Aiutare gli altri insegnando il Buddismo di Nichiren Daishonin, spiega la responsabile statunitense delle giovani donne, è il motore della nostra rivoluzione interiore. Questo fondamentale aspetto della pratica buddista emerge attraverso il racconto di esperienze personali
«Da quando sono nato a oggi, io, Nichiren, non ho avuto un momento di tregua: ho solo pensato a propagare il Daimoku del Sutra del Loto» (Persecuzione con spade e bastoni, SND, 5, 227).
Non riuscivo a togliermi dalla testa questa frase, chiedendomi come faceva Nichiren Daishonin a pensare in ogni istante all’obiettivo di far conoscere il Buddismo all’umanità. Ricordavo anche le parole di Shakyamuni: «Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla Via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo del Budda?» (SDL, 305).
Molto spesso leggo e sento parlare dell’importanza di far conoscere il Buddismo agli altri e io stessa sento il grande desiderio di farlo, ma non avevo mai considerato il perché. La necessità di avere una risposta mi ha portato a intraprendere un viaggio alla scoperta dei benefici e delle ragioni di questo principio della nostra pratica.
L’impatto positivo che la condivisione della teoria e pratica buddista ha sulla società e sulle persone è molto ovvio. Per esempio, l’inizio della pratica ha significato per me cambiare radicalmente la mia vita. Da quella ragazzina violenta e collerica con tendenze suicide che ero, sono passata a essere un paramedico, una giovane leader, impegnata a creare un mondo di pace. In sostanza, da quando mi sono messa nella posizione di aiutare quelli che vivevano situazioni di vita analoghe alla mia, sono diventata tutto l’opposto di quello che ero. Se la vita di ognuno può cambiare in questo modo, ed è questo lo scopo del Buddismo di Nichiren, di sicuro saremo in grado di costruire una società più felice e pacifica.
Sembra naturale quindi, che io debba condividere questo Buddismo con gli altri. Mi capita però di essere presa dai miei problemi al punto che mi è difficile pensare a come potrei essere utile a una singola persona, figuriamoci all’intera umanità. Riesco a concentrarmi solo per aiutare me stessa ed è in questi momenti che mi accorgo di essere lontana dal comprendere quello che Nichiren e Shakyamuni sentivano e vivevano.
A volte sento altri membri che sostengono di non riuscire a propagare il Buddismo perché stanno attraversando un momento difficile, ma Nichiren Daishonin non ha mai smesso di pensare a come propagare la Legge di Nam-myoho-renge-kyo, nonostante gli ostacoli, numerosi e rischiosi, che ha dovuto affrontare. Nel mio viaggio di ricerca ho incontrato le parole del presidente Ikeda: «Più ci dedichiamo a trasmettere la mistica Legge per la felicità degli altri, più diventiamo felici. Questo è il significato di beneficio nel Buddismo» (Saggezza, 3, 259).
In poche parole ciò significa che se non condividiamo questa pratica con gli altri, indipendentemente dalle difficoltà che stiamo affrontando nella nostra esistenza, non saremo mai completamente felici.
Dato che il precedente è stato un anno di grandi cambiamenti personali, riflettevo su quale fosse la mia missione nella vita ed ero alla ricerca di una mia identità. Vivevo in una nuova zona, senza le comodità a cui ero abituata e sentivo spesso un incombente senso di insicurezza, dolore sordo con cui già da tempo combattevo. La paura e la debolezza scaturite da quell’insicurezza mi hanno bloccato per molto tempo, impedendomi di realizzare tanti desideri.
Se mi capitava di affrontare qualcosa di nuovo, mi entusiasmavo rapidamente e altrettanto rapidamente battevo in ritirata. Stavo di nuovo incontrando le mie paure.
Un compagno di fede più anziano mi incoraggiò a farmi nuovi amici con lo scopo di parlare loro del Buddismo. Non sapevo come fare, ma gli detti fiducia e recitai con quello scopo. Una sera, mentre facevo attività presso un centro SGI-USA, mi venne incontro una ragazza, chiedendomi ulteriori informazioni sulla SGI. Mi disse che aveva sentito parlare dell’organizzazione e vedendo il simbolo all’ingresso era stata spinta a entrare. Dopo aver parlato un po’ ci siamo scambiate il numero di telefono con la promessa di rivederci presto. Da quella sera e per più di un anno, io e quella giovane donna ci siamo incontrate tutte le settimane. Abbiamo recitato Daimoku insieme, l’ho aiutata a imparare Gongyo, a ricevere e proteggere il Gohonzon e a trovare un gruppo nella sua zona.
Dal momento in cui ha cominciato a praticare il Buddismo di Nichiren ho assistito alla sua rivoluzione umana e ho visto la sua vita illuminarsi immensamente. Ogni volta che ci incontravamo, anche se era passata solo una settimana, aveva fatto passi da gigante nella vita quotidiana e nella fede. Incontrarla mi rincuorava e mi incoraggiava. Mi faceva provare di nuovo le gioie che avevo sperimentato all’inizio della mia pratica. Recitavo ancora di più, perché volevo vederla più felice di me. Studiavo di più, perché volevo essere un esempio e insegnarle correttamente il Buddismo.
Il prendermi cura di lei, sommato al desiderio che ella superasse le sue difficoltà, mi spinse a misurarmi con tutte le mie debolezze. Lottai contro la mia tendenza a isolarmi e contro la paura ad aprirmi con gli atri.
Non c’è paura che non abbia affrontato.
«Per kudoku (benefici) – dice il presidente Ikeda – si intende liberare la vita dall’oscurità fondamentale e fare emergere il bene. È il beneficio che si ottiene propagando l’insegnamento del Daishonin» (Saggezza, 3, 258). Anche se allora non riuscivo a comprenderlo, mentre combattevo contro le mie debolezze, stavo eliminando il male che risiedeva nella mia vita. Ancora di più mi sorprese il fatto che non ero consapevole di ciò che facevo. Quando non condivido il Buddismo con gli altri o non mi prendo cura di alcuno, le mie debolezze mi consumano interiormente al punto da non poter pensare ad altro. È una grande sofferenza cercare di venirne a capo, soprattutto quando non so che azione intraprendere. Invece, quando parlo della pratica buddista e mi impegno per far diventare felice qualcuno, acquisto una visione più ampia di tutto e comincio un percorso di gioia.
Nel terzo volume della Saggezza del Sutra del Loto, Ikeda e i responsabili del Dipartimento di studio trattano di questo argomento. Riflettendo sul Sutra del Loto, parlano dei benefici come di un guadagno e discutono sulla capacità di accumulare fortuna e meriti. Il potere di accumulare fortuna risiede nella capacità di intraprendere azioni che portano a risultati positivi. Il beneficio, concludono gli studiosi, non è qualcosa che si ottiene dall’esterno, ma che facciamo emergere dal profondo della nostra vita. Il beneficio supremo è il raggiungimento della Buddità nel momento in cui compiamo la nostra rivoluzione umana.
Il beneficio supremo, cioè ottenere la Buddità e realizzare la propria rivoluzione umana, si manifesta se si condivide il Buddismo con gli altri. Dato che per alcuni aspetti sentivo di aver appreso questo concetto, grazie anche alla mia esperienza di aver parlato di Buddismo con tante persone, ora volevo capire perché e come ciò potesse accadere.
Nel Sutra del Loto ci sono tre capitoli consecutivi in cui Shakyamuni insegna i benefici, l’ultimo dei quali si intitola I benefici del maestro della Legge. Shakyamuni sostiene che il maestro della Legge può purificare i propri sensi: «Se uomini o donne devoti accettano e sostengono questo Sutra del Loto […], lo spiegano e lo predicano […], tali persone otterranno gli ottocento benefici dell’occhio, i milleduecento benefici dell’orecchio, gli ottocento benefici del naso, i milleduecento benefici della lingua, gli ottocento benefici del corpo e i milleduecento benefici della mente. Grazie a questi benefici adorneranno i sei organi di senso rendendoli puri» (SL, 19, 333).
Il presidente Ikeda lo spiega così: «Purificare i sei sensi – vista, udito, olfatto, gusto, tatto e pensiero – equivale a purificare la propria vita e trasformare il nostro destino» (Saggezza, 3, 258).
Quindi noi accumuliamo benefici mentre realizziamo la nostra rivoluzione umana, cioè purificando i sensi. E ciò avviene perché diventiamo maestri della Legge, abbracciando e insegnando la Legge mistica agli altri. Ma cosa vuol dire purificare i sensi e in che modo è considerato un beneficio?
La prima è la purificazione dell’occhio o il potere della vista. Con essa acquisiamo la capacità di vedere le persone con gli occhi della saggezza. Possiamo capire il loro stato vitale, leggere nei loro cuori e, se stanno soffrendo, trovare il modo migliore per incoraggiarli. Con un occhio puro possiamo anche individuare le intenzioni di una persona e distinguere quelle buone da quelle cattive. Siamo capaci di vedere la via della nostra felicità e ad avere la proiezione del nostro futuro. E chi non vorrebbe possedere questa qualità? Fa parte del mio lavoro di paramedico guardare le persone, definire la probabile malattia per poi intervenire con una cura adeguata. In breve, anche questo ha significato avere gli occhi della saggezza. Il presidente Ikeda ribadisce che: «Il cuore non si può vedere, ma il Buddismo ci permette di percepire e comprendere fino in fondo i sentimenti e le sofferenze degli altri. Anche se è difficile, questo dovrebbe essere il compito di un bravo responsabile» (Saggezza, 3, 293).
Una volta un’amica mi ha raccontato un’esperienza fatta con una compagna di fede più anziana. Aveva sempre ammirato questa signora per la capacità che aveva di parlare del Buddismo con naturalezza. Un giorno la vide durante una riunione. Anche se la mia amica stava lottando con tutte le sue forze in quel periodo, sorrideva e faceva del suo meglio per mostrarsi felice. La responsabile la guardò e, non appena riuscì a leggerle dritto nel cuore, le disse: «Posso dire che stai combattendo molto duramente». La mia amica si commosse fino alle lacrime nel vedere che quella persona era riuscita a percepire quello che lei stava vivendo e che con una frase aveva risposto a ciò che il suo cuore stava cercando.
Il secondo senso da purificare è quello dell’udito. Con un orecchio puro si potranno udire “i suoni dei tremila mondi” (SL19,335). Ascoltando l’altro si può capire il suo stato vitale. Con un orecchio puro e saggio, siamo in grado di distinguere situazioni autentiche da quelle false e di comprendere meglio quanto ci accade. La purificazione di questo senso, come per la vista, sviluppa l’acume e ci rende capaci di ascoltare il cuore delle persone, andando oltre quello che ci stanno dicendo. Questo affinamento di sensi diventa anche una forma di protezione contro l’inganno.
Poi c’è il senso dell’olfatto. Il presidente Ikeda ama definirlo il gusto del cuore o il sapore della vita, e dice in proposito: «Chi studia, si sforza e cerca di migliorare possiede la fragranza della tenacia […] Ma chi è indolente e apatico sembra emettere uno spiacevole odore di putrefazione» (Saggezza, 3, 301).
Segue il linguaggio. Quando miglioriamo il nostro linguaggio, non diveniamo semplicemente oratori che parlano con sicurezza del Buddismo, ma siamo anche in grado di parlare al cuore dell’altro. Diveniamo portatori di gioia perché la nostra voce diventa lo strumento di una comunicazione che va da cuore a cuore.
Poi ci sono i benefici del corpo. Cominciamo ad assumere tratti degni di rispetto, a essere attraenti al di là del nostro aspetto esteriore. Un’altra mia amica ha condiviso con me un’esperienza avuta con una giovane donna alla quale aveva insegnato a praticare il Buddismo. Dopo più di un anno la donna confessò alla mia amica di avere iniziato a praticare perché era stata attratta dalla sua bellezza. Di certo la mia amica è fisicamente molto bella, ma la giovane donna era stata attratta dal suo stato vitale e dalla sua bellezza spirituale. Attraverso l’aspetto dignitoso e il viso luminoso della mia amica, la giovane praticante aveva visto un cuore sincero e grande compassione per gli altri.
L’ultimo dei sei sensi è la mente. Con una mente pura otteniamo la vera comprensione degli scritti di Nichiren. Cominciamo a vivere tali insegnamenti giorno per giorno e a sviluppare la saggezza necessaria per scegliere le azioni giuste per il nostro futuro. Diventiamo anche in grado di insegnare correttamente il Buddismo agli altri.
A mano a mano che emergono tutti questi aspetti e noi ci sforziamo nel purificare ogni senso, non facciamo altro che rivoluzionare ogni aspetto della nostra vita. Diventiamo veramente persone sagge e compassionevoli, capaci di comprendere la natura umana. Riusciamo anche a capire meglio la società e a trovare più facilmente il modo migliore per incoraggiare gli altri. Diventiamo più forti e impariamo a proteggerci dalle influenze negative. Sviluppiamo quel carattere forte e coraggioso che ci permette di distinguere il bene dal male.
Questo è il tipo di vita che voglio vivere. Lo scopo fondamentale della pratica di questo Buddismo, cioè far emergere la Buddità, include tutte queste qualità. La Buddità consiste proprio nel possederle tutte. Il mio viaggio non è ancora finito ma continuando per questa strada vedo chiaramente perché condividere il Buddismo con gli altri come bodhisattva è un aspetto chiave della mia pratica. Mentre recito Daimoku e realizzo i miei sogni mi accorgo che più mi sforzo di condividere la pratica con gli altri, più emerge la mia Buddità. Anche se ci vuole una mole enorme di coraggio e perseveranza per fare shakubuku, è la via più sicura per promuovere grandi cambiamenti nel mondo, aiutando gli altri a diventare felici, uno alla volta.