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L'arco e la freccia - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:59

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    L’arco e la freccia

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    Il 19 ottobre del 2000 ho recitato il primo Nam-myoho-renge-kyo, durante una riunione. Ho subito iniziato a praticare in modo regolare e ho immediatamente avvertito una sensazione di benessere, che fino ad allora avevo provato solo in situazioni particolari, come un innamoramento, invece per la prima volta dipendeva solo da me, dal Daimoku che recitavo. Ero entusiasta!
    All’epoca non credevo d’avere grossi problemi, mai con gli studi, né col lavoro, avevo appena comprato casa, unica difficoltà le relazioni sentimentali, tuttavia niente mi rendeva felice, avevo bisogno di vedere un po’ di luce nella mia vita, che mi sembrava non avere senso.
    Ben presto sperimentai per la prima volta il Gohonzon. Ebbi l’ennesima discussione con mia sorella, con cui avevo il classico rapporto d’amore e odio, cosa che di solito mi lasciava indifferente, ma questa volta no e decisi di risolvere la situazione, sostenuta dal Daimoku. Le chiesi se potevamo vederci, recitai molto Daimoku prima che arrivasse a casa, e quando ci fu, con mio stesso stupore, le dissi delle cose che non sapevo di pensare fino al momento in cui le parole mi vennero fuori dirette dal cuore, finalmente mi stavo aprendo e saggezza e compassione affioravano. È stato il primo passo verso la costruzione di un ottimo rapporto, non solo sorelle, ma amiche!
    Nel frattempo anche i rapporti interpersonali, di solito superficiali, diventavano sempre più veri, riuscivo a mostrarmi per quella che ero, e la gente mi apprezzava, così la cerchia delle amicizie si è allargata in tutti gli ambiti, e ho avuto occasione di parlare della pratica a moltissime persone.
    I rapporti sentimentali, invece … sempre peggio! Nel novembre del 2001 ho incontrato una persona che ho pensato fosse l’uomo della mia vita, anche perché era uno degli obiettivi che mi ero fissata, quindi doveva essere un beneficio, pensavo, e in un certo senso lo fu.
    Il rapporto, e lui come persona, furono quanto di peggio potessi augurarmi: mi criticava su tutto, ritenendomi unica responsabile di ogni incomprensione, lui era la perfezione, io lo sfacelo, mi colpiva nei punti deboli, e ne avevo tanti, per destabilizzarmi e sentirsi forte. Nonostante questo quadro catastrofico mi ostinai, doveva funzionare, ero io che non andavo, era colpa mia, non ci mise molto a convincermi. Così nel luglio del 2002 decisi d’iniziare a fare analisi, volevo risolvere quanto prima le cause che m’impedivano d’avere una relazione solida e duratura, e se la pratica mi aveva aperto gli occhi, quello che vedevo era il caos più totale, la mia personalità era un puzzle disfatto, avevo poche convinzioni e una scarsa conoscenza di me. Un giorno, quando ancora m’illudevo di poter sanare quel rapporto, trovai un bigliettino in casa, con cui, dopo quasi un anno, “l’uomo della mia vita” si congedava lasciandomi due righe e fortunatamente spariva dalla mia vita. Ringraziai il Gohonzon, sinceramente.
    Nel Nuovo Rinascimento del primo dicembre 2002, due settimane dopo la rottura, pubblicarono il Gosho L’arco e la freccia, in cui Nichiren scrisse: «il potere dell’arco determina il volo della freccia, la forza della moglie guida le azioni del marito» e nel commento si spiegava: «In una relazione sana due persone si incoraggiano a vicenda per conseguire i propri obiettivi e condividere speranze e sogni, una relazione d’amore dovrebbe essere continua fonte d’ispirazione, energia e speranza». Condividevo in pieno, ma mi colpirono soprattutto le parole del presidente Ikeda: «La felicità non è qualcosa che deriva dagli altri, neppure dal proprio innamorato, la si deve realizzare da soli, e l’unico modo per farlo è sviluppare un forte carattere e le proprie capacità. La chiave per la felicità sta nella preghiera e nello sforzo di migliorare se stessi. Pensare che il Gohonzon ci farà incontrare automaticamente la “persona giusta” è un’illusione. Solamente trasformando la causa interna che ci fa soffrire, per il fatto di non incontrare una persona adatta a noi, saremo in grado di ricevere l’effetto, come ad esempio attrarre una persona di valore con cui costruire un rapporto significativo. Una persona superficiale avrà solo relazioni superficiali. Se volete provare il vero amore dovete prima di tutto sviluppare una forte identità».
    Decisi che avrei realizzato quel Gosho nella mia vita. Grazie all’attività come responsabile di gruppo, alla pratica costante e all’analisi ho scoperto in me una personcina niente male!
    Ma fondamentale nel mio percorso è stato il soggiorno a Trets, Centro buddista europeo, in Francia. Fu lì, confrontandomi con gli altri, ascoltando le loro esperienze, che capii che praticavo per attuare la mia “rivoluzione umana” ma avevo una gran paura di non saper affrontare i cambiamenti e la sofferenza e le difficoltà che questi comportano. Quando me ne resi conto, fu un attimo, piansi, o forse prima piansi e poi capii il perché, ma fu bellissimo. Compresi che dovevo affidarmi al Gohonzon, che sentii più che mai nella mia vita, perché mi avrebbe sempre sostenuto, proprio come afferma Nichiren nel Gosho Il vero aspetto del Gohonzon: «Come una lanterna nell’oscurità, come un forte braccio che ti sostiene lungo un sentiero infido, il Gohonzon ti proteggerà, dovunque tu vada», dovevo solo aver fede e fiducia in me stessa, non mi sentivo più sola, né fragile, ero pronta a mettermi veramente in gioco.
    La risposta a questa mia determinazione non si è fatta aspettare, non c’è un angolo della mia vita che non sia stato coinvolto, in cui non sia stata messa a dura prova.
    Ho trasformato il rapporto con mio padre, un padre che ha sacrificato la sua vita per crescere quattro figli, nel modo che per lui era il migliore, forse l’unico, urlando a ogni occasione, contro mia madre, e contro di noi, se non facevamo come diceva. A trentacinque anni ancora sentivo il peso della sua figura, andavo a trovarlo raramente e lo chiamavo al telefono il meno possibile, solo per senso del dovere, finché un giorno le sue parole, il suo modo di essere, non mi hanno fatto più male. Ho avuto compassione per lui, ho compreso quanto era stata dura la sua vita, e quanto questa l’avesse reso duro, ho sentito, più d’ogni altra cosa, che gli volevo bene. Grazie a questo ho iniziato a frequentarlo sempre di più e con maggior piacere, a dimostrargli il mio affetto, e lui non è mai stato così dolce come con me dopo di allora. Quando il 18 febbraio 2003 mio padre è morto, ero felice d’averlo trovato prima di perderlo.
    Nel frattempo in ufficio vivevo seri problemi provocati dall’arrivo di un nuovo responsabile, con cui era difficile andare d’accordo, che ha raccolto i frutti del mio lavoro, attribuendosene il merito, e oltretutto screditandomi. È stato molto difficile, anche perché ciò accadeva contemporaneamente all’aggravarsi dello stato di salute di mio padre, se non fosse stato per il Daimoku, che mi ha sostenuto, l’avrei odiato, l’avrei ostacolato, mi sarei lasciata demoralizzare, invece mi sono sempre sforzata di mantenere armonia nell’ambiente, di tranquillizzare i miei collaboratori, paradossalmente ero l’unica che sinceramente continuava a sorridere con ottimismo. A un certo punto il direttore generale mi ha proposto di lasciare quel settore e dedicarmi esclusivamente alla cura degli interessi legali dell’azienda, cosa che in minima parte già facevo, e che era ciò che più di tutto desideravo fare.
    Tutte queste “prove” sono servite a rafforzare la mia identità e la mia fede e, come promesso da Ikeda, ho incontrato una persona di valore. Nel dicembre ’03 mi sono fidanzata, dopo solo due mesi abbiamo deciso di vivere insieme. Un giorno io gli ho letto il Gosho L’arco e la freccia e lui mi ha detto: «Sembra che parli di noi!».

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