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Dare la vita - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:12

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    Dare la vita

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    Ho trentasette anni e pratico il Buddismo dal dicembre del 1991. A quel tempo mia nonna materna era malata e la situazione così drammatica faceva soffrire tutta la mia famiglia. Il primo beneficio fu quello di avere la forza di sostenere e incoraggiare i miei familiari. Nel maggio del 1992, mio nonno paterno scomparve improvvisamente in seguito a un infarto, e nel luglio dello stesso anno morì mia nonna. Nella mia famiglia si “respirava” il dolore come non era mai successo, e io iniziai a soffrire di depressione e attacchi di panico. Non ho mai smesso di praticare nemmeno nei momenti più difficili e con l’attività e lo studio del Buddismo ho avuto molti benefici visibili e invisibili: l’amore, il lavoro, la casa, una famiglia unita e serena, ho sviluppato più coraggio e saggezza. Dopo anni di pratica iniziai a desiderare un figlio, cosa che mai mi aveva sfiorato: avevo una gran paura. Un figlio significava responsabilità e io non mi sentivo pronta per questa scelta.
    Per ben due volte rifiutai la responsabilità di gruppo e poi non volevo mai guidare Gongyo perché avevo paura di sbagliare. Ma praticando sinceramente davanti al Gohonzon la mia “natura” si fece sentire. La paura di vivere non riusciva più a contenere la mia voglia di vivere!
    Dal momento in cui decisi di avere un figlio, le difficoltà iniziarono a manifestarsi. Nel dicembre del 2001 dopo quasi due anni, non ero ancora rimasta incinta. I medici dissero che non presentavamo particolari patologie ma che figli probabilmente non ne avremmo mai avuti. Ci consigliarono la fecondazione assistita e io mi buttai a capofitto in questa esperienza senza ascoltare nessuno, nemmeno mio marito che aveva timore per la mia salute e non era proprio d’accordo. Fummo chiamati dopo soli due mesi dal primo colloquio (non era mai successo che una coppia rimanesse in graduatoria così poco tempo) e il mio Daimoku e la mia determinazione mi permisero di riuscire a rimanere incinta alla prima stimolazione ormonale il 12 giugno 2002.
    Il mio stato vitale era altissimo, ma il mio fisico era molto debilitato. La stimolazione per me fu pesantissima. Fui ricoverata in ospedale per due volte ma, nonostante tutto, il mio stato vitale era altissimo tanto che riuscii a incoraggiare molte persone che mi stavano accanto. Dopo l’esito dell’amniocentesi (mi assicurarono che andava tutto bene) seppi di aspettare una bambina e io e mio marito colmi di gioia decidemmo di chiamarla Sofia. Ero arrivata quasi al settimo mese, sembrava andare tutto per il meglio e io ormai rasserenata e fiduciosa aspettavo la fine della gravidanza.
    Un mattino mi alzai e mi accorsi che qualcosa di grave era successo: non c’era più movimento fetale. Chiamai subito mio marito e andammo in ospedale, lui continuava ad assicurarmi che sarebbe andato tutto bene ma io ero cosciente di quello che era successo. Ho vissuto il periodo ospedaliero come al rallentatore, ho sentito medici spiegare quello che era successo e cosa si doveva fare ma il mio pensiero costante è stato recitare mentalmente Nam-myoho-renge-kyo.
    Ho provato una forza e un’energia che non pensavo di possedere, ho fatto tutto ciò che i medici mi dicevano di fare e ho continuato a recitare Daimoku fino al mio ritorno a casa. Quando sono uscita dall’ospedale ero veramente serena e sapevo che quello che era successo faceva parte del mio karma ma a differenza di dodici anni prima non volevo essere schiacciata dalla sofferenza.
    Ho recitato tantissimo per me e soprattutto per mia figlia. Volevo trasformare il suo karma e dare a lei la possibilità di manifestarsi nuovamente.
    I mesi dopo l’aborto sono stati durissimi, la sofferenza era talmente forte che sembrava fisica ma io avevo il Gohonzon e quando vivere diventava insopportabile iniziavo a recitare per smettere solo quando mi sentivo meglio.
    Colpiti dal mio modo di reagire mio padre, mio fratello e mia cognata e anche mio marito si avvicinarono alla pratica. Per anni avevo messo l’obbiettivo che nella mia famiglia le persone che amavo conoscessero il Buddismo di Nichiren Daishonin, e in un momento così difficile sentii che questo poteva dare un senso alla morte di mia figlia. Ho dovuto guidare Gongyo perché i miei familiari venivano a recitare a casa mia e io li volevo incoraggiare. È stata una grande sfida che mi ha portato a decidere di offrire la mia casa per i meeting principianti.
    A un meeting donne mi feci coraggio e andai a chiedere un consiglio a una responsabile donne. Le raccontai tutta la mia storia, le dissi delle mie sofferenze le chiesi dove dirigere il mio Daimoku. Mi suggerì di chiamare la Buddità della mia bambina, disse che non dovevo scartare la possibilità di un’altra fecondazione oppure di una adozione o tanto meno di una gravidanza naturale. Mi disse anche di desiderare di portare una persona a prendere il Gohonzon perché anche quello era dare la vita! Da quella sera misi l’obiettivo di portare mio fratello a ricevere il Gohonzon. Intanto i primi di luglio mi accorsi di essere rimasta incinta nello stesso identico periodo dell’anno prima! La gioia mia, di mio marito e dei miei familiari è esplosa. Recitavo per stare bene e perché mia figlia, stesse bene, non ho mai dubitato che fosse una bambina e dopo l’amniocentesi non ci sono stati più dubbi. Il 14 dicembre ho accompagnato mio fratello a ricevere il Gohonzon. Mia figlia è nata il 16 febbraio 2004, proprio il giorno della nascita di Nichiren Daishonin, le abbiamo messo nome Sofia Kaneko, in onore della moglie di Daisaku Ikeda.
    Nella mia famiglia adesso pratichiamo in quattro persone e quando ci troviamo a recitare insieme io tocco il cielo con un dito. Anche quando guardo Sofia Kaneko, mi sembra di vivere un sogno ma poi lei mi sorride – è una bimba così serena – e io so che è la realtà.

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