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Mai dire "ma" - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:46

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    Mai dire “ma”

    Satoru Izumi, responsabile del dipartimento della Soka Gakkai per i consigli sulla fede, si è spento serenamente il 7 maggio all’età di 93 anni. Izumi è stato uno dei pionieri dell’organizzazione, avendo aderito nel 1940 al tempo del primo presidente Makiguchi. Nel romanzo La rivoluzione umana compare con lo pseudonimo Hiroshi Izumida

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    Satoru Izumi, responsabile del dipartimento della Soka Gakkai per i consigli sulla fede, si è spento serenamente il 7 maggio all’età di 93 anni. Izumi è stato uno dei pionieri dell’organizzazione, avendo aderito nel 1940 al tempo del primo presidente Makiguchi. Nel romanzo La rivoluzione umana compare con lo pseudonimo Hiroshi Izumida. La sua caratteristica principale è sempre stata la capacità di incoraggiare energicamente tutti i membri della Soka Gakkai. Infatti, sebbene nel corso della sua esistenza abbia ricoperto molti incarichi, nel paese del Sol Levante Izumi era conosciuto proprio coll’affettuoso soprannome di “incoraggiatore di professione”. Pubblichiamo un estratto di un discorso rivolto da Izumi agli italiani che nel 1985 parteciparono a un corso in Giappone (Il Nuovo Rinascimento, novembre 1985, pagg. 9-10).

    Il significato del Buddismo sta nel vivere una vita felice. Mettendo da parte il discorso religioso, cosa deve fare un uomo per essere felice? Da quando ero piccolo ho sempre sentito dire che bisogna sforzarsi. Eppure c’è chi, nonostante molti sforzi, accumula solo debiti. Quindi sforzarsi non basta. Vorrei dire una cosa alle donne: se sposandovi volete diventare felici, non dovete scegliere a caso il vostro compagno. La moglie si sforza per rendere felici i propri familiari, ma questi non sempre lo sono. Poi, quando nascono i figli, la mamma rinuncia a tutto per loro. Tuttavia non sempre essa ottiene buoni risultati e i figli, a volte, diventano dei delinquenti. Poi, sforzandosi solo nel lavoro non è possibile realizzare una vita felice. Evidentemente manca qualcosa.
    Un significato di felicità è vivere il più a lungo possibile. Per vivere bisogna mangiare. D’altra parte il solo mangiare non ci permette di vivere più a lungo: ho sentito dire di un uomo che è morto proprio mentre mangiava. Dunque manca ancora qualcosa.
    Quando, venti anni fa, ho cominciato ad andare all’estero, mi dicevano: «Stai attento agli incidenti in macchina, ai dirottamenti, agli incidenti aerei…». È certo che anche se mi aggrappo forte al seggiolino mentre l’aereo cade, non sarò in grado di evitare l’incidente … Qui in Giappone, alla fine delle riunioni, si dice: «State attenti a non fare incidenti in macchina!». Ma in macchina non basta stare attenti. Certo se penso a qualcosa e mi distraggo può essere pericoloso. Ma, d’altra parte, se guardo indietro non posso guardare avanti, se guardo a sinistra non posso vedere a destra. Eppure si risponde ai responsabili: «Va bene starò attento». In realtà le raccomandazioni non bastano. Se pensate che stia dicendo delle bugie andate in un ospedale e chiedete ai malati come mai si trovano lì. Ognuno di loro vi dirà che è stato attento alla salute e che, nonostante tutto si è ammalato lo stesso. Insomma gli sforzi e la prudenza non sono sufficienti per realizzare una vita felice.
    Dunque cosa manca? Io credo che questo qualcosa sia la fede. Per realizzare i nostri desideri e quindi la nostra felicità, dobbiamo pregare al Gohonzon, l’oggetto di culto, che è la base della nostra pratica. Grazie al Gohonzon ogni desiderio può essere realizzato. La Via non è nient’altro che la pratica quotidiana corretta.
    Di religioni ce ne sono tante, ma quel che più conta è se, facendo shakubuku e Gongyo, possiamo avere benefici. Quando pensiamo alla nostra felicità, pensiamo a ciò che ci manca: chi non ha soldi ai soldi, chi non ha figli ai figli ecc. Tutti cercano la felicità relativa pensando a quel che proverebbero una volta realizzati i loro desideri.
    Qualche tempo fa il presidente Ikeda ha ricordato alla Divisione giovani donne che se manca la buona fortuna non si realizza nessuna felicità. Alcune donne si lamentano perché i loro mariti hanno poca forza vitale. Una volta un membro della Divisione donne mi disse: «Mio marito non vale nulla e non mi è affatto di sostegno». Io le risposi: «L’uomo non nasce per essere di sostegno a una donna». In effetti a volte sono proprio quegli uomini che sembrano non sostenere le loro mogli, a voler bene a esse più di altri, perché in quel modo indicano loro un sostegno molto più solido: il Gohonzon.
    Nei primi tempi della Soka Gakkai, subito dopo la guerra, un membro si rivolse a Toda per lamentarsi della mancanza di soldi. Disse che rischiava di essere buttato fuori di casa perché non aveva i soldi per pagare l’affitto. Toda gli rispose: «Se non vuoi pagare l’affitto allora trovati un’altra casa… ce ne sono tante a Tokyo. Scegli quella che più ti piace. Oppure scegli un pezzo di terra fuori città e fatti costruire la tua casa da un’impresa edile. Ma forse non è questo il tuo problema perché tu non hai soldi. Ma allora potresti entrare in una banca qualsiasi e chiedere dei soldi. Ci sono tante banche e sono tutte piene di soldi. Ma forse il tuo problema non è tanto la mancanza di soldi quanto il fatto che essi non passano per le tue tasche. Per questo devi praticare e accumulare tanta fortuna». Nell’Ultimo giorno della Legge, noi possiamo accumulare fortuna. Per fare questo ci vuole Gongyo, shakubuku, attività per gli altri e così via. Se sentite parlare di un altro metodo per avere buona fortuna, ditemelo perché voglio conoscerlo.

    […]

    Per favore non dimenticate mai che la base della pratica è non abbandonare mai il Gohonzon e continuare a recitare Nam-myoho-renge-kyo nella gioia e nel dolore. A chi tende a lamentarsi dico sempre: «Invece di soffrire, pratica!» Anche se ripetete centomila volte ‘soffro per questo, soffro per quello’ non riuscirete mai a superare i vostri problemi. Nella mia vita ho parlato a un gran numero di persone e ho visto che tutti danno la colpa dei loro guai al fratello, alla madre, al marito, al datore di lavoro. Nessuno dice mai “è colpa mia, sono io che non vado bene”. Insomma non riescono a capire che la causa è dentro di loro. Quando piove e l’acqua rimane in terra si tende a dare la colpa alla pioggia. Ma la verità è che l’acqua rimane dove c’è una conca nel terreno. Se invece di una conca c’è un piccolo poggio l’acqua scivola via. Il “difetto” non sta forse nel suolo?
    Tutti si emozionano quando leggono la prefazione al romanzo La rivoluzione umana [«Una grande rivoluzione nel carattere di un solo uomo permetterà di realizzare un cambiamento del destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità», n.d.r.] ma poi se ne dimenticano e non ricordano che cambiando se stessi attraverso la fede troveranno la soluzione di tutti i loro problemi. Voi avete appena ricevuto l’incoraggiamento di sensei e sentite nelle vostre vite un grande spirito di missione. L’importante è che non vi allontaniate dall’organizzazione, vi incoraggiate a vicenda e diventiate modelli di fede.

    Lamentarsi è inutile

    Uno dei “cavalli di battaglia” di Satoru Izumi era proprio quello che ha ispirato il titolo Mai dire ma. I membri della Soka Gakkai italiana che parteciparono al corso in Giappone nel 1980 (il testo e le foto di queste pagine, compresa quella in basso con Mitsuhiro Kaneda, fanno invece riferimento al già citato corso dell’85) ricorderanno che Izumi si recò a far loro visita presso l’hotel e, nel breve incontro, chiese come si dicesse in italiano quella fatidica parolina (“ma”) che in giapponese suona monde. Spiegò che la conosceva già in francese, inglese e alcune altre lingue, e si premurava di impararla nel maggior numero di lingue possibile perché riteneva l’uso di questa parola uno dei punti chiave di un corretto atteggiamento nella fede. Il motivo si può comprendere leggendo questo breve estratto dal suo libro La fede e la vita quotidiana pubblicato alcuni anni fa dalle edizioni Esperia e attualmente fuori catalogo.

    Una volta un membro della Divisione uomini mi disse con disinvoltura: «La mia malattia è migliorata notevolmente, ma non sono ancora completamente guarito». Allora gli risposi: «La parola “ma” si usa quando ci si lamenta. Se non smetti di lamentarti, non potrai ricevere alcun beneficio. Se lodi qualcuno o lo ringrazi e poi aggiungi un ma, non è più un ringraziamento. Immagina di far visita a qualcuno. Il padrone di casa ti offre del tè. Se tu dicessi: «Mi hai dato una tazza di tè, ma non me ne hai offerta un’altra», saresti un bel maleducato. Se invece dici: «Squisito questo tè! Potrei averne un’altra tazza per favore?», l’ospite ti accontenterà con gioia. A maggior ragione è una grave scortesia nei riguardi del Gohonzon far seguire i ringraziamenti da un “ma”. Visto che sei molto migliorato, dovresti ringraziare il Gohonzon per questo. Poi, dato che non sei ancora perfettamente guarito, prega per una guarigione perfetta. Non confondere le due cose!»

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