prende spunto dalle ciotole di lacca che gli erano state regalate per spiegare che la fede può avere quattro difetti simili a recipienti malfatti. Il contenitore può essere inservibile perché sigillato da un coperchio, perdere acqua, essere contaminato o il contenuto può essere un “miscuglio” inutile di cibo e sporcizia. Il miscuglio si riferisce appunto al mescolare insieme la pratica corretta con altri insegnamenti, che Nichiren paragona a versare sabbia o sassi dentro al riso che diventa immangiabile o se viene mangiato diventa nocivo.
Allora come mai, secondo il precetto di “seguire i costumi dell’epoca e del luogo”, ci si può discostare leggermente dagli insegnamenti buddisti per seguire gli usi e i costumi del paese? È dunque solo una questione di misura e di buon senso? Probabilmente no, è proprio una questione di sostanza. Se si sviluppa in noi il desiderio innato del Budda di rendere felici tutte le persone e questo diventa sul serio il comportamento di base della nostra esistenza, adeguarsi a un’usanza diventa una faccenda secondaria, utile magari per farsi accettare e stabilire un dialogo con gli altri, basandosi su una fede pura che corrisponda in concreto al pensiero espresso nelle parole che concludono ogni giorno la cerimonia di Gongyo: «Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?».
Anche per quanto riguarda l’associazione buddista nel suo complesso, Ikeda è molto chiaro: afferma che la Soka Gakkai è un mezzo per rendere felici le persone e non un fine, e ribadisce molte volte che il modo corretto di vivere è quello di esprimere al massimo la propria umanità e che il sodalizio di tanti individui diversi che lavorano per la felicità propria e degli altri è kosen-rufu.
Rivolgendosi ai giovani, per esempio, Ikeda spiega che le cosiddette pene d’amore sono tante e varie, che ognuno ha una sua personalità e che per questo motivo non ci possono essere delle regole prestabilite, applicabili indistintamente a tutti. «Inoltre, ognuno di noi è perfettamente libero di innamorarsi o di sentirsi attratto da qualcuno. Anche la scelta della persona con la quale si ha il piacere di uscire è una questione strettamente personale: nessuno ha il diritto di interferire nella vostra vita privata» (I protagonisti del XXI secolo, esperia, 2000, pag. 57). Sempre sullo stesso argomento offre ai giovani anche dei consigli e, come persona con un po’ più di esperienza, ci tiene a mettere in rilievo quanto sia importante perseguire il proprio sviluppo personale fin dalla giovinezza e non perderlo mai di vista. Detto questo, sempre a proposito dell’organizzazione, dei suoi fini, delle sue idee, precisa: «La Gakkai non spiega ai suoi membri come dovrebbero vivere e nemmeno li porta in direzioni malvagie: uno dei principi fondamentali della Gakkai è l’autosviluppo delle persone e se l’organizzazione esiste è per metterle in condizione di procedere lungo un percorso di felicità e di crescita personale» (Ibidem, pag. 256). Ognuno quindi dovrebbe riflettere e diventare sempre più consapevole del significato che rivestono concretamente i principi buddisti nella propria vita e imparare a distinguere fra certe interpretazioni superficiali “buddesi” che circolano all’interno della comunità dei credenti – come è normale che accada in qualsiasi gruppo strutturato di persone – e quello che davvero spiega il Buddismo. Per fare un esempio, nel Buddismo non è vero che è “vietato” lamentarsi, è solo controproducente per la propria vita e spesso anche per le relazioni con gli altri. Poi, ognuno si regoli come meglio crede. Prima mi illumino, prima contribuisco ad accelerare il movimento di kosen-rufu, ma solo la mia coscienza ha il diritto di farmi fretta, non certo qualcun altro.
Ma alla fine cosa rispondo alla domanda del mio amico sulla visione buddista rispetto alla manipolazione degli embrioni? Credo che quello che posso dirgli è solo l’opinione personale che mi sono fatta in materia, ma magari, già che ci sono, ho voglia di parlargli anche di Nam-myoho-renge-kyo, dell’insegnamento di Nichiren Daishonin, che trascende i confini nazionali, le classi sociali e qualsiasi altra distinzione, e di questo sodalizio di persone che ha come scopo fondamentale quello di far conoscere anche agli altri una via verso la felicità e la pace.

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