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La compassione di Toda - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:37

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    La compassione di Toda

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    Con il cuore

    Tra gli aspetti più conosciuti della personalità di Toda, c’è sicuramente la severità con cui insegnava il Buddismo. Tuttavia non era certo un uomo autoritario e credere che la severità e il rigore fossero gli unici modi per esprimere la sua compassione, porterebbe ad avere un’immagine fuorviante della sua personalità.
    Il fatto che così tante persone si unirono alla sua lotta scegliendolo come maestro, non fu dovuto soltanto alla sua profonda fede e alla straordinaria conoscenza che aveva degli insegnamenti buddisti. Il presidente Ikeda racconta: «L’umanità di Josei Toda era qualcosa di veramente unico. Aveva una capacità tutta sua di condividere le sofferenze altrui e di affrontare le difficoltà di ognuno come se fossero le proprie. Egli ignorava nel modo più assoluto le debolezze altrui, che si trattasse di giovani o di adulti, uomini o donne. Ogni persona era semplicemente degna del massimo rispetto in quanto essere umano. A molti capitava agli inizi di provare un certo disagio nei suoi confronti, ma poi si giungeva sempre alla conclusione che non ci fosse persona più generosa di lui» (RU, 3, 69-70 estratti).
    Una gioventù povera, la malattia, i fallimenti imprenditoriali, il tradimento da parte dei suoi compagni di fede, due anni di carcere, la morte della prima moglie, di una figlia, del suo amato maestro: Toda si trovò ad affrontare tutte le peggiori sofferenze che una persona può incontrare nel corso della vita.
    Nonostante ciò, nessuno di questi dolori riuscì ad indurire il suo cuore e nelle pagine de “La rivoluzione umana”, oltre alle guide severe e alla sua inamovibile determinazione, sono raccontati episodi che testimoniano la gentilezza e la generosità del suo animo.
    Il primo brano si riferisce a quando, da giovane, si era da poco trasferito a Tokyo.

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    La rivoluzione umana, vol. 1, pagg. 39-40
    di Daisaku Ikeda

    [Toda] viveva in una modesta pensione di Kanda con altri sette o otto compagni, che si preparavano da sé i pasti. Ozawa, alla vista di questo disordinato alloggio, era davvero sconcertato.
    Tutti i compagni di stanza di Toda venivano dall’Hokkaido e studiavano affrontando grosse difficoltà. Qualcuno distribuiva i giornali o portava il risciò. Altri invece erano senza lavoro. Erano tutti poveri, persino più poveri di Toda. Ozawa non riusciva a darsi ragione del perché Toda si sobbarcasse l’onere di vivere con questi compagni. Una sera non poté fare a meno di chiederglielo.
    «Per il momento devo restare. Se me ne andassi, finirebbero tutti in strada; il mio salario attuale è di cinquantacinque yen al mese. Ne spendo cinque per me e il resto serve per aiutare loro. Ci vorrà un po’ di pazienza, presto dovrebbero essere in grado di stare in piedi da soli. Ma per adesso hanno bisogno di me».
    Confuso, Ozawa non riuscì a dire una parola. Toda parlava come se la cosa non gli pesasse affatto.

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    Toda spiegava che la sua severità non derivava dal fatto che gli piacesse rimproverare i suoi discepoli, bensì dalla consapevolezza che sono la legge di causa ed effetto e il Buddismo ad essere severi. I suoi rimproveri si basavano sul desiderio di correggere l’atteggiamento nella fede e non erano mai condizionati da ragioni personali: subito dopo la guerra incoraggiò con calore le stesse persone che, tradendo lui e Makiguchi, gli avevano dato uno dei più grandi dolori della sua vita.
    A quel tempo era appena riuscito ad avviare una nuova attività imprenditoriale e i membri della vecchia Soka Gakkai, in cerca di qualcuno che li potesse guidare e incoraggiare dopo la morte di Makiguchi, iniziarono a recarsi in visita al suo ufficio. Tra queste persone c’erano anche alcuni ex responsabili centrali dell’organizzazione. Di fronte all’unica persona che aveva seguito il loro maestro in carcere, non riuscivano a nascondere la vergogna, ma Toda accolse e incoraggiò tutti allo stesso modo: come se nulla fosse successo.

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    La rivoluzione umana, vol. 1, pagg. 113-116 (estratti)
    di Daisaku Ikeda

    «C’è il signor Toda?». Si facevano avanti esitando, gli uomini vestendo uniformi sdrucite e con elmetti ammaccati, le donne, vedove di guerra, indossando i mompe e tenendo i bambini per mano.
    «Il suo nome?» rispondeva la segretaria. «Tagami. Non credo che il signor Toda lo ricordi, ma forse si rammenterà del mio viso…». La ragazza dietro la scrivania era sconcertata.
    «Facevo parte della vecchia Gakkai. Potrebbe dirglielo, per favore? Io mi ricordo del viso del signor Toda, ma…»
    «Per quale motivo desidera incontrarlo?». «Niente di speciale sa, volevo solo rivederlo». «Attenda prego».
    Noncurante dei pesanti impegni di lavoro, Toda li accoglieva sempre al piano di sopra. Ascoltava. Dietro quel “niente di speciale, sa” nascondevano tutta la loro disperazione. Erano persone stremate da un dolore inesprimibile, che cercavano a tutti i costi una via d’uscita.
    «Capisco…» mormorava Toda, mentre ascoltava il racconto di terribili esperienze e rifletteva su quanto fosse rigorosa la legge di causa ed effetto.
    Prima della guerra lo avrebbe detto a chiare parole, dando loro una guida severa per risvegliarli; ma ora, davanti a quelle facce spaventate e miserabili, non se la sentiva. Capivano lucidamente da sé la situazione, che stavano patendo la punizione causata dalle loro azioni. Voleva parlare, l’aveva sulla punta della lingua, ma si tratteneva e incoraggiava ognuno caldamente.
    La voce di Toda esprimeva sempre la sua convinzione. Era davvero in grado di sollevare questa gente dallo stato di sofferenza in cui versava e indirizzarla verso la felicità. Essi ascoltavano, i loro volti riprendevano colore. Si sentivano come se finalmente nella loro vita si fosse riaffacciata la speranza.
    «È vero, il Gohonzon ha il potere di trasformare il veleno in medicina. Fintanto che lei mantiene la sua fede, non deve preoccuparsi di alcunché. Non dubiti del Gohonzon, a qualunque costo. Se continua a praticare, riuscirà a raggiungere l’illuminazione e godrà di una felicità senza limiti.
    «So che per lei adesso è difficile, ma non deve dubitare. Si aggrappi alla sua fede. Questo è l’elemento che deciderà la vittoria o la sconfitta nella sua vita. Vincere o perdere: tutto dipende dalla pratica. Che ne pensa, crede di farcela?»
    Alcuni piangevano, altri annuivano con serietà e poi sorridevano. Qualcuno rispondeva: «Sì, lo farò!» e negli occhi gli si leggeva la gioia che provava.
    «Venga pure a trovarmi, ogni volta che ha bisogno, non si faccia remore». Toda li rincorreva con queste parole mentre scendevano le scale.
    Toda non respinse le persone che lo avevano tradito. Chiuso nella sua cella, aveva saputo dal responsabile delle indagini che lo riguardavano che i suoi compagni stavano abbandonando l’organizzazione uno a uno. Col cuore pieno di tristezza, aveva represso la collera e l’amarezza. Ora, vedendo di nuovo i vecchi amici, dimenticò la rabbia del passato. La compassione riesce veramente a sommergere ogni altro sentimento.

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    Da ex maestro elementare, Toda non perse mai la sua simpatia verso i bambini. Quando le persone che si recavano da lui per ricevere un consiglio sulla fede erano in compagnia di uno dei loro figli, Toda non mancava mai di rivolgere carezze e attenzioni al bambino.
    L’episodio raccontato in questo brano, si riferisce al periodo immediatamente successivo alla scarcerazione, quando stava cercando di ristabilire la sua salute, fortemente minata dalla detenzione.

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    La rivoluzione umana, vol. 1, pagg. 49-51 (estratti)
    di Daisaku Ikeda

    Col passare dei giorni, il suo corpo cominciava a riprendere vigore, anche se i progressi erano lenti a causa dei molti disturbi di cui aveva sofferto. Aveva preso l’abitudine di fare una passeggiata al mattino e alla sera, tanto per tenersi in forma. Una sera, tornando a casa, aprì la porta e gridò: «Ehi! Abbiamo ospiti».
    Ikue accorse e si trovò dinanzi a quattro o cinque bambini vestiti di stracci che facevano capolino dietro le spalle del marito.
    «Non abbiamo qualcosa da mangiare? Qualche dolce, magari?».
    Toda fece entrare i bambini in casa. «Venite, questa è casa mia».
    In cima alla collina, nei pressi dell’abitazione dei Toda, c’era un grande tempio in cui avevano trovato rifugio alcuni senzatetto. Gli ospiti di Toda erano alcuni dei figli di quella gente.
    Era diventato loro amico in un batter d’occhio, passeggiando per strada.
    Ikue fece un sobbalzo alla vista di quella marmaglia. Aggrottò il viso, pensando che si trattasse di uno dei capricci del marito. Corse a prendere tutti i dolci che aveva in casa e Toda li divise equamente tra i fanciulli impazienti. Osservava i sorrisi comparire su quei volti che forse avevano dimenticato da tempo cosa significasse essere felici.
    «Bene, giocheremo ancora domani».
    A queste parole i bambini ringraziarono di cuore e si sparpagliarono.
    Da quel giorno gli ‘ospiti’ cominciarono a colpire con maggiore violenza delle bombe. Si affezionarono a Toda e la sua gentilezza sembrava aprire i loro cuori. Il numero cresceva di continuo e lui non riusciva più a fare un solo passo senza essere completamente circondato. La sua figura slanciata, attorniata da un nugolo di bambini vocianti, divenne un’immagine familiare a tutto il vicinato.

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