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I fiori e i semi - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:00

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I fiori e i semi

Keka Joju Gosho
Gosho Zenshu pag. 900
Gli scritti di Nichiren Daishonin vol. 4 pag. 33

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Keka Joju Gosho
Gosho Zenshu pag. 900
Gli scritti di Nichiren Daishonin vol. 4 pag. 33

Da allora non ho più avuto notizie da nessuno di voi due. Sono compiaciuto di sapere che avete letto a Kasagamori le due lettere[ref]Due lettere: sono il Gosho Ho on sho (Ripagare i debiti di gratitudine), scritto nel 1276, e la lettera di accompagnamento.[/ref] che ho scritto nel periodo Kenji in memoria del santo Dozen-bo. Se un albero ha radici profonde, i rami e le foglie non avvizziscono. Se c’è acqua nella sorgente, il fiume non è asciutto. Senza legna il fuoco si spegne. Senza la terra le piante non crescono. Nichiren è come la pianta e il suo maestro come la terra. Se io, Nichiren, sono diventato il devoto del Sutra del Loto e tutti parlano del prete Nichiren sia bene che male, non lo devo forse al defunto maestro Dozen-bo?
Quattro erano le guide dei bodhisattva usciti dalla Terra: il primo si chiamava Jogyo, il quarto Anryugyo. Se nell’Ultimo giorno della Legge appare Jogyo, anche Anryugyo deve apparire. La pianticella del riso cresce generando fiori e semi, ma il seme rimesso nella terra sicuramente germoglia di nuovo e produce altri fiori e semi. Così i meriti che Nichiren ha acquistato propagando il Sutra del Loto ritorneranno sicuramente a Dozen-bo. Che cosa sublime! Si dice che se il maestro ha un buon discepolo, tutti e due otterranno la Buddità, ma se il maestro alleva un cattivo discepolo, entrambi cadranno nell’inferno. Se maestro e discepolo non sono in accordo, non possono realizzare nulla di grande. Spiegherò questo punto più ampiamente un’altra volta.
Parlatene sempre insieme, liberatevi dalle sofferenze di nascita e morte e salite alla Pura Terra del Picco dell’Aquila dove potrete parlare in perfetto accordo.
Nel sutra si legge: «Essi mostreranno di possedere i tre veleni e di seguire dottrine errate. Questi sono i mezzi con i quali i miei discepoli salvano la gente»[ref]Sutra del Loto, cap. 8.[/ref]. Tenete a mente quello che vi ho detto fino a ora.

Con profondo rispetto,
Nichiren
Il mese di aprile del primo anno di Koan (1278)

Cenni storici

Nichiren Daishonin scrisse questo Gosho dal monte Minobu nell’aprile 1278 a Joken-bo e Gijio-bo, due preti del tempio Seicho-ji in occasione della seconda cerimonia commemorativa in onore di Dozen-bo, che era stato la più alta autorità del tempio e il maestro del Daishonin da quando egli aveva intrapreso il noviziato all’età di dodici anni presso il tempio Seicho-ji. Il Daishonin era stato sempre profondamente grato al suo defunto maestro Dozen-bo.

Spiegazione

Da allora non ho più avuto notizie da nessuno di voi due … e il suo maestro come la terra.

Il brano evidenzia la gratitudine di Nichiren verso chi ha sostenuto la sua vita. In questo caso verso il suo primo maestro Dozen-bo, che lo aiutò a percorrere i primi passi nell’approfondimento del Buddismo, quando entrò nel tempio all’età di dodici anni. Dozen-bo seguiva l’insegnamento Nembutsu e non ebbe il coraggio di abbandonarlo quando Nichiren gli spiegò che era errato. Nonostante ciò il Daishonin mantenne per tutta la vita una profonda gratitudine per il suo primo maestro, che traspare chiaramente dalla lettura di questo Gosho.
Occorre chiarire che il termine “maestro” non si riferisce al maestro della Legge di cui tratta il cosiddetto principio di “non dualità di maestro e discepolo” (giapp. shitei funi). La relazione maestro discepolo nel Buddismo di Nichiren è un legame da vita a vita basato sulla Legge mistica e sulla condivisione da parte dei discepoli dello stesso voto del maestro. In generale una relazione maestro discepolo si instaura tra due persone quando il mentore o maestro ha qualcosa da comunicare al discepolo, o studente: una conoscenza, una capacità tecnica, un mestiere.
Nel caso di Dozen-bo e del giovane Nichiren, che allora si chiamava Zennichimaro, il maestro insegnò al discepolo ad addentrarsi nel mondo del Buddismo.
La gratitudine che Nichiren ha nei confronti del suo antico maestro deriva dalla comprensione del principio di origine dipendente (engi), secondo il quale tutti gli esseri e i fenomeni sono interconnessi e indissolubilmente legati in una rete di rapporti causali. È in base a ciò che Nichiren scrive: «Se io sono diventato il devoto del Sutra del Loto … non lo devo forse unicamente al mio defunto maestro Dozen-bo?».

Quattro erano le guide dei bodhisattva usciti dalla Terra … anche Anryugyo deve apparire.

CHI SONO I BODHISATTVA DELLA TERRA E LE LORO GUIDE?
I Bodhisattva della Terra emergono nell’ottavo capitolo del Sutra del Loto e partecipano a tutta la Cerimonia nell’aria fino al capitolo ventiduesimo, in cui viene affidata loro la propagazione della Legge mistica dopo la morte del Budda (cfr. SDL, 185-371).
La guida dei Bodhisattva della Terra, Pratiche Superiori (Jogyo), è Nichiren Daishonin, il quale rivelò Nam-myoho-renge-kyo e iscrisse il Gohonzon, come vessillo di kosen-rufu, chiedendo ai discepoli di portarlo nel cuore e nelle case delle persone. Per esempio in Lettera a Jakunichi-bo Nichiren allude al suo ruolo di Bodhisattva Pratiche Superiori: «Nichiren, come inviato di tale bodhisattva, ha esortato il popolo del Giappone ad abbracciare e sostenere il Sutra del Loto». Katsuji Saito così commenta: «Sebbene il Daishonin affermi di essere l’inviato del Bodhisattva Pratiche Superiori, penso che usi quest’espressione consapevole di essere in realtà l’incarnazione di questo bodhisattva» (MDG, 2, 215). Più avanti nello stesso Gosho parla dei Bodhisattva della terra (in termini moderni dei “membri della Soka Gakkai”): «Pertanto coloro che diventano discepoli e seguaci di Nichiren devono rendersi conto della profonda relazione karmica che condividono con lui e propagare il Sutra del Loto con lo stesso spirito».
Il Daishonin iscrisse nel Gohonzon la condizione vitale di Buddità che aveva raggiunto grazie alla sua battaglia, al suo voto, alla sua vita dedita alla felicità di tutto il genere umano. Nell’oggetto di culto Nichiren inserisce le quattro guide dei Bodhisattva della Terra al fianco di Shakyamuni, spiegando così che il Budda risvegliato a Nam-myoho-renge-kyo svolge costantemente la pratica del bodhisattva per condurre tutte le persone all’Illuminazione. Spiega cioè che la Buddità non è qualcosa di staccato dalla vita reale e dall’impegno concreto di salvare le persone, attraverso ogni pratica possibile.

I QUATTRO BODHISATTVA
I quattro bodhisattva rappresentano queste pratiche. Sono Pratiche Superiori (Jogyo), Pratiche Illimitate (Muhengyo), Pratiche Pure (Jyogyo) e Pratiche Salde (Anryugyo). Tutti hanno la parola “pratiche” nel loro nome, perché esprimono la saggezza dell’Illuminazione nel comportamento pratico. Essi cioè compiono azioni superiori, illimitate, pure e salde basandosi sull’immensa forza vitale di Myoho-renge-kyo.
I quattro bodhisattva vengono correlati anche con le “quattro virtù” del Budda: l’eternità, la felicità, il vero io e la purezza. Queste quattro virtù rappresentano lo stato vitale di colui che si dedica alla felicità del genere umano. Sono il risultato, il beneficio di chi non risparmia la propria vita e compie ogni sforzo per far sì che più persone possibili, nel più breve tempo possibile, possano percorrere la via della Buddità. Pertanto, se agiamo senza egoismo, per aiutare le altre persone a percorrere il nostro stesso sentiero, percepiremo l’eternità della nostra vita (eternità), saremo saldi e pieni di fiducia (vero io), saremo freschi (purezza) e gioiosi (felicità).
In un brano del sedicesimo capitolo del Sutra del Loto Durata della vita del Tathagata (che recitiamo mattina e sera durante la cerimonia di Gongyo) si legge: «In origine ho praticato la via del bodhisattva e la durata della vita che ho acquistato allora non si è ancora esaurita; anzi, durerà per un periodo di tempo doppio di quello trascorso fino a ora» (SDL, 298).
Questo brano è la conferma che anche Shakyamuni, che aveva già ottenuto la Buddità in un passato infinitamente lontano, aveva continuato a svolgere le pratiche di bodhisattva anche dopo la sua Illuminazione. Infatti, gli innumerevoli Bodhisattva della Terra che appaiono nel capitolo Emergere dalla Terra rappresentano anche il mondo di Bodhisattva nella vita di Shakyamuni. Quello che Sha­kyamuni e Nichiren vogliono spiegare, è che quando si diventa una sola cosa con Nam-myoho-renge-kyo, emerge nella nostra vita la condizione vitale di Bodhisattva.
Allo stesso modo, i bodhisattva che emergono dalla terra durante la Cerimonia nell’aria, stanno a significare che quando appare il Budda eterno, compaiono, immancabilmente, anche i suoi discepoli.
Tutto ciò ha un grande significato. Colui che ha raggiunto veramente l’Illuminazione, non si reca in una terra pura di un altro mondo o si rifugia nella tranquillità del nirvana. Quanto affermato concorda con il principio del mutuo possesso dei dieci mondi; infatti, se dopo essere diventati Budda, i nove mondi cessassero di esistere, non si sarebbe ottenuta una vera Illuminazione. Nichiren nel Vero oggetto di culto dice: «Credere nel mutuo possesso dei dieci mondi è difficile quanto credere che il fuoco esista in una pietra o i fiori all’interno di un albero, eppure nelle giuste condizioni questi fenomeni si manifestano, e allora ci crediamo. La cosa più difficile da credere è che il mondo di Budda esista nel mondo umano, come è difficile credere al fuoco dentro l’acqua o all’acqua dentro il fuoco. (…) Questi esempi dovrebbero aiutarti a credere» (SND, 1, 222-223).

CHI È IL VERO BUDDA?
Nel Buddismo di Nichiren Daishonin il “vero Budda” è la persona comune, in carne e ossa, che vive nella società, nel turbinio degli stati vitali dei nove mondi e lì agisce, manifestando lo stato vitale di bodhisattva. Un Budda si rivolge direttamente alle persone, una per una, alle prese con le sofferenze dell’esistenza nel mondo reale, e poiché considera ognuna di loro immensamente preziosa, agisce con decisione per condurle alla felicità. È proprio in questo comportamento coraggioso che si manifesta il mondo di Buddità. Un Budda agisce come un bodhisattva, compiendo ogni sforzo possibile e impiegando una vasta gamma di espedienti, per far sì che ognuno sia felice.
Da un lato colui che ottiene la Buddità si comporta come un bodhisattva, ma d’altro canto, per ottenere la Buddità oltre che recitare Daimoku occorre agire e comportarsi da bodhisattva, cioè svolgere varie pratiche altruistiche e azioni concrete per favorire l’Illuminazione di tutte le persone, secondo le loro circostanze individuali.
Riassumendo, il punto di partenza è che noi persone comuni possiamo ottenere la Buddità, proprio come Nichiren. Questa affermazione trova spesso conferma nel Gosho: «Alla luce del verso del sutra “rendere tutte le persone uguali a me, senza alcuna distinzione fra noi” non c’è dubbio che coloro che praticano correttamente la Legge mistica diverranno facilmente dei Budda come Sha­kyamuni» (GZ, 817). E ancora «Sha­kyamuni affermò: “All’inizio giurai di rendere tutti uguali a me, senza alcuna differenza tra noi. Dunque non è difficile diventare un Budda come Shakyamuni”» (SND, 4, 250).
Questo è il beneficio e il potere del Gohonzon. Nam-myoho-renge-kyo è la meravigliosa medicina in grado di curare tutti, non esiste qualcuno che sia incapace di manifestare la condizione vitale di Buddità.
Tuttavia nel Gosho Nichiren Daishonin spiega che «Accettare è facile, continuare è difficile. Ma la Buddità si trova nel manifestare la fede» (SND, 4, 153). Diventare Budda, manifestare questa condizione vitale è facile, è un’esperienza che ognuno di noi fa tutte le volte che recita Nam-myoho-renge-kyo con fede priva di egoismo. Ciò che è difficile è mantenere questa condizione vitale costante all’interno della nostra vita. Difficile ma non impossibile: se pensiamo, parliamo e agiamo come un bodhisattva, cioè se il nostro comportamento quotidiano si allinea con lo spirito del Bodhisattva Mai Sprezzante (Fukyo), che riveriva la natura di Budda intrinseca nella vita di qualsiasi persona, allora la Buddità si manifesterà nella nostra vita.
È evidente pertanto che il Buddismo di Nichiren Daishonin non si limita alla propria individuale Illuminazione, ma spiega che la vera felicità si raggiunge facendo conoscere a tutte le persone le Legge mistica di Nam-myoho-renge-kyo.
Daisaku Ikeda ci esorta: «Anche se novecentonovantanove persone su mille cadono nella trappola della mancanza di rispetto e di fiducia negli esseri umani, dobbiamo mantenere la forza spirituale di affermare: “Nonostante tutto io credo negli esseri umani”» (MDG, 2, 201).

La pianticella del riso cresce generando fiori e semi … entrambi cadranno nell’inferno.

Come afferma Nikko Shonin, il diretto successore del Daishonin: «Senza la corretta relazione maestro-discepolo non si può raggiungere la Buddità» (MDG, 1, 140). Pertanto è fondamentale, per comprendere il Buddismo di Nichiren e per realizzare gli obiettivi di questa religione, approfondire costantemente il principio di “inseparabilità di maestro e discepolo” in modo da essere sicuri che la nostra percezione di tale relazione sia sempre corretta.
Sappiamo che il nucleo della relazione maestro-discepolo è nell’espressione “cuore del re leone”. Come spiega diffusamente Daisaku Ikeda nel settimo capitolo del primo volume del Mondo del Gosho, non dualità – o inseparabilità – di maestro e discepolo «significa portare avanti in prima persona lo spirito di Nichiren Daishonin che è il “re leone”. Agendo così diventiamo “i cuccioli del re leone”» (MDG, 1, 163-164). Essere cuccioli è avere il coraggio di sfidare anche i più potenti avversari, pur di proteggere la Legge. Questo coraggio è dentro la nostra vita, basta “raccoglierlo”; allora sgorga da dentro di noi un’inesauribile forza vitale. La fonte delle azioni coraggiose è nella nostra vita e niente può portarcela via. Se i nostri sforzi sono sostenuti da una motivazione interiore, non c’è possibilità di essere sconfitti. Quindi fondamentale è la motivazione interiore, il “voto”. Questo coraggioso cuore di leone è la condizione vitale di una persona che grazie alla Legge mistica ha vinto sull’oscurità fondamentale inerente alla vita. Questa condizione nasce quando decidiamo di combattere e superare in primo luogo le nostre illusioni innate. Così sarà possibile, grazie al potere della fede, che è la causa, ottenere la condizione di Buddità, l’effetto.

COSA SIGNIFICA ESSERE UN DISCEPOLO?
La frase di Gosho che oggi studiamo ci offre la possibilità di vedere questa relazione dal punto di vista del discepolo.
Nichiren ci dice che, se pratichiamo esattamente come lui, otterremo sicuramente la Buddità; lui stesso era un comune mortale che impegnandosi anima e corpo per la felicità delle persone, ha ottenuto la Buddità da solo e rimanendo così com’era. Il nome che egli stesso si attribuì, “Nichiren”, cioè “Sole-Loto”, simboleggia proprio il fatto di aver ottenuto la Buddità da solo. In Lettera a Jakunichi-bo egli scrive in proposito: «L’aver dato a me stesso il nome Nichiren significa che ho ottenuto l’Illuminazione da solo» (SND, 4, 36). Nichiren senza l’aiuto di nessuno, si risvegliò alla missione di disperdere, come il sole, l’oscurità nella vita delle persone e di far fiorire senza contaminazione la Legge mistica nella società, proprio come il fiore di loto che sboccia nello stagno paludoso.
Ugualmente possiamo fare noi. Il Daishonin ha iscritto il Gohonzon per lasciarci un mezzo che ci permette di ottenere direttamente la sua stessa condizione vitale.
I veri discepoli sono coloro che si impegnano esattamente quanto il maestro. Il secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda disse che «la massima felicità per un maestro è avere un onorevole discepolo».
Essere un discepolo onorevole non ha niente a che vedere con l’esteriorità. Significa avere lo stesso cuore del maestro in termini di fede e di perseveranza nella sua stessa pratica altruistica.
Noi siamo i Bodhisattva della Terra, discepoli di Nichiren Daishonin. Quando agiamo come tali, la nostra forza vitale cresce senza limiti. Dopo l’esilio del Daishonin a Sado furono i suoi discepoli di allora a capire che potevano seguire l’esempio del loro maestro Nichiren, il re leone, e così intrapresero una battaglia senza precedenti per la diffusione dell’insegnamento, non temendo alcuna persecuzione. Ne sono uno straordinario esempio i martiri di Atsuhara e in quest’epoca, concretamente, sono i membri della Soka Gakkai che hanno scelto di svolgere la missione dei Bodhisattva della Terra. Senza la Soka Gakkai, le parole del Daishonin sarebbero risultate false.
Nella Vera entità della vita si legge: «Qualunque cosa accada, mantieni sempre la tua fede come devoto del Sutra del Loto e come discepolo di Nichiren. Se hai la stessa mente di Nichiren, devi essere un Bodhisattva della Terra, e se sei un Bodhisattva della Terra, senza dubbio sei stato un discepolo del Budda dal più remoto passato» (SND, 4, 233).
Il Daishonin, da Sado in poi, sprona i suoi discepoli a fare il suo stesso percorso perché, così come lui, possano ottenere la Buddità; infatti, nel Gosho I quattro bodhisattva nell’oggetto di culto dice: «Coloro che si definiscono miei discepoli e praticano il Sutra del Loto devono tutti praticare come me» (SND, 5, 62).
Nichiren non ha mai cercato discepoli passivi, che si limitassero a implorare la sua compassionevole protezione, né si è mai arrogato il diritto di assumere una posizione autoritaria. Egli non si è mai posto su un piano più alto rispetto ai comuni mortali. Nichiren, il Budda originale, desidera discepoli che si impegnino insieme a lui, per la protezione dei propri simili.
Solo quando maestro e discepolo combattono insieme è possibile trasformare la società, il luogo dove viviamo o il gruppo, il settore, il capitolo, l’hombu, il territorio, l’area … in cui pratichiamo il Buddismo.
Nichiren ha realizzato la sua missione iscrivendo il Gohonzon; prima di allora aveva ingaggiato una battaglia solitaria; dopo Sado spetta ai discepoli concretizzare kosen-rufu, attingendo alla sorgente del Gohonzon.
Un vero discepolo non risparmia la propria vita, proprio come fece il maestro, Nichiren, che dopo la persecuzione di Tatsunokuchi dedicò tutte le sue energie a gettare le basi per la propagazione di kosen-rufu, istruendo i suoi discepoli e lasciando loro il compito di propagare il suo insegnamento.
Nella Vera entità della vita scrive: «Dapprima solo Nichiren recitò Nam-myoho-renge-kyo, ma poi due, tre, cento, lo seguirono, recitando e insegnando agli altri. Questo accadrà anche in futuro» (SND, 4, 233. Lett.: «La propagazione si svilupperà così anche nel futuro», WND, 385).
Daisaku Ikeda così commenta: «Tutto dipende dagli sforzi dei discepoli. Per quanto il fondatore di una scuola possa essere ammirevole, se i discepoli non ne ereditano gli ideali e non si sforzano di realizzarli concretamente è come se quegli ideali fossero morti. Dobbiamo sempre tenere a mente che sono i discepoli a determinare il vero valore del maestro» (MDG, 2, 221).
Il Daishonin desiderava che i suoi discepoli decidessero di agire e diventare protagonisti della loro storia di vittorie interiori e profonde. Ricordiamoci che ciò che rende meritevole una persona non è la sua posizione sociale ma il suo comportamento nella vita quotidiana.
Daisaku Ikeda afferma: «Myoho-renge-kyo stesso è una dottrina di maestro e discepolo. Myo (mistico) è il maestro e ho (la legge o la dottrina) è il discepolo. Renge, il fiore di loto, è la simultaneità di causa ed effetto. Causa sta per i nove mondi, che corrispondono al discepolo, ed effetto è il mondo di Buddità, che corrisponde al maestro. Sia myoho che renge significano l’unicità di maestro e discepolo. Il fiore di Myoho-renge-kyo sboccia grazie all’unità di maestro e discepolo» (MDG, 2, 240).
Il maestro per primo si è risvegliato alla verità fondamentale della vita: che noi e le altre persone siamo entità della Legge mistica, che l’universo è la Legge mistica. Ci possiamo definire discepoli in quanto ci risvegliamo a questa verità. Pertanto il discepolo conduce la stessa pratica del maestro e ciò non è arroganza.
Pensare di essere uguali al maestro e al tempo stesso avere bisogno di un maestro non è una contraddizione. Siamo Budda adesso, questo è incoraggiante, ed è il modo per affrontare qualsiasi difficoltà: con coraggio, fiducia e speranza. Allo stesso modo è necessario un maestro per evitare di cadere, per rialzarci, per vedere meglio la strada da percorrere. Se si crede o si insegna che esiste una distinzione tra maestro e discepolo, si cade nell’egocentrismo e quindi nell’arroganza. Quando si pensa che maestro e discepolo non siano uguali, si generano pratiche individualistiche e interpretazioni personali distorte. Se invece pensiamo di essere inseparabili dal maestro, ci sforzeremo di far coincidere la nostra pratica e le nostre idee con le sue. Ovviamente non si tratta di scimmiottare le sue azioni o il suo modo di parlare né di diventare ciò che non siamo. Ognuno ha una propria individuale missione, le proprie caratteristiche, una peculiarità unica e quindi fondamentale. Allo stesso modo, non c’è traccia nei discepoli di Nichiren della distinzione che divide. La questione fondamentale è manifestare la propria vera individualità e non paragonarsi agli altri o al maestro allontanandosi dal sentiero della collaborazione e della condivisione di uno stesso ideale. Il nostro obiettivo è quello di manifestare la stessa condizione vitale, lottando per i medesimi obiettivi. È vitale che le nostre azioni si accordino con quelle del maestro, altrimenti non potremmo affermare di seguire la via del discepolo.
Kosen-rufu avanzerà solo grazie alla inseparabilità di maestro e discepolo.
Il nostro maestro originale è senza dubbio Nichiren Daishonin. Nostri maestri sono anche quelle persone che per prime hanno percorso la sua stessa strada: Nikko Shonin, Makiguchi, Toda e oggi Daisaku Ikeda.
Leggendo il Gosho in modo da farlo penetrare nel nostro cuore, sentendo emozione per le parole del Budda originale e impegnandoci a studiare gli scritti di Daisaku Ikeda – la persona che più di ogni altra ha assunto la guida del movimento di kosen-rufu nel mondo – verremo immancabilmente incoraggiati e vinceremo nella nostra vita, manifestando “la gioia delle gioie” che deriva dalla Legge.

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