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Dove nacque la democrazia - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:55

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Dove nacque la democrazia

Il paese, che nel 2003 ha riconosciuto la SGI-Grecia come organizzazione religiosa e culturale ha una lunga storia di lotta contro la tirannia. Quella che nell’antichità è stata la culla dell’ideale democratico ha subito l’occupazione nazista e lunghi anni di dittatura militare prima di riconquistare la libertà

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Il paese, che nel 2003 ha riconosciuto la SGI-Grecia come organizzazione religiosa e culturale ha una lunga storia di lotta contro la tirannia. Quella che nell’antichità è stata la culla dell’ideale democratico ha subito l’occupazione nazista e lunghi anni di dittatura militare prima di riconquistare la libertà

L’Antica Grecia è universalmente riconosciuta come la culla dell’Umanesimo. L’essenza dello spirito greco può forse essere illustrato dall’ideale di vivere la vita con armonia e intensità. La parola kefi, in greco moderno è un’espressione di tale spirito. Essa significa brio, spontaneità o talento e descrive un atteggiamento di profondo ottimismo verso la vita, di spirito d’avventura, d’indescrivibile entusiasmo e di convinzione che tutto può essere fatto per cambiare le cose in meglio. Se si possiede kefi, la vita è un gioco appassionante.
In fondo, la maggior parte delle sofferenze della vita può essere ricondotta proprio a una mancanza di questa sorta di coraggio e fiducioso ottimismo.

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Ero finalmente arrivato. Davanti ai miei occhi si ergeva un simbolo della bellezza architettonica: il Partenone. Il monumento sembrava avesse vita propria. I suoi marmi bianchi si stagliavano splendenti contro il cielo azzurro. Una presenza vibrante, lo spirito stesso della vita, era ancora percepibile dopo 2400 anni. Esso emanava una bellezza sublime e allo stesso tempo un sorprendente senso di potenza, unendo una maestosa magnificenza a un’assoluta perfezione strutturale. Ad esempio, pare che le colonne siano leggermente inclinate perché se fossero perfettamente dritte, l’occhio umano le percepirebbe con una curvatura alla sommità. Tenendo conto di quest’illusione ottica, furono progettate proprio per apparire dritte, pur non essendolo materialmente.
Pare anche che le colonne poste ai quattro angoli abbiano un diametro superiore alle altre. La loro circonferenza fu aumentata per creare una maggiore uniformità visiva, altrimenti, sullo sfondo del cielo, apparirebbero più sottili delle altre. È stato quindi fatto ogni sforzo per dare l’impressione di perfetta armonia tra i vari elementi della struttura. «Molti si danno prodigi, e niuno meraviglioso più dell’uomo!». Quest’ode all’umanità viene pronunciata dal coro dell’Antigone, una delle grandi opere di Sofocle (496-406 a.C.), il famoso drammaturgo greco del periodo classico.
Ma l’architettura non è la sola eredità dell’antica Grecia. Nei giochi olimpici si aspirava alla perfezione fisica, e anche l’erudizione classica mirava alla perfezione dell’intelletto in ogni area del sapere umano. La Grecia è inoltre la culla della democrazia, per mezzo della quale gli uomini hanno esperito la partecipazione alla vita politica esaltando al massimo la loro potenzialità umana. Il mondo intero ha un gran debito verso la Grecia per i suoi insegnamenti universali sia riguardo alla nostra possibilità di realizzare grandi cose, sia riguardo alla fiducia nell’enorme potenziale interiore da svelare e sviluppare.

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Ho visitato l’Acropoli, la collina su cui si erge il Partenone, il 4 febbraio 1962. Il sole invernale diffondeva la sua tenue luce, mentre salivo per il sentiero accidentato fino alla sommità della collina, insieme a coloro che mi avevano accompagnato dal Giappone. Una volta arrivati, ci aspettava lo spettacolo delle bianche case di Atene e del Mar Egeo che, in lontananza, scintillava di un blu intenso. Durante il tragitto dall’aeroporto alla città, vedevo le barche dei pescatori che dondolavano nel mare lungo la costa sinuosa, mentre stormi di gabbiani volteggiavano sopra le nostre teste. Un’anziana signora spingeva lentamente una carrozzina. Le gemme rosa degli alberi di mandorlo, dalla precoce fioritura, erano piene e pronte ad aprirsi. Era un piacevole quadro bucolico.
Ma al di sotto di quella superficie così serena, avvertivo una certa tensione nell’aria. Erano trascorsi diciassette anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, ma per cinque anni, dal 1944 al 1949, la Grecia era stata devastata dalla guerra civile, e ancora all’epoca della mia visita permaneva un clima politico di notevole agitazione.

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Quando parliamo di Grecia, solitamente tendiamo a pensare ai suoi antichi splendori, ignorando la realtà contemporanea del popolo greco. La terra verso cui tutti abbiamo un enorme debito culturale ha sofferto molto nel tempo. Per secoli la Grecia ha subìto dominazioni straniere e durante la Seconda guerra mondiale, una bandiera nazista fu issata perfino sull’Acropoli.
Atene venne occupata dall’esercito tedesco il 27 aprile 1941. Gli invasori confiscavano messi e bestiame alla gente e ci fu una carestia. C’erano persone che morivano di fame per le strade di Atene, mentre amici, conoscenti e intere famiglie sparivano nei campi di concentramento.
Fu in questo periodo che risorse l’invincibile eroismo del popolo greco, così mirabilmente cantato dal poeta Omero. Una notte di maggio, il mese successivo all’inizio dell’occupazione tedesca, due studenti si avvicinarono all’Acropoli. Se fossero stati scoperti, avrebbero perso la vita. Avanzando lentamente dietro le sentinelle tedesche, cominciarono ad arrampicarsi sul grosso pennone di metallo sul quale sventolava la svastica nazista.
La mattina seguente, gli abitanti di Atene videro con stupore che l’odioso simbolo era sparito. Come appariva chiaro e luminoso il cielo, e quanto erano grati a chiunque avesse tolto quella macchia odiosa! Attraverso tutta la terra greca si destò un movimento di coraggiosa resistenza al nazismo. «I greci conoscono la vita meglio di chiunque altro – ha scritto Melina Mercouri, leader politica e attrice greca – odiano la morte quanto odiano le catene».

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Tre anni e mezzo più tardi, l’occupazione nazista finalmente si concluse. Le sofferenze del popolo greco, però, non lo erano ancora. Ben presto iniziò un aspro confronto tra gruppi politici della sinistra e della destra. Potenze occidentali manovravano occultamente per assicurarsi che la Grecia, al confine tra Occidente e blocco sovietico, sarebbe rimasta dalla loro parte. Improvvisamente, gli eroi che avevano cacciato i nazisti furono chiamati “ribelli” e venivano ricercati dalle forze dell’ordine del loro stesso paese.
Ci furono attacchi e controffensive in una spirale di violenza. Le ferite di questa guerra civile erano ancora profonde e dolorose in Grecia. Ho sentito di una madre che dopo l’uccisione del figlio non ha più pronunciato una parola, pur sopravvivendogli per diversi decenni. Un soldato del governo ha riferito la vicenda di un ribelle arrestato davanti alla moglie che, tenendo in braccio il loro bambino, fissò il soldato con uno sguardo pieno di tanta rabbia, disprezzo e odio da provocare in lui ogni notte un grande tormento, togliendogli il sonno.
Quanto è progredita la razza umana, quando tutto sembra essere già stato detto e fatto? È passato molto tempo da quando, nel quinto sec. a.C., lo storico greco Erodoto, sottolineando l’alterazione della realtà in tempo di guerra, scrisse: «In tempo di pace i figli seppelliscono i loro padri, ma in tempo di guerra sono i padri a seppellire i loro figli».
Dall’Acropoli il mio sguardo dominava le rovine dell’antico Teatro di Dioniso ai piedi della collina. Avevo l’impressione che quella stessa terra fosse protagonista di una tragedia greca sulla lotta contro il destino.
Così, ancora ho pregato per la pace in Grecia. I greci sono un popolo illustre, e io ero convinto che avrebbero riportato la loro terra a una gioiosa rinascita.
Cinque anni dopo la mia visita, nel 1967, un colpo di stato portò al potere un regime militare che governò per sette anni. Come doveva essere penoso per il popolo greco, inventore della democrazia, vedersi negato il diritto a esercitarla! In quell’epoca tormentata, i membri della SGI in Grecia si riunivano per pregare per la felicità del loro Paese. Lo scorso anno, il 17 luglio 2003, la SGI-Grecia è riuscita a compiere un nuovo luminoso passo avanti, quando ha ricevuto il riconoscimento ufficiale come organizzazione religiosa e culturale no profit.
La nazione è anche entrata in una nuova era, simboleggiata dalle Olimpiadi di Atene che si sono svolte la scorsa estate. È una celebrazione piena di significato per la Grecia, luogo di nascita delle Olimpiadi, e una festa di pace per una terra che ha così a lungo sofferto l’amarezza della guerra. Niente può rendermi più felice.

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L’eminente scrittore greco Nikos Kazantzakis (1883-1957), profondamente afflitto dalle vicissitudini del suo popolo e dalle tragedie di Hiroshima e Nagasaki, affermò che finché una nazione soffre, nessun’altra può realmente godere di buona fortuna. Egli sentiva la necessità di trovare il modo di convincere l’intera razza umana, esprimendo la semplice verità che tutti gli esseri umani sono membri della stessa famiglia. Quest’idea di unicità dell’umanità mi ricorda la convinzione del mio mentore, il secondo presidente della Soka Gakkai, Josei Toda. «Siamo una famiglia mondiale, siamo tutti fratelli e sorelle!». Questo suo grido sincero non è un’idea vuota; sento dal profondo del mio essere che è la verità. Per me, tutte le guerre che si svolgono nel mondo sono guerre civili, guerre che si combattono tra fratelli e sorelle.
Scendendo dall’Acropoli, ci dirigemmo verso la zona rocciosa nota come la prigione di Socrate. Sbarre di metallo chiudevano un piccolo spazio a forma di grotta nella parete rocciosa verticale. Guardando questa cella, pensai: «Anche se perseguitato, Socrate era fortunato, perché ha avuto Platone come suo discepolo». La vittoria finale di un mentore è determinata dai suoi discepoli.
Durante quello stesso viaggio, oltre alla Grecia, visitai anche Iran, Iraq, Turchia, Egitto e Pakistan. In quell’occasione dissi a uno dei miei compagni: «Come discepolo del mio mentore, continuerò a impegnarmi per realizzare l’ideale di una cittadinanza mondiale!». Anche se qualcuno potrà ridere dei miei ideali, sono certo che tra duecento anni, la storia li confermerà. E il Partenone, senza dubbio, sarà ancora lì a osservare quel glorioso futuro. Amici miei, viviamo con esuberanza, energia e vigore per vedere l’arrivo di quel giorno!
Ritornando in città, continuavo a fissare l’Acropoli, lassù, e vedevo il Partenone senza tempo che si alzava nel cielo. Splendida testimonianza dell’acme della civiltà umana, pareva vigilare per proteggere il mondo sottostante.

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La mia vittoria alle olimpiadi

di Iris Vlachoutsikou, Atene

Iris Vlachoutsikou, con un incarico di responsabilità nel comitato greco per i Giochi olimpici, racconta di come ha affrontato le mille difficoltà organizzative sostenuta dagli insegnamenti buddisti.

Ho cominciato a recitare Nam-myoho-renge-kyo nel 1976, ad Atene, all’età di otto anni. Anche mia madre e mia sorella avevano cominciato a recitare nello stesso periodo, quindi sono cresciuta in una famiglia che praticava il Buddismo di Nichiren.
Ho sempre avuto a che fare con lo sport. In seguito avrei ottenuto un posto nella squadra nazionale greca di scherma e a scuola mi sarei dedicata all’educazione fisica e al management sportivo.
Nel 1999 mi venne affidato un incarico presso il Comitato organizzativo greco per i Giochi olimpici di Atene 2004. Ero responsabile di tutti i progetti riguardanti gli allenamenti degli atleti olimpici e l’anno prima dei giochi fui nominata responsabile di un complesso attrezzato per l’allenamento di oltre quattromila atleti. Quando iniziai questo lavoro eravamo solo 57 persone, alla conclusione dei giochi eravamo 10500.
Man mano che il comitato cresceva, cresceva anche l’organizzazione della SGI in Grecia e, il 3 luglio 2003, trent’anni dopo l’arrivo del Buddismo di Nichiren in Grecia, la SGI-Grecia è stata formalmente istituita col riconoscimento legale del governo [vedere Nuovo Rinascimento, n. 295, 15 dicembre 2003, pp. 10-11, n.d.r.]. Ho sentito che stavamo crescendo insieme a passi da gigante.
Fui inviata a Sidney, in Australia, sede delle Olimpiadi del 2000, per due mesi e mezzo. Là studiammo attentamente come prepararci per i nostri giochi di Atene.
Una cosa che mi colpì fu il problema costante dell’unità, o meglio, della mancanza di unità, all’interno del Comitato organizzativo di Atene 2004. Ero determinata, sulla base della mia pratica buddista, a creare l’unità necessaria per garantire il successo dei giochi in Grecia. L’unità era molto difficile da raggiungere, ma crearla era una responsabilità che mi assunsi personalmente. Ero costantemente concentrata su come lavorare al meglio per le Olimpiadi di Atene 2004 e per kosen-rufu in Grecia. Molte volte venivo presa dallo sconforto, ma recitare Nam-myoho-renge-kyo mi dava sempre l’energia per andare avanti. Nichiren Daishonin ci dice che con l’unità possiamo realizzare qualsiasi cosa e scrive: «Quando le persone sono in itai doshin (diverso corpo stesso spirito) queste realizzeranno tutti i loro scopi, mentre in dotai ishin (stesso corpo, diverso spirito) non possono ottenere niente di notevole» (Itai doshin, SND, 4, 267).
A partire dai Giochi di Sidney, mi impegnai a realizzare gli obiettivi anno per anno, andando sempre avanti. Avevamo molti ostacoli da superare. Mi affidai alla recitazione, alla fede e ai messaggi di incoraggiamento che il presidente Ikeda ci mandava in Grecia.
Avevo la responsabilità di oltre duemilacinquecento persone, e la gente si accorgeva di quanto fosse speciale la nostra squadra, infatti ricevemmo più richieste di lavorare con noi di qualsiasi altro dipartimento. Le persone avvertivano la nostra unità e gioia nel lavorare insieme, e volevano farne parte. Mi concentrai principalmente sulle cinque guide della SGI nella fede: fede per una famiglia armoniosa; fede perché ogni persona diventi felice; fede per superare gli ostacoli; fede per avere salute e una lunga vita; fede per una vittoria assoluta.
Ognuna di queste cinque guide racchiudeva ciò di cui avevo bisogno nel mio lavoro ogni giorno. Gli ostacoli più difficili erano le critiche martellanti dei media praticamente su ogni azione da noi intrapresa. Commenti del tipo: “I greci non ce la possono fare”, “Non hanno completato niente”, “Non faranno in tempo”, “Lavoro fatto alla greca”. Questo era molto scoraggiante per tutti noi. Oltre all’enorme mole di lavoro, dovevamo fronteggiare anche questa negatività. Non avevamo altra scelta se non credere in noi stessi.
Mi sentivo molto fortunata perché avevo il Gohonzon, gli scritti del Daishonin e l’incoraggiamento del presidente Ikeda, e perché potevo recitare. Dal momento che gli altri non avevano tutto ciò, io pregavo per il benessere e l’incoraggiamento di tutti.
Il nostro capo, la signora Angelopoulos, presidentessa dei Giochi olimpici di Atene 2004, ci disse che dovevamo prestare ascolto ai media, monitorarci, migliorare ciò che doveva essere migliorato, senza però essere frustrati dalla stampa negativa, e andare avanti. Questo mi diede un grande coraggio.
Non c’era nulla che non incontrasse difficoltà, ma capivo che ogni ostacolo era un’opportunità di cambiare qualcosa nella mia vita. Dovetti affrontare le mie debolezze perché ogni cosa sembrava ritorcersi contro di me. Uno dopo l’altro, però, superai ogni ostacolo e ogni critica.
Ricordo che da bambina avevo una fede pura e sincera nel Buddismo di Nichiren. È sempre stata una parte centrale nella mia vita e nella pratica buddista; la mia fede nel Gohonzon era assoluta, e quella fede non era mai stata così importante come durante le preparazioni per le Olimpiadi.
A ogni ostacolo che superavo, applicavo ciò che avevo imparato per affrontare il successivo. Ero determinata a non essere sconfitta. Ho imparato a prendere le decisioni migliori, ad avere fiducia in me stessa, ad ascoltare gli altri – incoraggiamenti e critiche – e a essere forte. Alla fine ho vinto.
All’inizio di luglio emerse un grosso problema nell’enorme complesso per gli allenamenti, quando realizzammo che non c’era elettricità sufficiente per far funzionare le attrezzature. Ho telefonato, spedito e-mail e parlato con ogni funzionario che potesse aiutarci, fino al governo.
Il punto era che la compagnia elettrica voleva 750mila euro per installare ciò che serviva. Il traguardo appariva irraggiungibile: tutta l’attenzione era concentrata sulle sedi di gara, non su quelle degli allenamenti, e così non trovavo nessuno disposto ad ascoltare. Dovevamo iniziare solo quindici giorni dopo, quando gli atleti avrebbero cominciato ad arrivare al Villaggio Olimpico, prima dell’inizio dei Giochi.
Prima di allora, il 29 marzo, ero stata scelta per portare la torcia olimpica nella zona di Sparta, come parte della staffetta internazionale. Mi sentivo molto onorata. Mentre correvo quel giorno, tenendo alta la fiaccola, sentivo che era per kosen-rufu. È stata un’esperienza davvero straordinaria. In aprile avevo mandato al presidente Ikeda un libro che avevo pubblicato sulle Olimpiadi con una lettera che esprimeva la mia gratitudine a lui e a tutta la SGI. Ma sentivo che non era abbastanza. Volevo trovare un modo per esprimere i miei sentimenti più profondi.
Una sera ricevetti una telefonata da un responsabile della SGI greca che mi chiedeva se avessi potuto procurare una fiaccola olimpica. Dodici membri greci stavano andando a un corso in Giappone, e speravano di donarne una al presidente Ikeda. Dissi che avevo la mia (ai tedofori è concesso tenerla dopo averla portata), ma, onestamente, non ero preparata a rinunciarvi. Chiesi tempo per recitarci su e prendere una decisione.
Mentre recitavo Daimoku, guardavo la mia fiaccola olimpica sullo scaffale e fui colpita da un pensiero: era esattamente il modo in cui potevo esprimere la mia profonda gratitudine a Ikeda. Quella fiaccola rappresentava tutti i miei sentimenti: il mio desiderio di kosen-rufu, di pace e di vincere con le Olimpiadi. Così la offrii con tutto il cuore alla SGI greca e a tutti i membri che avevano recitato per sostenere i Giochi.
Anche i problemi relativi alla mancanza di energia elettrica sembrarono risolversi: uno a uno, superammo tutti gli ostacoli fino a ottenere la potenza che ci serviva. Il primo fu relativo al controllo per l’energia di cui avevamo disperatamente bisogno; furono necessarie solo quattro ore per ottenerlo, invece dei normali dieci giorni.
Il nostro successo si poteva leggere sul viso di tutti i quattromila atleti che si allenavano quotidianamente. Ho continuato a recitare per la salute di ognuno e perché non ci fossero incidenti, cosa altamente improbabile, visto il gran numero di persone coinvolte. Il risultato è stata una vittoria completa. Non c’è stata nessuna lamentela da parte di alcun atleta o membro di staff. Inoltre ho ricevuto molte lettere di congratulazioni dai più alti responsabili e dalla Federazione Internazionale dello Sport. Queste Olimpiadi sono state un momento cruciale nella mia vita.
Ma il mio lavoro non era ancora terminato. Le Olimpiadi sono state seguite dalle Paraolimpiadi per atleti con disabilità. In passato, in Grecia, chi era disabile era spinto ai margini della società. Ma in occasione delle Olimpiadi tutte le nostre sedi, centri di allenamento, nuove attrezzature per trasporti e strade sono state progettate o rinnovate per ospitare chiunque. Credo che questo sia l’inizio di un diverso modo di pensare nel mio paese.
Ho partecipato personalmente allo spirito degli atleti olimpionici che gareggiano per medaglie e gloria, ma alle Paraolimpiadi gli atleti lottano per la vittoria superando i propri limiti, e la loro gioia deriva dalla sfida a fare il massimo. Questo è ciò che il Buddismo mi ha insegnato, che la vera vittoria viene dalla sfida con me stessa e con la consapevolezza di aver fatto assolutamente del mio meglio.

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