È arrivato il momento di pensare al ricambio generazionale dentro l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Per assicurare lo sviluppo futuro, è necessario dare fiducia ai giovani e sostenere le loro attività
Redazione: Il presidente Ikeda ci parla sempre del ruolo fondamentale dei giovani per kosen-rufu, cosa si può fare per favorirne la crescita? E che cosa si aspetta l’Istituto Buddista Italiano dalla Divisione giovani?
Nakajima: Vorrei parlare innanzitutto degli obiettivi comuni a tutti i membri delle varie Divisioni (uomini, donne e giovani): compiere la propria rivoluzione umana e realizzare kosen-rufu. Questi obiettivi sono uguali sia per i giovani che gli adulti, stiamo cercando tutti di realizzare questi obiettivi il prima possibile.
Ovviamente, i modi per realizzare questi obiettivi sono diversi, in base alle differenti fasce di età, ma non esiste un modo giusto e uno sbagliato. Si può dire che dai giovani ci aspettiamo un’attività promossa dai giovani, e non copiata dagli adulti. Se gli adulti in continuazione danno consigli ai giovani su come fare o su come evitare errori, loro non possono svilupparsi. I consigli sono utili ma l’attività promossa dai giovani deve essere loro; sono loro che riescono a fare shakukuku agli altri giovani, gli adulti più facilmente parlano di Buddismo con altri adulti.
La loro forza sta nella capacità di far praticare altri giovani. La realtà della Soka Gakkai italiana attualmente rispecchia quella della società: tanti adulti e poche nascite. Se le cose non cambieranno, l’associazione buddista diventerà come una piramide rovesciata che poggia sulla parte più stretta, e prima o poi cadrà. Questo vale per qualsiasi organizzazione, senza il ricambio dei giovani non c’è progresso.
Redazione: Pensando ai primi anni del movimento buddista in Italia, sviluppato grazie a giovani spinti da forti ideali che desideravano vedere cambiamenti concreti, oggi l’Istituto è invecchiato: perché è successo questo secondo te? Questi giovani, una volta diventati adulti, forse non sono stati capaci di trasmettere questa spinta rivoluzionaria ai nuovi giovani?
Nakajima: Sì, un po’ è successo questo, poi si deve dire che anche i giovani sono differenti da un decennio a un altro: adesso, in questo ultimo periodo, stanno iniziando a praticare tanti giovanissimi.
In generale mi accorgo sempre di capire col tempo i consigli del presidente Ikeda: da una parte c’è il consiglio di basare la fede sullo studio del Gosho, poi quest’anno è stato intitolato “Anno dei giovani e dell’espansione” e, come terza cosa, lui sta spiegando che per il momento non viaggia per il mondo anche perché così ha la possibilità di seguire le organizzazioni in tutto il mondo e aiutarle a costruire basi solide per kosen-rufu. Da parte mia, mi sforzo di cercare di realizzare quello che propone il presidente Ikeda.
Questi tre punti, lo studio del Gosho, l’Anno dei giovani e analisi dello sviluppo dei vari paesi, mi hanno fatto rafforzare la convinzione che in questo momento ci fosse bisogno di concentrarsi sulla crescita dei giovani.
Redazione: Esattamente in cosa consistono le novità?
Nakajima: L’anno scorso dopo l’estate abbiamo cominciato a pensare di proporre che i responsabili nazionali giovani dovessero avere meno di trent’anni.
Ripensando anche alla mia esperienza, quando sono arrivato in Italia a ventiquattro anni, anche se io avevo iniziato a praticare il Buddismo in Giappone a quindici anni, non avevo accumulato più di sei anni di esperienza nell’attività buddista. Che cosa mi spingeva a darmi da fare? Solo il Gosho e i consigli di Ikeda! Questi sono stati gli unici sostegni. Allora, ho pensato, perché io non dovrei dare fiducia ai giovani? Anche quando ho fatto io attività all’inizio in Italia sicuramente è stato difficile. Quando sono arrivato a Roma c’era un signore giapponese che ci offriva la sua casa come luogo di riunione e preparava del materiale di studio in italiano: altro non faceva, ma noi portavamo a casa sua gli shakubuku e il movimento buddista cresceva.
Redazione: E in cosa consiste principalmente l’attività dei giovani?
Nakajima: Con i giovani vorrei parlare solo di fede, per il resto devono sentirsi liberi di essere creativi; come organizzare la propria attività riguarda i giovani, noi adulti possiamo parlare con loro solo di fede. Invece, attualmente la difficoltà è che non si riesce ad avere momenti nei quali ci si incoraggia nella fede, siamo troppo frazionati fra le varie divisioni. Questo cambiamento relativo all’età dei responsabili giovani è necessario perché ci siano le condizioni adatte per accogliere nuovi shakubuku, e questo sta già iniziando ad accadere in questi ultimi mesi. Ci sono dei capitoli che adesso hanno già una trentina di giovani, stanno arrivando ragazzi sui sedici anni: sono fortissimi e dal cuore sincero. L’attività dei giovani deve essere libera, non condizionata dagli adulti, sennò ritardiamo lo sviluppo complessivo, adesso è una necessità vitale.
Ma questo cambiamento in un primo momento riguarderà solo i responsabili nazionali, che si dovranno occupare delle attività delle loro singole zone. Piano piano interesserà anche altri livelli, ma di questo ne parleremo anche insieme al Corso estivo nazionale. Le decisioni devono essere valutate con serenità e senza fretta, tutti devono avere il tempo di ragionare.
Redazione: C’è una età di riferimento in cui si esce dalla Divisione giovani?
Nakajima: Per adesso, la soglia può rimanere anche quella dei trentacinque anni, l’importante è che l’attività assuma le caratteristiche “giovani” di cui si è parlato. Ma se qualcuno sente di avere bisogno ancora di un po’ di tempo prima di fare questo passo, nessuno gli metterà fretta.
Adesso i giovani di venti anni hanno difficoltà a parlare con chi ha più di trent’anni, le generazioni cambiano velocemente. Semplicemente vorrei rinnovare lo spirito “giovane”, più che l’età. Ci sono giovani di età che sono vecchissimi nello spirito… i giovani devono avere voglia di cambiare, di agire con serietà, allora possono fare quello che vogliono, questo non è un problema!
Questo cambiamento inizia dai responsabili nazionali, non sto chiedendo che tutti i responsabili abbiamo meno di trent’anni, sarà una trasformazione che si attuerà con calma.
Riflettendo sulle perplessità che si hanno a volte sui giovanissimi e ripensando alla mia esperienza, anch’io non sapevo niente ma ho portato avanti l’attività buddista anche con degli errori. Non possiamo pensare di fare qualcosa quando siamo pronti, perché è facendo che si impara. Se si ha paura di studiare, si impara a farlo mano a mano. Anche nei confronti dei nuovi responsabili si deve usare questo criterio: è portando avanti questa responsabilità che impareranno a farla bene.
Redazione: Come possono collaborare al meglio le quattro divisioni all’interno di un settore o di un capitolo?
Nakajima: In effetti l’attività in un settore o in un capitolo dovrebbe essere come quella di una famiglia, con i momenti nei quali ci si ritrova tutti insieme, per esempio nella famiglia questo avviene la mattina e la sera, per poi separarsi per affrontare ciascuno la sua vita.
È importante che nei settori e nei capitoli aumenti il numero dei giovani, altrimenti non hanno neanche la possibilità di fare attività con altri giovani. Per tutte le Divisioni valgono comunque i principi generali della pratica buddista: usare la strategia del Sutra del Loto prima di ogni altra, affidarsi completamente al Daimoku per tirare fuori forza vitale e coraggio, e fare shakubuku.
Nella vita quotidiana partendo dalle difficoltà del karma individuale, dai nostri desideri, ci affidiamo al Gohonzon attraverso la recitazione di Daimoku. Anche se i nostri desideri non si realizzano come vogliamo, la nostra vita cambierà se cerchiamo di comprendere e di vivere il punto di vista del Buddismo; questo non vuol dire abbandonare i desideri, ma continuare a praticare comunque, così realizzeremo la felicità e manifesteremo la Buddità. Quindi recitare Daimoku, e fare shakubuku. Vorrei chiarire che fare shakubuku non significa parlare a tante persone di Buddismo e far sapere che si pratica, ma aiutare una persona a diventare felice fino a che non riceve il Gohonzon. Il voto, il desiderio del Daishonin era che tutte le persone fossero felici, e questo è quello che dobbiamo vivere anche noi, altrimenti non ci sono neanche i benefici. La pratica buddista è questa, ed è molto semplice, il resto l’abbiamo aggiunto noi. Se si cerca di applicare il Buddismo nella vita e di creare un legame col maestro, si va avanti tutti insieme perché la direzione è una sola: realizzare il grande desidero di kosen-rufu del Daishonin.