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Dalla scienza della guerra a una cultura di pace - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:51

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Dalla scienza della guerra a una cultura di pace

Legati dall’esperienza della guerra e dell’esplosione della bomba atomica, Joseph Rotblat e Daisaku Ikeda hanno dato vita a un dialogo sulle cause di questo orrore in una ricerca comune degli elementi positivi che possono, invece, far sperare in un futuro diverso dell’umanità. Nello stesso anno in cui lo scienziato teneva la sua prima conferenza di Pugwash, Josei Toda, mentore di Ikeda, annunciava la sua Dichiarazione contro le armi nucleari. L’impegno pacifista ha unito il percorso di questi due uomini convinti che il corretto uso della scienza e il dialogo siano strumenti per un futuro diverso

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Legati dall’esperienza della guerra e dell’esplosione della bomba atomica, Joseph Rotblat e Daisaku Ikeda hanno dato vita a un dialogo sulle cause di questo orrore in una ricerca comune degli elementi positivi che possono, invece, far sperare in un futuro diverso dell’umanità. Nello stesso anno in cui lo scienziato teneva la sua prima conferenza di Pugwash, Josei Toda, mentore di Ikeda, annunciava la sua Dichiarazione contro le armi nucleari. L’impegno pacifista ha unito il percorso di questi due uomini convinti che il corretto uso della scienza e il dialogo siano strumenti per un futuro diverso

Joseph Rotblat e Daisaku Ikeda, Dialoghi sulla pace – Sperling & Kupfer Editori, Milano 2006 – € 17,00

Il giorno 8 settembre 1957 Josei Toda, secondo presidente della Soka Gakkai, colse l’occasione di un raduno dei giovani Soka per rendere pubblica la sua Dichiarazione contro le armi nucleari, nella quale esortò i giovani a battersi per l’abolizione delle armi nucleari, dichiarando che esse costituivano un male assoluto. A distanza di quarant’anni Daisaku Ikeda dialoga con Joseph Rotblat, uno dei padri della bomba atomica, poi trasformatosi in un convinto e attivo pacifista. L’argomento del libro è di grande attualità: poche settimane fa l’annuncio di un nuovo membro nel gruppo di paesi che hanno la bomba atomica. Dopo i cinque grandi (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia) e i tre “membri di fatto” (India, Pakistan, Israele), anche la Corea del Nord sembra aver effettuato un test nucleare, definito dal governo di Pyongyang «un evento storico che porta felicità ai nostri militari e al nostro popolo, e che contribuirà al mantenimento della pace e alla stabilità nella penisola coreana e nella regione circostante». Leggere le parole di Ikeda e Rotblat aiuta a capire che non può esserci felicità là dove c’è una minaccia all’umanità, e che non esistono armi atomiche “buone” o “cattive”. Nel breve termine è prevedibile che la Corea del Nord si esporrà a inevitabili rappresaglie e a pagarne le conseguenze sarà la popolazione civile, alla quale verrà a mancare l’ancora di salvezza degli aiuti internazionali. Da questi aiuti, infatti, il governo nordcoreano dipende largamente per alimentare i ventitré milioni di abitanti del paese, la cui situazione si è fatta ancora più critica dopo le inondazioni dello scorso luglio. Quello che è certo è che la bomba atomica nordcoreana, pertanto, si tradurrà inevitabilmente nell’aumento delle morti per fame e malattie nella sua popolazione.

Rotblat era tra gli scienziati che, per conto degli Stati Uniti, hanno lavorato alla realizzazione delle prime armi nucleari (Progetto Manhattan), credendo che il possesso di tali armi avrebbe fatto sì che né da una parte né dall’altra sarebbero state usate. È il solo scienziato che, per ragioni di coscienza, lasciò il progetto non appena divenne evidente che i tedeschi avevano abbandonato i progetti di realizzazione della bomba atomica. Sconvolto dall’apprendere che la bomba non solo era stata usata, ma che aveva colpito aree densamente popolate, Rotblat ha dedicato la sua vita all’abolizione delle armi nucleari e alla ricerca radiologica. Per perseguire questo scopo ha fondato Pugwash, un’organizzazione che, operando lontano dall’attenzione del pubblico, è riuscita a persuadere i governi a non fare uso delle armi nucleari durante la Guerra Fredda. Rotblat, assieme all’organizzazione Pugwash, ha vinto il premio Nobel per la pace nel 1995. Joseph Rotblat si è spento l’anno scorso a novantasei anni, poco dopo aver terminato la revisione del libro di cui vi presentiamo un estratto in queste pagine.

Da Hiroshima alla Norvegia (pagg. 95-107)

IKEDA: Professor Rotblat, nel 1995 le è stato conferito il premio Nobel per la pace. Sono certo che lei ha molti ricordi legati a quell’avvenimento, perciò questa volta vorrei che la nostra discussione si incentrasse su quel periodo della sua vita. Quando lei era presidente delle Conferenze di Pugwash, mi risulta che ogni mattina lei uscisse di casa, nella zona settentrionale di Londra, e prendesse un autobus e la metropolitana per arrivare al lavoro prima delle nove. Non sono pochi quelli che hanno avuto la sorpresa di sentirsi rispondere da lei in persona, quando hanno telefonato al suo ufficio. Per molto tempo le Conferenze di Pugwash hanno avuto problemi a trovare i finanziamenti necessari e, in qualità di presidente, lei ha diretto l’organizzazione senza alcun compenso. Nonostante ciò, lei ha instancabilmente rappresentato il movimento per l’abolizione delle armi nucleari. Per esempio, ogni volta che veniva a sapere di un caso di proliferazione nucleare, era solito inviare subito una lettera di protesta al direttore del Times, il principale quotidiano inglese, e ad altri mass media, per dichiarare la sua contrarietà.

ROTBLAT: L’organizzazione di Pug­wash non è un gruppo di pressione politica, tuttavia riteniamo, in qualità di scienziati, di avere il dovere di avvertire il genere umano della minaccia che può sorgere dallo sviluppo di un’avanzata tecnologica scientifica, come quella delle armi nucleari. Non abbiamo una strategia specifica. Le nostre armi sono le parole. Cioè, lasciamo che a guidarci sia la discussione razionale. Cerchiamo di persuadere l’interlocutore con i nostri argomenti. Il nostro movimento pacifista si basa su questo.

IKEDA: Il potere persuasivo delle parole. Io sono convinto che il dialogo possa raggiungere il cuore dell’uomo e che […] siano le correnti sommerse che danno alla storia il suo profilo. I contributi intellettuali dei membri dell’organizzazione di Pugwash, nonché le loro ramificate conoscenze personali, sono stati enormemente utili ad attrarre il sostegno del pubblico nei confronti della messa al bando delle armi nucleari e sono serviti inoltre a concludere numerosi trattati sul disarmo.

ROTBLAT: Grazie. Vedere riconosciuto il proprio impegno è una sensazione meravigliosa. […] Ho dedicato quasi sessanta anni della mia vita alla realizzazione della pace, e spesso mi viene chiesto come ho fatto a continuare così a lungo. Il segreto è che, sopra ogni altra cosa, io credo nella bontà degli esseri umani. Certo, sotto l’influsso di forze e pressioni esterne, le persone possono compiere azioni dannose. Agli albori della storia, per esempio, gli uomini lottavano e si uccidevano l’un l’altro per proteggere la propria tribù e per assicurarsi cibo, amore, e donne. Tuttavia sono convinto che gli esseri umani abbiano una natura intrinsecamente buona. Da sempre questa è stata la mia filosofia e ha costituito il principio grazie al quale ho potuto proseguire la mia lotta per la pace. In un certo senso sono un ottimista.

IKEDA: Il suo ottimismo e la sua tenacia si sposano perfettamente con la mia filosofia. I pacifisti vengono spesso accusati di essere poco realistici e, poiché, non sempre riescono a vedere i propri obiettivi realizzati in tempi brevi, non è raro che perdano la passione e la vitalità con i quali avevano iniziato a perseguire i loro ideali. Invece lei, professor Rotblat, è riuscito a conservare la sua fiducia nella virtù del genere umano, e ha perseverato nelle sue attività con un sano ottimismo. Molte persone sono state ispirate e incoraggiate dalle sue attività per l’abolizione delle armi nucleari. E dieci anni fa, per la prima volta, l’annuale conferenza di Pugwash si è tenuta in Giappone.

ROTBLAT: Si. Era il 1995, cinquant’anni dopo il bombardamento atomico del Giappone. A quei tempi, con la prosecuzione del programma atomico cinese e la ripresa dei test francesi, la proliferazione delle armi nucleari destava crescenti preoccupazioni. Nel mezzo di questi sviluppi, le conferenze di Pugwash si tennero a Hiroshima; il ground zero del movimento, si potrebbe dire. Nel mio discorso introduttivo ho voluto sottolineare che il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki non era affatto necessario. La Seconda guerra mondiale avrebbe potuto concludersi più rapidamente senza sganciare le bombe atomiche. Durante il primo giorno della conferenza, quando i partecipanti deposero fiori di fronte al Cenotafio, per parecchio tempo non ce l’ho fatta ad allontanarmi da quel luogo: mi sembrava di rivivere il trauma che subii tanti anni fa, quando mi giunse la prima notizia del bombardamento.
Molte delle persone presenti alla conferenza incontravano per la prima volta le vittime della bomba e per diversi membri di Pugwash l’assemblea annuale di Hiroshima è stata fonte di una rinnovata determinazione a proseguire il lavoro per l’abolizione delle armi nucleari.

[…]

IKEDA: Per me è una vera gioia vedere che i suoi sforzi sono stati ricompensati e sono passati alla storia. Sono stato profondamente toccato dal suo discorso, durante la cerimonia di conferimento del Nobel, a Oslo nel dicembre del 1995. Nelle sue parole erano enunciati i punti salienti della sua filosofia pacifista. Mi chiedo che cosa le passasse per la mente, in quella circostanza.

ROTBLAT: Non c’era molto tempo per parlare, per cui non ho potuto dire tutto quello che avrei voluto. Allora ho deciso di concentrarmi su alcuni punti specifici. In primo luogo, ho considerato che l’uditorio era composto essenzialmente da tre tipi di persone: i funzionari governativi, gli scienziati e il pubblico vario. Ho cercato di fare appello al loro istinto di sopravvivenza: ho invocato la convivenza pacifica come unico modo di assicurare un futuro al genere umano. Questo era il tema centrale del mio discorso. Ai politici ho presentato la questione nei seguenti termini: «Faccio appello alle potenze nucleari perché abbandonino le sorpassate dottrine della Guerra Fredda e abbraccino una prospettiva nuova. Soprattutto, chiedo loro di tenere a mente il rischio cui, nel lungo periodo, le armi nucleari espongono l’umanità e di agire per la loro eliminazione. Ricordate il vostro dovere nei confronti dell’umanità». […] Oltre a quella dei politici, nel mio discorso di accettazione del Nobel sottolineai anche la responsabilità degli scienziati. Ho rivolto loro un accorato appello basato sulla mia conoscenza diretta della stoltezza e della crudeltà che erano implicite nel Progetto Manhattan. «Voi svolgete un’opera davvero fondamentale che estende le frontiere della conoscenza, ma spesso lo fate senza preoccuparvi troppo dell’impatto del vostro lavoro sulla società. Affermazioni dogmatiche come “la scienza è neutrale” o “la scienza non ha nulla a che fare con la politica” sono ancora prevalenti, ma in realtà non sono che le vestigia di una torre d’avorio che è stata definitivamente demolita dalla bomba di Hiroshima».

[…]

IKEDA: Capisco perfettamente i suoi tormenti. Fondamentalmente la scienza non è né buona né malvagia. Sono gli uomini che decidono se usarla per fare il bene o il male. In questo senso, gli scienziati che conducono una ricerca d’avanguardia sono quelli che devono farsi carico delle maggiori responsabilità.

ROTBLAT: Sì, è così. Per concludere, al termine del mio discorso, mi sono rivolto a tutti gli abitanti del pianeta, perché, per costruire un mondo libero dalle armi nucleari e dalla guerra, saranno indispensabili la volontà risoluta e l’azione di molti. Ritengo che sarà necessario nutrire un nuovo tipo di lealtà: trasformare il vincolo di appartenenza allo stato nazionale e far crescere nel cuore di ognuno la consapevolezza di una cittadinanza universale e la lealtà nei confronti dell’umanità intera. Perciò, alla fine del mio discorso ho espresso un invito all’azione, citando le parole del Manifesto Russell-Einstein: «Come esseri umani ci rivolgiamo agli esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se potete farlo, vi si apre davanti la strada verso un nuovo paradiso, se non potete, dinanzi a voi si spalanca il rischio della morte universale. […] E soprattutto, ricordate la vostra umanità».

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